lunedì 30 giugno 2014

Oliviero Diliberto sta contribuendo a scrivere il codice civile cinese come consulente del governo di Pechino

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La Cina è il paese del comunismo, ma non della giurisprudenza. Per questo, quando ha avuto bisogno di un parere per scrivere il suo codice civile, la Cina si è rivolta a un comunista italiano: Oliviero Diliberto, per anni segretario del Pdci. Colui che, ironizzando, propose di portare la mummia di Lenin in Italia. Uno, quindi, che con il comunismo internazionale ha sempre avuto a che fare. E che nel 1999, quando era ministro della Giustizia, ha aperto una vera e propria collaborazione con le università e il ministero cinese per aiutare la Cina a sviluppare il suo codice civile.
"Tutto nasce da un'intuizione di Sandro Schipani - racconta Diliberto - che nel 1988 capisce che la Cina, dovendosi aprire al mercato internazionale, avrebbe avuto bisogno di regole". Da quel momento si inizia a tradurre in cinese la giurisprudenza romana, fino a quando, nel 1996, il Parlamento cinese decide di dotarsi di un codice civile basato sul modello romano. Si arriva così al 1999, quando Diliberto, in quanto ministro, ma soprattutto comunista e insegnante di diritto romano, avvia una collaborazione ufficiale con la Cina. Così, aumenta il numero di studenti cinesi che vengono a prepararsi in Italia per poi poter collaborare alla realizzazione del codice in patria.
Come funziona l'apporto dato da Diliberto e altri docenti italiani, l'ex ministro lo spiega chiaramente: "Il codice lo scrivono loro, ma noi forniamo un supporto, diamo consigli e pareri quando richiesti". "Ad esempio - racconta Diliberto - abbiamo suggerito una soluzione sulla proprietà privata, ovvero quella di concedere a privati e a comunità le terre di proprietà dello Stato, rendendole redditizie e risolvendo il problema della proprietà che così rimarrebbe dello Stato".
Proprio quello della proprietà privata è uno degli aspetti più dibattuti in Cina: "Ci sono voluti tre anni per decidere - continua Diliberto - il punto chiave era quello di conciliare uno stato socialista con le leggi di diritto. Fatto quello, nel 2006, si è aperta la strada a tutto il resto".
Dopo la carriera politica - dalla quale Diliberto non si è del tutto ritirato, "rimanendo nel suo partito ma lasciando largo ai giovani" - le soddisfazioni arrivano dalla giurisprudenza per il docente di diritto romano della Sapienza: "Vedere la propria materia applicata nel presente e nel più grande paese del mondo - racconta - è una soddisfazione grandissima, un contributo a un pezzo di storia di cui essere orgoglioso come italiano". Diliberto, insomma, si "consola con la Cina". "Sono soddisfatto della mia carriera politica - continua - ho fatto cose che non mi sarei mai aspettato", ma ora la strada è dura.
"Mi auguro che i comunisti possano tornare in Parlamento, ma nella sinistra prevalgono le spinte centrifughe e le divisioni: ci sono stati spessi errori delle classi dirigenti, da cui non mi tiro fuori". E neanche il processo di riforme di cui si parla oggi convince Diliberto: "Quella del Senato sembra aberrante, le larghe intese mi sembrano innaturali" e anche su Renzi il giudizio è "critico".

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