Marco Milanese arrestato, il consigliere di Tremonti accusato di corruzione per il Mose
L'ex braccio destro del ministro dell'Economia, secondo i pm, ha incassato mezzo milione di euro per sbloccare i finanziamenti del Cipe per l'opera veneziana. Per i giudici poteva "reiterare il reato"
Marco Milanese, in passato consulente dell’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti e già coinvolto in altre vicende giudiziarie, è stato arrestato per corruzione dalla Guardia di Finanzanell’inchiesta Mose. All’ex parlamentare del Popolo delle Libertà sono stati sequestrati beni per 500mila euro. Secondo l’ordinanza con la quale la Guardia di Finanza aveva arrestato 35 persone a inizio giugno Milanese ricevette proprio una tangente da mezzo milione di euro che gli imprenditori del Consorzio Venezia Nuova – secondo le accuse – gli avevano versato nel 2010 per sbloccare i finanziamenti del Cipe per il Mose. Il denaro – secondo gli inquirenti – sarebbe stato consegnato a Milanese tra l’aprile e il giugno del 2010. Secondo l’accusa, il Cvn avrebbe pagato Milanese attraverso Roberto Meneguzzo, patron della vicentina Palladio finanziaria. La dazione sarebbe avvenuta a Milano e per questo gli atti relativi a Meneguzzo sono stati trasferiti dal tribunale del Riesame di Venezia in Lombardia per competenza territoriale.
“Rischio di reiterazione del reato”
La decisione del gip Alberto Scaramuzza è dovuta ai recenti sviluppi dell’inchiesta Mose che hanno fatto emergere “sussistenti motivi di urgenza a provvedere”. “L’urgenza” che ha portato all’arresto per corruzione nella vicenda Mose di Marco Milanese, è dettata dalla possibile reiterazione del reato. Nessun pericolo di fuga o occultamento delle prove – spiega l’Ansa citando fonti accreditate – hanno inciso sul provvedimento, ma il solo fatto che Milanese avrebbe potuto “reiterare il reato ai danni della pubblica amministrazione”. Di fatto, nonostante Milanese non sia più in enti o istituzioni pubbliche – secondo magistrati e investigatori – avrebbe tessuto negli anni una rete di contatti interpersonali ad alto livello che lo avrebbero potuto spingere a ricevere o chiedere nuove dazioni in cambio di favori nella realizzazione di opere pubbliche.
La decisione del gip Alberto Scaramuzza è dovuta ai recenti sviluppi dell’inchiesta Mose che hanno fatto emergere “sussistenti motivi di urgenza a provvedere”. “L’urgenza” che ha portato all’arresto per corruzione nella vicenda Mose di Marco Milanese, è dettata dalla possibile reiterazione del reato. Nessun pericolo di fuga o occultamento delle prove – spiega l’Ansa citando fonti accreditate – hanno inciso sul provvedimento, ma il solo fatto che Milanese avrebbe potuto “reiterare il reato ai danni della pubblica amministrazione”. Di fatto, nonostante Milanese non sia più in enti o istituzioni pubbliche – secondo magistrati e investigatori – avrebbe tessuto negli anni una rete di contatti interpersonali ad alto livello che lo avrebbero potuto spingere a ricevere o chiedere nuove dazioni in cambio di favori nella realizzazione di opere pubbliche.
La richiesta della Procura veneziana – nell’indagine condotta dai pm Stefano Buccini, Paola Toninie Stefano Ancillotto – era stata avanzata al gip il 10 giugno scorso, dopo i 35 arresti (tra cui il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, mentre pende la stessa richiesta alla Camera per l’ex governatore Giancarlo Galan). Con la stessa ordinanza con la quale ha disposto l’arresto di Milanese, il gip di Venezia Alberto Scaramuzza ha dichiarato la propria incompetenza per territorio ed ha disposto la trasmissione degli atti alla magistratura di Milano. Gli episodi di corruzione contestati a Milanese, infatti, avrebbero avuto come epicentro il capoluogo lombardo.
La presunta tangente del Consorzio Venezia Nuova
Nel quadro ricostruito dalla Procura di Venezia (e accolto finora dal tribunale con l’ordinanza del gip) il primo ostacolo che gli imprenditori veneziani del Consorzio Venezia Nuova furono chiamati a superare fu il blocco dei finanziamenti del Cipe, il comitato interministeriale di programmazione economica. Il ministro Tremonti, infatti, inizialmente non voleva includere i fondi anche per il Mose: 400 milioni che il Consorzio Venezia Nuova stava aspettando. Tutto gira intorno del Fas (Fondo aree sottoutilizzate). E’ Lorenzo Quinzi, capo di gabinetto di Tremonti, a spiegarlo al presidente del CvnGiovanni Mazzacurati: quei 400 milioni, spiega, sforerebbero la percentuale del Fas prevista per il sud (15%). Così, secondo Procura e fiamme gialle, inizia una strategia degli imprenditori per far cambiare idea al ministero. Mazzacurati, in quell’inizio di primavera del 2010, fissa appuntamenti con funzionari e politici: il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, il capo della struttura tecnica del ministero delle Infrastrutture Ettore Incalza e ancora Claudio Iafolla il capo di gabinetto dell’allora ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Altero Matteoli, anche lui indagato nell’inchiesta Mose.
