Riforme: i dissidenti interni contro l’accordo Renzi-Berlusconi
di Alberto Sofia - 05/07/2014 - Da una parte la sinistra del Pd in fibrillazione, dall'altra la fronda interna di Forza Italia, che spinge per far saltare il patto. Ecco gli ostacoli sul percorso delle riforme, dal Senato all'Italicum
Da una parte la sinistra del Pd in fibrillazione, dall’altra la fronda interna diForza Italia, che spinge per far saltare l’accordo con Matteo Renzi. Dopo il nuovo incontro tra il presidente del Consiglio e Silvio Berlusconi, sia in casa dem che tra i parlamentari azzurri non manca chi tenta di frenare il percorso delle riforme – Senato, Titolo V e legge elettorale – nato dal patto del Nazareno. Se prima era stata la trasformazione di Palazzo Madama a irritare le minoranze interne dei due partiti, con le 18 firme tra le file della maggioranzaa favore dell’emendamento di Vannino Chiti sul Senato elettivo e le tensioni tra i dissidenti nel gruppo forzista (con Minzolini e Brunetta su tutti), adesso anche il percorso dell’Italicum è a rischio, come riporta anche il quotidiano “La Repubblica“.
RIFORME: I DISSIDENTI NEL PD E FI CONTRO L’ACCORDO DEL NAZARENO – A largo del Nazareno le minoranze interne – cuperliani, bersaniani, civatiani e non solo – hanno sfidato Renzi sulla legge elettorale, accusandolo di voler blindare la riforma: «L’Italicum va modificato, lo capisce anche un bambino. Bisogna fare in modo che il cittadino possa scegliersi il deputato», ha attaccato l’ex segretario Pierluigi Bersani, intervistato da Sky Tg24, rievocando anche il nodo delle preferenze. Con un nuovo affondo: «Le democrazie che funzionano non sono quelle padronali», ha aggiunto, criticando – come già fatto in passato – il premier. Per poi sottolineare possibili “squilibri democratici” dal combinato disposto della nuova legge elettorale e della riforma del Senato.
Non è stato l’unico in casa democratica a esprimere perplessità. Anche l’ex sfidante di Renzi alle ultime primarie per la segreteria del Pd, Gianni Cuperlo, ha paventato rischi di incostituzionalità, qualora l’Italicum venisse approvato senza modifiche rispetto alla versione che ha già ottenuto il via libera di Montecitorio. Critiche al quale si è aggiunto lo stesso Chiti, tornato a spingere per un Senato elettivo e per permettere ai cittadini «di scegliere da chi essere rappresentati attraverso i collegi uninominali o le preferenze».
RENZI CONTRO I DISSIDENTI – Nonostante le accuse dei frondisti, per ora Renzi continua a manifestarsi ottimista: «Adesso i frenatori spostano il tiro sull’Italicum: bene, vuol dire che sulla riforma del Senato si sono già rassegnati», si legge sul quotidiano diretto da Ezio Mauro, in un retroscena di Francesco Bei. Lo stesso vicesegretario Lorenzo Guerini ha precisato che in Parlamento si discuterà, ma «non deve diventare l’occasione per frenare». Eppure, tra i fedelissimi renziani, non mancano i timori per il rischio di “franchi tiratori” al momento dei voti decisivi in aula. Anche perché i numeri restano ancora precari: senza i voti dei dissidenti dem, quelli di Forza Italia (oltre che delle Lega Nord) diventano decisivi. Anche per tentare di raggiungere i due terzi dei “sì” per evitare il referendum sulle riforme costituzionali. Considerate le tensioni nel gruppo azzurro, Renzi ha così chiesto a Berlusconi garanzie sulla tenuta del patto del Nazareno. Per questo è arrivato ieri il diktat di Berlusconi ai suoi, sotto forma della lettera con la quale il leader ha invitato i parlamentari di Forza Italia ad appoggiare le riforme. Sottolineando al tempo stesso, per cercare di convincere i più anti-renziani, come il partito «resti convintamente all’opposizione, non condividendo la politica economica e la politica sulla giustizia sino ad ora messe in atto da questo esecutivo».
LA FRONDA DENTRO FORZA ITALIA – Il senso della missiva del presidente di Fi era però chiaro: la riforma del Senato si farà. L’accordo verrà rispettato, senza troppe discussioni. Senza il possibile nuovo incontro con i gruppi, inizialmente ipotizzato per martedì prossimo e rivendicato da Minzolini e dal ras delle preferenze alle Europee, il rivale interno Raffaele Fitto. Dentro Fi, però, al momento del voto a Palazzo Madama, si potrebbe verificare un “redde rationem”: tra i 5 e i 25 sono i senatori che potrebbero decidere di non obbedire agli “ordini” di Berlusconi. «Sarebbe paradossale non avere il presidenzialismo e perdere contemporaneamente il Senato elettivo», ha incalzato Minzolini, a capo dei ribelli.
Sull’Italicum, invece, anche il Nuovo Centrodestra non intende essere relegato al ruolo di comprimario, dopo il testo blindato dall’accordo tra Renzi e Berlusconi: «Se la legge elettorale resterà questa, noi non la voteremo», ha replicato Quagliariello, responsabile della partita riforme per gli alfaniani, alleati di governo del Pd.
BERLUSCONI E IL NO ALLE PREFERENZE – Il governo aprirà ad alcuni correttivi, allargando la platea dei grandi elettori del Capo dello Stato. Non verranno però messi in discussione i punti cardine dell’accordo del Nazareno sulla legge elettorale. Soprattutto la questione preferenze, sulla quale il leader di Forza Italia resta fortemente contrario. Timoroso che possano essere sfruttate per scalare il suo partito, mettendo in discussione la sua leadership. Per aggirare le resistenze, il governo sta pensando di rendere obbligatorie per legge le primarie per entrare in lista. Lasciando però ai partiti la possibilità di applicare o meno la nuova norma per il prossimo rinnovo del Parlamento. Un espediente, valido soltanto per una volta e transitorio, per rassicurare Berlusconi e permettergli di controllare gli eletti. E che garantirebbe al tempo stesso a Renzi di allontanare parte delle critiche delle minoranze interne nel Pd.
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