venerdì 4 luglio 2014

Un articolo per far capire ai lettori da dove scappano i siriani che erano alla stazione di Milano. Gli sciacalli leghisti ormai di politica si sono ridotti al puro razzismo. E chi li segue è intollerante, ignorante e in malafede come Salvini.

IN TRAPPOLA TRA L'ISIS E ASSAD

Di Molly Crabapple 

Illustrazioni di Molly Crabapple.
"Quelli dell'ISIS sono buoni combattenti, ma li abbiamo fregati," dice Yusuf Halap in perfetto inglese. 
Il giornalista Patrick Hilsman e io siamo seduti con Yusuf e altri due giovani attivisti nel campo di Bab al-Salam, un centinaio di metri a sud del confine con la Turchia. Bab al-Salam ospita 20.000 sfollati siriani, principalmente donne e bambini. Sotto ai teloni polverosi, vivono in condizioni orribili. I bambini giocano scalzi accanto a fiumi di liquame. Malattie comuni si trasformano in epidemie. Il governo turco offre due pasti al giorno, ma l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati non fa niente oltre che fornire alcuni teloni. Il governo di Assad gli ha vietato di dare aiuti alle zone controllate dall'opposizione.
I sauditi e il Qatar sono i più appariscenti, e ostentano la loro generosità con tende personalizzate. "Il regalo all'umanità da parte del Regno Saudita," si legge su una. Gli Stati del Golfo finanziano i combattenti, e la beneficenza è marketing. 
In questa terra desolata, i giovani come Yusuf cercano di mettere insieme un futuro. Prima della guerra Yusuf era iscritto al primo anno d'ingegneria. Quando è scoppiata la rivoluzione, suo padre, un ufficiale dell'esercito siriano, ha disertato. Ho chiesto a Yusuf perché si è unito alla rivoluzione. "Stavano uccidendo donne e bambini," mi ha detto. 
Yusuf lavora sotto la bandiera del Fronte islamico, un'alleanza di combattenti più o meno interessati alla religione. Il Fronte islamico ha estromesso l'ISIS [Stato Islamico dell'Iraq e della Siria/Levante, che ha recentemente annunciato il cambio del nome in Stato Islamico] da varie zone della Siria del nord, compresa Azaz, dove si trova il campo di Bab al-Salam. Tuttavia, anche i gruppi affiliati con l'alleanza si sono macchiati di crimini di guerra, tra cui omicidi di prigionieri e il rapimento dell'attivista Razan Zeitouna. Il comandante di Jaish al-Islam, il gruppo in cima alla lista degli indiziati, nega quest'ultima accusa.
Yusuf ha 24 anni, è basso e smilzo e ha un sorrisetto diffidente. La prima volta che ha preso in mano un'arma è stato per combattere l'ISIS. Era ad Aleppo, dove ha ucciso due militanti—uno yemenita e un tunisino, mi ha detto ridendo. 
Nel passaggio dalla Turchia alla Siria la civiltà comincia lentamente a disgregarsi. La prima cosa che abbiamo notato Patrick e io sono stati i cumuli di immondizia. Poi i giovani mutilati. Poi una colonna di macchine, lunga cinque giorni, di famiglie che cercavano di entrare in Turchia. La polizia li controllava in cerca di ordigni esplosivi. Alcune auto erano state abbandonate in coda. 
C'erano camion, probabilmente carichi d'armi, che entravano in Siria. Ad entrambi i lati della strada prati verdi. Ma i fiori nascondevano mine. Un gruppo di ragazzi, uno dei quali sugli otto anni, lo stava attraversando. Volevano rientrare in Siria, senza documenti, ma i soldati turchi li hanno respinti.
Noi non abbiamo avuto problemi ad attraversare il confine. Se i turchi hanno finora mantenuto una politica di frontiere aperte per i siriani provvisti di documenti, non si può dire lo stesso per il resto del mondo. I nostri passaporti statunitensi ci garantivano libertà di movimento. Ma chi possiede solo quello siriano è confinato in un quadrilatero di quattro paesi, ed è obbligato a sottostare ai capricci di politici che raramente vedono i rifugiati come esseri umani. 
Se non hanno i documenti—o se questi sono scaduti—è ancora peggio. Non possono di certo rinnovarli all'ambasciata del regime. Un passaporto siriano falso costa 2.000 dollari rispetto ai 500 di qualche anno fa. Non avere il passaporto significa rimanere bloccato.
A Reyhanli, nel sud della Turchia, ho incontrato una giovane artista la cui famiglia aveva pagato degli intermediarli per arrivare illegalmente in Svezia, l'unico paese europeo a offrire asilo. Ma si erano fermati a Gaziantep, un'altra città turca vicino al confine siriano. La sua famiglia è stata fortunata. Le barche dei trafficanti sono tutto tranne che sicure. Le acque di Lampedusa sono piene di cadaveri siriani (e somali, ed eritrei). 
