31/08/2014
Petrostato Isis
Il califfato ha sottratto allo Stato iracheno 120 miliardi di dollari. A vantaggio di Iran e sauditi
C’è un nuovo petrostato nel cuore del Medioriente. È l’Isis, che sta disgregando i territori dell’Iraq e della Siria. La milizia di estremisti sunniti ha conquistato gran parte del nord dell’Iraq e della Siria orientale e si serve del business del petrolio per edificare il Califfato islamico. Un potere non statuale, transnazionale ed economicamente autosufficiente. Secondo il Dipartimento di Stato, prima della presa di Mosul, i miliziani rastrellavano 12 milioni di dollari in un mese grazie ad attività illegali. Gli uomini di Abu Bakr al-Baghdadi hanno messo le mani su parte delle risorse agricole e idriche irachene, si finanziano con estorsioni e rapine ma è il contrabbando di oro nero a farne una potenza economica.
L’Isis riesce a commercializzare greggio sul mercato nero attraverso confini nazionali che non esistono più e a fare quello che , usualmente, fanno gli Stati. Pagare gli stipendi, amministrare intere città, garantire, garantire le forniture elettriche. L’Isis «sta passando dall’essere l’organizzazione terroristica più ricca del mondo a essere lo Stato più povero del mondo», ha detto a Foreign Policy Michael Knights, esperto di Medioriente del Washington Institute for Near East Policy. «Senza il petrolio, l’Isis sarebbe come i palestinesi».
L’Isis controllerebbe il 60% dei campi petroliferi dell’est della Siria e diversi giacimenti e due raffinerie in Iraq
Stando alle informazione che arrivano dalle zone dove sventola la bandiera nera del califfato, l’Isis controllerebbe circa il 60 per cento dei campi petroliferi delle province orientali della Siria e, soprattutto, diversi giacimenti e due raffinerie in Iraq. I miliziani sunniti hanno messo le mani sulle rotte del mercato nero del petrolio. Il greggio viene contrabbandato in Giordania attraverso la provincia di Anbar, in Iran attraverso il Kurdistan e in Turchia passando per Mosul. «Il Nord dell’Iraq, il Sud della Turchia e l’Est della Siria sono storicamente infestati dai contrabbandieri che adesso si sono trasformati in intermediari del petrolio», ha spiegato a Yahoo News Luay Al Khatteeb del Brookings Doha Centre. Secondo quando riportato da Al Monitor, l’Isis ha venduto in Turchia petrolio per 800 milioni di dollari. Il greggio viene prelevato dagli oleodotti che transitano vicino alle città lungo la frontiera come Hatay, Kilisurfa e Gaziantep.
Il greggio viene contrabbandato in Giordania, in Iran attraverso il Kurdistan e in Turchia passando per Mosul
Fin dalle prime fasi della conquista dei territori di Siria e Iraq, l’Isis ha messo nel mirino le infrastrutture petrolifere. Garantire le forniture energetiche è stato uno degli elementi che ha permesso allo Stato islamico di consolidare la propria influenza sui territori conquistati. Mettere le mani sulle riserve e sulle infrastrutture petrolifere ha significato assicurarsi finanziamenti costanti. Secondo l’agenzia Bloomberg il greggio contrabbandato dall’Isis, circa 30 mila barili al giorno, garantirebbe due milioni di dollari al giorno. Una parte degli esperti di sicurezza energetica parlano di cifre superiori. Circa 80 mila barili di greggio al giorno che valgono 8 milioni di dollari. Per gli analisti di Platts Oil, nel Nord dell’Iraq l’Isis controlla dieci giacimenti ma solo quattro di questi sono ancora attivi. Qayara (20 mila barili al giorno), Sufiyah (8 mila), Ain Zalah (7 mila) e West Batma (2 mila). Il 25 agosto lo Stato islamico ha lanciato una nuova offensiva per conquistare la raffineria di Baiji, la più importante dell’Iraq, situata a circa 200 chilometri a Nord di Baghdad.
Il greggio contrabbandato dall’Isis garantirebbe da due a otto milioni di dollari al giorno
Gli Stati Uniti sono pronti a bombardare le regioni irachene sotto il controllo di al-Baghdadi ma gli estremisti sunniti sembrano puntare a Baghdad, la via che apre la strada alle regioni del Sud, ricchissime di petrolio. I traffici illeciti dell’Isis sottraggono al budget del governo iracheno 120 miliardi di dollari. Una perdita enorme: le esportazioni petrolifere sono la principale risorsa economica di Baghdad e il solo canale di afflusso di valuta straniera. Risorse necessarie per un Paese che deve ricostruire l’economia e le infrastrutture ancora in grave ritardo. L’avanzata degli jihadisti mette a rischio i target del terzo produttore di petrolio al mondo.
I traffici illeciti dell’Isis sottraggono al budget del governo iracheno 120 miliardi di dollari
Secondo il ministero del Petrolio iracheno le esportazioni di greggio dovrebbero aumentare nei prossimi mesi grazie all’incremento della produzione di alcuni giacimenti nel Sud del Paese, lontano dalla minaccia dell’Isis. Il primo passo dovrebbe essere compiuto al giacimento di Badra, nella provincia di Wasit, dove «la produzione passerà da 15 mila barili al giorno a 60 mila». È previsto anche un aumento della produzione al sito di West Qurna 2 a 400 mila barili giornalieri, rispetto ai 280 mila attuali. A settembre, inoltre, inizierà la produzione del giacimento Halfaya, nella provincia di Maysan, con una produzione di 100 mila barili al giorno.
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La delicata situazione irachena certamente non dispiace a due pesi massime della regione come Iran e, soprattutto, Arabia Saudita
Nel frattempo, però, a causa del terrorismo e della disputa con il Kurdistan l’Iraq ha già visto andare in fumo 16 miliardi di dollari. Il governo ha chiesto ufficialmente agli acquirenti petroliferi, locali e stranieri, di non comprare greggio estratto da giacimenti sotto il controllo dell’Isis. La delicata situazione irachena certamente non dispiace a due pesi massime della regione come Iran e, soprattutto, Arabia Saudita. I rapporti tra Baghdad e i paesi produttori del Golfo Persico sono sempre stati caratterizzati da ostilità e diffidenza. Gli iracheni vogliono produrre 4 milioni di barili al giorno nel il 2014 e di 4,7 nel 2015. Il riemergere dell’Iraq come grande produttore ed esportatore dopo decenni di isolamento internazionale e guerre è un fattore potenzialmente destabilizzante. In questo contesto si inserisce la preoccupazione di Rihad fronte al possibile riemergere dell’Iraq come concorrente politico ed economico sullo scacchiere regionale. La rinascita petrolifera irachena potrebbe ridefinire gli equilibri dell’Opec, l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio, riducendo il ruolo dominante dell’Arabia Saudita che fino ad ora è sempre riuscita a determinare sostanzialmente da sola il prezzo all’interno dell’organizzazione.
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