giovedì 3 luglio 2014

Riceviamo e pubblichiamo

Immunità, ecco i deputati che hanno usato lo scudo

Mentre restano i dubbi sul nuovo Senato, a Montecitorio la Giunta lavora senza sosta
(Afp / Getty Images)

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Immunità parlamentare, mai così attuale. Dall’inizio della legislatura i procedimenti trasmessi alla Giunta delle autorizzazioni della Camera sono almeno una trentina. Per qualcuno è un odioso privilegio di casta, per altri un imprescindibile presidio democratico. Mentre i costituzionalisti si interrogano, governo e maggioranza cercano una difficile intesa sulla riforma che cancellerà il bicameralismo perfetto (solo ieri il ministro Maria Elena Boschi ha annunciato che l’introduzione dello scudo per i nuovi senatori potrebbe essere rivista durante il passaggio in Aula). Negli anni molto è cambiato. Dal 1993 la magistratura non è più obbligata a chiedere il permesso alle Camere per indagare su un parlamentare. Resta la richiesta di autorizzazione per procedere «al suo arresto - così si legge sul sito di Montecitorio - o ad altre limitazioni della libertà personale». Procedimenti che vengono esaminati dalla Giunta delle autorizzazioni, titolata a vagliare anche le vicende relative all’insindacabilità delle opinioni espresse dai deputati nell’esercizio delle loro funzioni (come previsto dalla nostra Costituzione). 
Il lavoro non manca. Per quanto riguarda le richieste di autorizzazione a procedere relative al secondo e terzo comma dell’articolo 68 della Costituzione - perquisizione personale, domiciliare, arresti o intercettazioni - nel giro di un anno e mezzo sono approdati in Giunta otto casi. Ben quindici per quanto riguarda l’insindacabilità delle opinioni espresse (a cui si aggiungono almeno tre procedimenti in cui sono stati i deputati interessati a chiedere una pronuncia della Camera). Una, infine, la richiesta di sottoporre a procedimento penale un ex esponente di governo per un reato commesso nell’esercizio delle sue funzioni. Mai come in questo caso, in Parlamento vigono le larghe intese. I procedimenti interessano deputati di centrodestra e centrosinistra. Spesso persino quelli non più in carica. Un esempio? Circa otto richieste di deliberazione in materia di insindacabilità delle opinioni espresse risalgono alla scorsa legislatura. Mai esaminate, sono state automaticamente reinserite tra i lavori della Giunta attuale. 

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L’ultimo deputato ad essere finito sotto l’attenzione dell’organo presieduto da La Russa è l’esponente di Forza Italia Giancarlo Galan. Travolto dall’inchiesta veneziana sul Mose, proprio una settimana fa l’ex governatore del Veneto ha presentato alla Camera la sua memoria difensiva. La decisione della Giunta è attesa tra pochi giorni. Ma come in tutti gli altri casi l’ultima parola spetterà all’Aula. Immunità trasversali, si diceva. Prima di Galan era toccato al deputato del Partito democratico Francantonio Genovese. In questo caso le domande di autorizzazione trasmesse dal giudice delle indagini preliminari di Messina a Montecitorio erano addirittura due. La prima, lo scorso marzo, per eseguire la misura cautelare della custodia in carcere. La seconda, a giugno, per chiedere alla Camera l’autorizzazione all’utilizzo delle intercettazioni telefoniche. Una vicenda particolare, quella di Genovese. Perché alla fine, tra mille polemiche, l’Aula di Montecitorio ha autorizzato l’arresto del deputato, accusato dei reati di associazione a delinquere, concorso in riciclaggio, peculato, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, dichiarazioni fraudolente ed emissione di fatture per operazioni inesistenti. 
Lo scudo è relativo, insomma. E non sempre garantito. Tre mesi fa la Camera ha autorizzato la magistratura ad acquisire i tabulati telefonici dell’ex parlamentare di Grande Sud Marco Pugliese. Le indagini riguardavano presunte prestazioni mediche rimborsate dal servizio di assistenza sanitaria dei deputati ma, questa almeno l’ipotesi della procura, mai effettuate. Stando ai dati forniti dagli uffici di Montecitorio, si scopre invece che lo scorso novembre l’Aula aveva rifiutato la richiesta del giudice delle indagini preliminari del tribunale di Roma di utilizzare «conversazioni e comunicazioni» per l’ex esponente di Futuro e Libertà Francesco Proietti Cosimi. Deputato all’epoca dei fatti ed ex braccio destro di Gianfranco Fini. Risulta estinto nel giugno 2013 il procedimento relativo al deputato di Scelta Civica Antonio D’Agostino. Per lui il giudice aveva chiesto l’autorizzazione all'esecuzione della misura interdittiva del divieto temporaneo di esercitare imprese e uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese. Vagliata e concessa dall’Aula il 27 novembre scorso, invece, la richiesta del Gip del tribunale di Roma di poter utilizzare ben 92 intercettazioni telefoniche di Nicola Cosentino. 

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La berlusconiana Michela Vittoria Brambilla rappresenta un caso unico nel suo genere. La sua vicenda arriva alla Giunta delle autorizzazioni lo scorso febbraio. Per lei, all’epoca dei fatti ministro del Turismo, il giudice chiede di poter procedere ai sensi dell’articolo 96 della Costituzione, che riguarda gli esponenti di governo. Al centro del caso ci sono due voli di Stato, effettuati su un elicottero dell’Arma dei Carabinieri. Si ipotizza il reato di peculato e abuso d’ufficio (anche se nei documenti trasmessi è la stessa procura a chiedere l’archiviazione). Alla fine sia la Giunta che l’Aula della Camera rifiutano di concedere l’autorizzazione a procedere. 
La maggior parte dei procedimenti sul tavolo della Giunta riguarda il primo comma dell’articolo 68 della Costituzione italiana. Sono le questioni relative alla insindacabilità delle opinioni espresse dai nostri deputati nell’esercizio delle loro funzioni. Tanti casi, ma poche votazioni. A fronte di quindici diverse vicende, tre procedimenti risultano ormai estinti. La Giunta delle autorizzazioni ha espresso un solo parere, lo scorso gennaio, a cui però non è ancora seguito il voto dell’Aula. Il motivo? Le richieste di arresto o perquisizione hanno la precedenza. Intanto il lavoro rischia di accumularsi. E forse non è un caso se otto richieste su quindici sono state ereditate dalla scorsa legislatura.
Giovanni Giolitti

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A leggere le carte depositate alla Camera si trova un po’ di tutto. Accuse di diffamazione in comizi, trasmissioni televisive, interviste e comunicati stampa. C’è il procedimento di Bergamo contro Umberto Bossi, accusato di aver insultato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e l’allora premier Mario Monti durante la Berghem Fest del 2011. Ci sono i casi relativi ai due ex parlamentari del Pd Gerolamo Grassi e Pietro Tidei. Il nome di Silvio Berlusconi compare cinque volte. Tre procedimenti sardi - uno dei quali estinto nel maggio 2013 - per presunte diffamazioni nei confronti di Renato Soru e della società Tiscali. E altre due richieste di risarcimento avanzate dal magistrato fiorentino Alessandro Nencini e dal procuratore aggiunto di Milano Alfredo Robledo.

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