La famiglia dell'artista era riuscita ad attraversare il confine. Quelli di Bab al-Salam sono ancora in Siria. 
Mentre andiamo in giro per il campo, i ragazzini annoiati ci circondano dandoci il cinque o facendo il segno della pace per la macchina fotografica di Patrick. "Sono come le mosche," scherza Mohammed, attivista ed ex studente di letteratura inglese. Una ragazzina di 11 anni con la crescita chiaramente rallentata dalla malnutrizione mi mostra una verruca sulla mano. "Cosa vuoi diventare da grande?" le chiedo. "Turca", mi ha risposto.
In questo campo sono tutti sunniti. Chiedo dei curdi. "Sono andati dalla loro gente sulle montagne." E gli alawiti? I residenti del campo hanno riso, a disagio. No. Non ce n'è nessuno qui. Neanche uno. 
La rivoluzione siriana non era settaria. La guerra siriana lo è diventata. 
I residenti di Bab al-Salam sono stretti tra Assad, l'ISIS e la violenza generalizzata della guerra. Fuori dal campo, le morti causate da uomini traumatizzati da tre anni di perdite e dai missili non si contano. Uno sconosciuto viene fatto saltare in aria e il tiratore si sente un uomo. Da trauma nasce trauma. Tutti qui hanno visto cose inimmaginabili. 
Asma aveva quattro anni quando è stata colpita da una barrel bomb. Il suo viso è una chiazza di cicatrici. Ci sono voluti otto mesi perché le ferite guarissero abbastanza da permetterle di giocare. Il regime ama sganciare questi ordigni sui civili. Le chiamano bombe indiscriminate, anche se la logica della punizione collettiva è tutt'altro che indiscriminata. Chiunque si opponga al regime è un terrorista, a detta di Assad. Anche chi vive tra coloro che si oppongono al regime è un terrorista. Sono tutti terroristi.
Una donna di mezza età mi mostra il suo braccio. È stata colpita da un cecchino mentre sbrigava le sue faccende. "Chi è stato?" le chiedo. "Bashar," mi dice. "Bashar," ripete ancora e ancora. 
Walid, che ha 11 anni ma sembra averne sette, era uno scolaro di Homs appassionato di matematica. Ora non va più a scuola. Suo padre è morto, è stato fatto saltare in aria da un'autobomba dell'ISIS. Ci sono stati due attacchi suicidi contro il campo. L'ISIS uccide impunemente i siriani da molti mesi ormai, vantandosi dei propri crimini di guerra su Twitter. Ora sono in Iraq e il mondo si interessa a loro, almeno per questa settimana.
Quattro anni fa, questi profughi avevano una casa e un lavoro. Adesso le donne fanno la fila con le loro ciotole vuote per un po' di riso e pollo. I bambini si spintonano nella polvere attorno a un enorme pentolone, raccogliendo il riso con le mani. Non ce n'è mai abbastanza. 
Quando la gente non vuole schierarsi nella guerra siriana, spinge per gli aiuti. Non si rendono conto del fatto che gli aiuti sono di per sé un'arma. Assad vieta alle organizzazioni umanitarie di entrare nelle aree dell'opposizione. L'ONU ha protestato docilmente, mentre altre organizzazioni occidentali operano comunque, ma di nascosto. 
Gli aiuti principali arrivano dalla diaspora musulmana e siriana. Anche se rischiano la morte in Siria, o il marchio di "terrorista" a casa, queste ONG continuano a provarci. Ragazzi del New Jersey e gentili signore del Midwest che si sono conosciute in moschea arrivano nelle zone di guerra con coperte, latte in polvere o cestini di cibo, e mi vergogno per ogni giornalista bianco che sembra l'unico ad aver passato un giorno in Siria. Me compresa.
Un'organizzazione umanitaria della diaspora siriana che vuole restare anonima ha allestito due tende per bambini di Bab al-Salam. Le tende sono allegre e all'interno ci sono molti disegni. In una, i ragazzi fanno yoga con un giovane istruttore siriano che li guida tra le posizioni del corvo e del fiore di loto. Poi li fa disegnare. Ho disegnato anch'io con loro. Un ragazzo, che ha 14 anni ed è un attore nato, fa le imitazioni con l'acuta voce di Bugs Bunny. 
Le tende offrono una tregua dalla polvere, dal sole e dallo squallore. Se la rivoluzione esiste ancora è in questi giovani organizzatori, rifugiati che hanno visto la fine del loro mondo e lavorano insieme per ricostruirlo. 