Nel quadro ricostruito dalla Procura di Venezia (e accolto finora dal tribunale con l’ordinanza del gip) il primo ostacolo che gli imprenditori veneziani del Consorzio Venezia Nuova furono chiamati a superare fu il blocco dei finanziamenti del Cipe, il comitato interministeriale di programmazione economica. Il ministro Tremonti, infatti, inizialmente non voleva includere i fondi anche per il Mose: 400 milioni che il Consorzio Venezia Nuova stava aspettando. Tutto gira intorno del Fas (Fondo aree sottoutilizzate). E’ Lorenzo Quinzi, capo di gabinetto di Tremonti, a spiegarlo al presidente del CvnGiovanni Mazzacurati: quei 400 milioni, spiega, sforerebbero la percentuale del Fas prevista per il sud (15%). Così, secondo Procura e fiamme gialle, inizia una strategia degli imprenditori per far cambiare idea al ministero. Mazzacurati, in quell’inizio di primavera del 2010, fissa appuntamenti con funzionari e politici: il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, il capo della struttura tecnica del ministero delle Infrastrutture Ettore Incalza e ancora Claudio Iafolla il capo di gabinetto dell’allora ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Altero Matteoli, anche lui indagato nell’inchiesta Mose.
Lo sblocco dei finanziamenti per il Mose
Ma a Milanese il Cvn, secondo la magistratura inquirente, arriva appunto attraverso Meneguzzo, anche lui arrestato un mese fa. In una telefonata intercettata il 29 aprile Mazzacurati pare esultare: “Diciamo, è stato efficacissimo il nostro”. Già l’11 maggio l’obiettivo è raggiunto: “Volevo dirle che m’ha chiamato il nostro amico, allora mi ha detto che è confermato che domani va il Mose in Cipe” dice Meneguzzo a Mazzacurati, al telefono (sotto controllo). Il risultato è che il 13 maggio 2010 il Cipe dà il via libera ai finanziamenti. In totale 1424,2 milioni di euro. Tra le “opere prioritarie” queste c’è anche il Mose.
Ma a Milanese il Cvn, secondo la magistratura inquirente, arriva appunto attraverso Meneguzzo, anche lui arrestato un mese fa. In una telefonata intercettata il 29 aprile Mazzacurati pare esultare: “Diciamo, è stato efficacissimo il nostro”. Già l’11 maggio l’obiettivo è raggiunto: “Volevo dirle che m’ha chiamato il nostro amico, allora mi ha detto che è confermato che domani va il Mose in Cipe” dice Meneguzzo a Mazzacurati, al telefono (sotto controllo). Il risultato è che il 13 maggio 2010 il Cipe dà il via libera ai finanziamenti. In totale 1424,2 milioni di euro. Tra le “opere prioritarie” queste c’è anche il Mose.
Il mezzo milione dietro l’armadio
Sulla tangente destinata a Milanese era emerso anche un particolare. Accadde quando la Guardia di Finanza arrivo negli uffici del Cvn per iniziare una verifica fiscale proprio nel giorno il mezzo milione doveva passare di mano. L’episodio lo racconta in un interrogatorio Claudia Minutillo, ex segretaria personale di Giancarlo Galan, una delle figure chiave dell’inchiesta, già arrestata nel primo filone dell’indagine: ”Quella volta che la Guardia di Finanza arrivò in Consorzio Venezia Nuova a fare l’ispezione – riferisce Minutillo al pm – e Neri (uomo di fiducia di Mazzacurati, anch’egli indagato, ndr) aveva nel cassetto 500mila euro da consegnare, dissero, perché io non c’ero… Mi raccontarono ‘pensa che c’era Neri che aveva nel cassetto 500mila euro da consegnare a Marco Milanese per Tremonti, e li buttò dietro l’armadio’”. Poi il passaggio di denaro fu “perfezionato”, secondo i giudici, a Milano.
Sulla tangente destinata a Milanese era emerso anche un particolare. Accadde quando la Guardia di Finanza arrivo negli uffici del Cvn per iniziare una verifica fiscale proprio nel giorno il mezzo milione doveva passare di mano. L’episodio lo racconta in un interrogatorio Claudia Minutillo, ex segretaria personale di Giancarlo Galan, una delle figure chiave dell’inchiesta, già arrestata nel primo filone dell’indagine: ”Quella volta che la Guardia di Finanza arrivò in Consorzio Venezia Nuova a fare l’ispezione – riferisce Minutillo al pm – e Neri (uomo di fiducia di Mazzacurati, anch’egli indagato, ndr) aveva nel cassetto 500mila euro da consegnare, dissero, perché io non c’ero… Mi raccontarono ‘pensa che c’era Neri che aveva nel cassetto 500mila euro da consegnare a Marco Milanese per Tremonti, e li buttò dietro l’armadio’”. Poi il passaggio di denaro fu “perfezionato”, secondo i giudici, a Milano.
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