giovedì 18 giugno 2015

L'Italia è un paese di ponti non di ruspe. Bravo Alfano.

Migranti: case per i rom, tende per i profughi

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CAMPO ROM

Un passo avanti sui campi rom. Sempre più soli e ancora divisi sull’emergenza immigrazione. Il ministro Alfano vende via tweet l’accordo raggiunto nel pomeriggio al Viminale al tavolo con i sindaci sulla chiusura dei campi (“occorre smantellarli”) non certo con le ruspe come vorrebbe Salvini. Ma resta in stallo sull’emergenza profughi, stretto tra il monito di papa Francesco (“perdono per chi chiude le porte a questa gente in cerca di una nuova famiglia”), la pressione che arriva dal territorio, dai comuni e dalle regioni, e le porte chiuse in faccia in Europa. Se la riunione in serata al Viminale tra ministro dell’Interno, i sottosegretari Gian Claudio Bressa e Domenico Manzione, il prefetto Mario Morcone, sindaci e governatori doveva essere l’inizio di un nuovo accordo almeno nazionale dopo le tensioni dei giorni scorsi, sugli appunti di giornata restano qualche passo in avanti ma anche un nuovo rinvio. Al consiglio europeo del 25 giugno e ad un nuovo incontro tra il premier e i governatori.
Non una bella notizia con 56 mila sbarchi dall’inizio dell’anno e tutta l’estate davanti. Una notizia, soprattutto, che ci fa essere sempre più bisognosi di quel Piano B muscolare e interventista che il premier Renzi tiene pronto se tutte le porte, europee ma anche quelle interne, dovessero chiudersi. Come si stanno chiudendo. Cameron in visita all’Expo ha ribadito a Renzi il suo no alle quote nel Regno Unito, in cambio ci potrebbe dare intelligence e mezzi per bloccare gli sbarchi. L’Ungheria pensa di alzare un muro alto quattro metri lungo il confine con la Serbia. Nella riunione al Viminale, quella successiva ai campi rom, il governatore Zaia ribadisce: “Ho già detto che in Veneto ci sono 3.966 immigrati. Basta, di più non possiamo”. Persino la governatrice del Friuli Debora Serracchiani, vicepresidente del partito, ricorda al tavolo che nella contabilità di chi ospita chi, per quello che riguarda il Friuli vanno considerati “gli arrivi via terra” dai confini con Austria e Slovenia. Giovanni Toti, abbronzato che neppure si riconosce, sembra un po’ più morbido rispetto ai leghisti e la mette così: “Le regioni collaborano ma il governo ci deve dire qual è il progetto per provare a fronteggiare questa emergenza”. 
Dopo i chiaro-scuri della tornata elettorale, non c’è dubbio che palazzo Chigi ha messo il dossier sicurezza e immigrazione in cima all’agenda. Renzi e Alfano marciano separati sperando di colpire uniti. Di portare cioè in fretta a casa qualche risultato. L’Europa pretende che l’Italia faccia quello che non ha mai fatto: hot spot, centri dove trattenere gli immigrati per identificarli. Bruxelles vuole che siano “chiusi”. L’Italia non ci sta, non vuole centri che sono carceri dove centinaia di persone attendono un’identificazione che li bloccherebbe (per colpa del trattato di Dublino) in un paese dove non vogliono stare. La mediazione raggiunta in serata (la riunione è finita alle 21 e 30) riguarda la costruzione di hub, luoghi di smistamento per i richiedenti asilo, in ogni regione. I governatori portano a casa anche la promessa di “tempi più veloci per le procedure legate all’asilo” (adesso servono in media 215 giorni). Una fonte del Viminale presente alle riunione si dichiara “soddisfatta” perché in ogni caso “tutti i presenti, governatori e sindaci, hanno condiviso e ribadito il principio dell’accoglienza proporzionata”. Sono già state assegnate le nuove quite, regione per regione. Tutti d’accordo, tranne i soliti tre, Zaia, l’assessore lombardo Baronale (Maroni non è venuto) e Toti, che con toni diversi continuano invece a puntare i piedi. Un incontro costruttivo, insomma, ma non risolutivo. 
Il vero passo avanti Alfano lo porta a casa sul fronte rom. Tutti i sindaci sono d’accordo sulla necessità di smantellare i campi rom, criminogeni di per sé. Piero Fassino, che è anche presidente dell’Anci, chiarisce che “non si tratta di prendere le ruspe come vorrebbe Salvini”. Bensì di dare corso a una vecchia idea: un piano per separare i vari nuclei famigliari e poter così lavorare meglio sulla loro integrazione. Chi ha reddito si procurerà una casa. Chi non ce l’ha, potrà beneficiare di un piano abitativo. Sulla carta tutti d’accordo. Poi bisogna trovare i fondi. "Il Governo - dice Fassino - si è fatto carico di predisporre un fondo apposito, sulla base del quale Comuni e prefetture metteranno in campo un programma di superamento dei campi a vantaggio di una soluzione più civile e più sicura dal punto di vista della legalità".

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