Fuori dal campo c'è la città di Azaz. L'ISIS è stato appena cacciato via. I residenti hanno coperto i loro murales col colori pastello, scrivendo versetti coranici. "Non c'è costrizione nella religione". Ma le bombe di Assad sono state più persistenti. Un missile ha colpito Azaz il giorno prima della nostra visita. Siamo andati a vedere dove era caduta la bomba. È sparito un intero quartiere, le macerie sembrava polistirolo schiacciato, le auto fuse. Un uomo di mezza età scava nella polvere.
Chiediamo se Patrick può fotografare l'area, ma l'uomo solleva le mani verso l'alto intimandoci di andarcene. L'attacco ha ucciso due dei suoi figli. Cosa volevamo fare, andare lì e tirar fuori un articolo dal loro sangue? 
Sulla via di Azaz, la nostra auto si è fermata. Non è una città dove si ha interesse a restare a secco. Yusuf e Mohammed ci hanno accompagnato all'ufficio media di Azaz per recuperare "le loro macchine fotografiche", ma probabilmente si trattava delle loro pistole. Gli uffici sono in un ex palazzo governativo dalla grande scrivania vuota (l'ISIS ha rapito il comandante dell'ufficio media), con pile di opuscoli che insegnano come rimuovere qualcuno con una lesione spinale da un edificio bombardato. Ci sono molti edifici bombardati ad Azaz. Con le pareti inesistenti e le camere oscenamente spalancate. I piani si squagliano come una torta andata a male. 
Da qualche parte sparano dei colpi. "Un matrimonio," dice Yusuf senza troppa convinzione. Sugli striscioni si legge "Né Assad né ISIS".
A Bab al-Salam, come in gran parte della Siria, in questi anni l'osservanza religiosa è diventata sempre più rigorosa. Una pratica che ha causato fin troppi morti. Mentre siamo lì porto l'hijab. Gli uomini non mi stringono la mano. Eppure, come mi ha detto Mohammed, "l'ISIS si preoccupa delle cose più stupide. Chi indossa i jeans. Quanto è lunga la tua barba." La loro non è una logica religiosa, ma di controllo. Un conoscente che vive a Raqqa mi ha detto che l'ISIS ha fatto irruzione nella caffetteria di suo cugino durante la Coppa del Mondo per confiscare i due apparecchi tv. Il calcio era proibito. Più tardi sono apparse su Twitter foto di combattenti ISIS che si godono la Coppa del Mondo dai loro cellulari.
La nostra auto si è fermata di nuovo a un checkpoint. Abbiamo fatto l'autostop e ci ha caricato un combattente vagamente hippy, vestito di una mimetica blu. Aveva una pistola infilata nella cintura. 
Il ragazzo che ci controlla ha una maglietta che recita: "Qualcuno che mi ama molto è stato a Dubai e tutto quello che ho ricevuto è questa T-shirt". Yusuf e Mohammed ci portano nel minareto della moschea di Bab al-Salam. Mi siedo a disegnare i teloni di nylon sotto i quali si sono rifugiate 20.000 persone. Le tende si estendono a perdita d'occhio. 
La frontiera chiude alle 5 del pomeriggio. Prima di ripartire, Yusuf ci fa scrivere i nostri nomi su un bigliettino che dà alla dogana di fortuna del Fronte Islamico. Il messaggio implicito è: questo è davvero uno Stato. Ci hanno anche stampato un pezzo di carta al posto dei nostri passaporti. "Bab al-Salam, Siria libera," dice. Abbiamo attraversato il confine a piedi.
Due giorni prima di entrare in Siria ero a Reyhanli, a disegnare murales in una scuola di rifugiati per il programma Zeitouna, gestito dalla Fondazione Karam—un'altra iniziativa di aiuto siriano-americano. Dopo la giornata scolastica, noi volontari abbiamo preso un autobus per il confine. 
Dalle colline della Siria si vedeva il campo IDP di Atmeh. È una larga macchia bianca da 25.000 persone, gestita da un miscuglio di ONG. Chi ci vive non può entrare in Turchia. 
I cannoni antiaerei sul lato turco del confine spiegano perché queste persone sono venute ad Atmeh. Sperano che stringendosi abbastanza vicino al confine, Assad non li bombarderà per paura di far scoppiare una guerra. Ma lui li bombarda comunque. 
I confini sono cesellati dalla guerra, contorti dalla diplomazia. Ma ci sono degli esseri umani che vivono nelle terre di confine. In quelle tende così vicino alla Turchia, le famiglie subiscono le conseguenze della geopolitica. 
I volontari siriani tirano fuori le loro macchine fotografiche per farsi dei selfie. Sorridendo, si mettono in posa dando le spalle al paese in cui non possono tornare.

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