martedì 16 giugno 2015

Riceviamo e pubblichiamo.




Ha ragione Umberto Eco: siamo tutti imbecilli

Blog post del 12/06/2015
  
Umberto Eco(ATTILA KISBENEDEK/AFP/Getty Images)
«I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli»
Questa è la frase, riportata dalla Stampa, della lezione magistrale che Umberto Eco ha tenuto a Torino in occasione del confermiento della laurea honoris causa in «Comunicazione e Cultura dei media» e che ha scatenato, proprio sui social che stigmatizzava, una reazione fiume che, paradossalmente, fa sì che Eco abbia ragione pur non avendo ragione. Sì, perché quello che è successo rivela un meccanismo intrinseco di social media come Facebook e Twitter: come una sorte di Re Mida al contrario, Facebook trasforma in banalità qualsiasi opinione entri in contatto con i suoi ingranaggi.
Immaginatevela come una gigantesca stanza sovrapopolata con le pareti di specchi che riflettono e moltiplicano all'infinito qualsiasi contenuto venga posto al centro di essa, in un processo talmente immenso che alla fine il contenuto vero, quello sacrificalmente calato al centro della stanza — un po' come i maialini dati in pasto ai Rex di Jurassic Park — sparisce, sepolto e cancellato da tutte le sue infinite riproposizioni, echi e variazioni. 
Quegli specchi però non sono specchi veri, quegli specchi siamo noi e le immagini che riflettono sono le nostre opinioni, che in quel luogo virtuale hanno artificialmente tutte la stessa dignità, visto che su Facebook siamo praticamente tutti uguali e un post di uno sconosciuto può iniziare a girare per il mondo tanto quanto un post di Obama.   
Al di là del valore intrinseco del contenuto iniziale (che può essere una stronzata gigante o la più limpida delle verità, non importa a nessuno, men che meno a Facebook) quello che conta in quell'immenso gioco di specchi socialvirtuale (e non bisogna dimenticare che il meccanismo di specchi serve a generare traffico, quindi a genereare soldi per FB) è proprio quell'orgia di opinioni che si sviluppano intorno: che è merda, ovvero un miscuglio indistinguibile di qualsiasi cosa, dall'ironico all'indignato, dal favorevole al contrario, dal ragionato all'improvvisato, dal colto al ignorante.
Il problema vero, però, è che dentro quella merda ci siamo anche noi, ci sono le nostre opinioni geniali o le nostre sparate di pancia idiote, c'è la bellissima vignetta di Alessio Spataro e il divetente articolo sarcastico di Booksblog, ma c'è anche questa mia opinione, incartata dentro il mio desiderio (un desiderio ridicolo e puerile, penso ora che lo sto scrivendo) di buttarla nel calderone insieme alle altre. In quella stanza c'è tutto fuorché una cosa: l'interesse nel costruire un'opinione condivisa.
Facebook è nato per broccolare, per guardare le foto delle tue compagne di università e scegliere con chi di loro flirtare al party del weekend. È nato per dimostrare di essere più fighi degli altri. Certo, poi come tutte le cose ha generato anche nelle piccole nicchiette utili, che so, qualche gruppo di consigli di libri, qualche gruppo di ascolto e di condivisione di problemi e chissà quanti altri. Ma in fondo è una immensa e inarrestabile gara a chi ce l'ha più lungo. Una gara a cui, per definizione, partecipano solo gli imbecilli.  
«Gli specchi e la copula sono abominevoli, perché moltiplicano il numero degli uomini», scrisse Jorge Luis Borges. Per un motivo simile anche Facebook è abominevole, perché alimenta, ingigantisce e moltiplica l'ego della gente, e il dramma è che l'ego della gente è una brutta bestia da uccidere, perchè è una di quelle bestie che hai dentro anche tu, e anche io.

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