giovedì 29 maggio 2014

Mentre Salvini, Brunetta e Toti s'incontrano per costituire un partito di estrema destra ancora siamo alle anime? Andiamo avanti.

Matteo Renzi sprona la direzione Pd, ma il partito resta in silenzio. Vera pax? I timori di minoranza

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RENZI
Finita la relazione del segretario Matteo Renzi, “chi si iscrive a parlare?”, chiede Sandra Zampa alla direzione Pd riunita al Nazareno per un’analisi sull’exploit elettorale. In sala le rispondono con una specie di boato. Per dire: no, il dibattito no. Infatti, dopo l’intervento di Renzi, intervengono in pochissimi. Soprattutto nessun leader di minoranza prende la parola. La direzione si conclude in poco più di un’ora. E’ il silenzio di un partito ancora stordito dal suo leader e da quell’inaspettato 40 per cento alle urne. Ma è davvero pax quella che regna nel Pd post-europee? A parlare con la parte non-renziana del Pd, tra gente che ci mette nome e cognome e altri che chiedono l’anonimato, si scopre un misto di aspettative per quello che sarà il ‘Renzi del 40 per cento’, se cambierà atteggiamento verso il partito, se la gestione unitaria che vuole inaugurare sarà davvero unitaria, se c’è veramente da fidarsi sulla sua intenzione di non approfittare del successo per virare verso il voto anticipato. Insomma, un misto di determinazione ad agire fianco a fianco con il leader per non morire, ma anche un po’ di autotutela se è vero che, come spiega una fonte lettiana, “in questo Parlamento non c’è una maggioranza che voglia regalare a Renzi una legge elettorale. Nessuno vuole suicidarsi”.
La cosa su cui tutti, da Renzi in giù, dicono di essere d’accordo è che “l’era del congresso è finita”. Affermazione certamente vera nella minoranza, ‘asfaltata’ dal 40 per cento che, come ammettono nella stessa minoranza, è stato conseguito “soprattutto per lo strappo di leadership che abbiamo permesso e deciso”. Ora c’è chi ‘sale sul carro’ del vincitore, chi cerca di giocarsi le sue carte pur restando a distanza, chi come Stefano Fassina ammette: "Renzi è l'uomo giusto al posto giusto". L’aspettativa è che il premier si dimostri “più elastico” su tutti i dossier in discussione. A cominciare dalle riforme, dove la minoranza mista e variegata giudica positivamente la presentazione dell’emendamento al testo in discussione in Senato che prevede l’elezione indiretta dei senatori sul modello francese. Ma ci si aspetta aperture anche sulla legge elettorale. Lo dice chiaramente Pier Luigi Bersani che, arrivando alla direzione Pd, chiede modifiche all’Italicum: “Questa legge elettorale va corretta, non ho dubbi, e continuerò a dirlo". E poi giura che il Pd non si trasformerà in partito con una sola voce: “Continueremo a discutere, siamo il Partito Democratico, non una caserma. Il Pd ha una centralità nel Paese, riorganizzi le proprie idee, discuta con tutti, ma senza lasciare diritto di veto a nessuno: non c'è ragione nè politica né numerica per lasciare l'ultima parola a Berlusconi”.
Renzi vuole approvare la legge elettorale subito dopo la prima lettura delle riforme costituzionali in Senato, prevista per l’estate. Lo ha detto chiaro in direzione ma la minoranza si sente sollevata dal fatto che il premier per la prima volta non ha pronunciato la parola ‘Italicum’. Segno che Renzi mette nel conto modifiche all’impianto approvato alla Camera a febbraio, tra mille polemiche anche nel Pd? In effetti, per ora, il segretario si difende il doppio turno, previsto nel testo approvato a Montecitorio come norma di pulizia del voto. Per il resto, si dice aperto alla mediazione. “Colgo segnali di disponibilità”, concorda il bersaniano Alfredo D’Attorre. Si vedrà. Tuttavia, ci spiega la fonte lettiana guardando alla debolezza degli interlocutori del Pd sulla legge elettorale, “in questo Parlamento non c’è una maggioranza che voglia dare a Renzi una legge elettorale. Troppo rischioso, non si fidano e non vogliono suicidarsi”. Il riferimento non è solo alla minoranza Pd, che teme di essere tagliata fuori dalle prossime candidature, ma anche al Nuovo Centrodestra (4,4 per cento), Forza Italia (sotto il 17 per cento), per non parlare di Scelta Civica (0,7 per cento). Tutti partiti assai poco interessati a tornare a confrontarsi con gli elettori.
Messa così, si capisce che la discussione sulla legge elettorale potrebbe essere il tappo che blocca le riforme o lo scoglio su cui naufraga la legislatura, se Renzi alla fin fine chiamasse il ‘time out’ e portasse tutti alle urne con il Consultellum. Cosa che il premier vuole assolutamente evitare per investire invece sulla costruzione di un’immagine dell’Italia capace di autoriformarsi e di essere quindi “leader e non follower” in Europa: mission vitale. E poi c’è l’esperto Roberto D’Alimonte, vicino a Renzi, che continua a sconsigliare il ritorno al voto con il Consultellum: “Il Pd prenderebbe solo 270 seggi”, spiega sul Sole24ore.
Ad ogni modo, la questione non è all’ordine del giorno nel Pd. Il voto anticipato è più una nube lontana all’orizzonte che altro. Il 40 per cento alle europee ha anestetizzato i dissidi interni, magari li ha sciolti come nell’acido, per dire che non sono passaggi che avvengono in tutta serenità. “Però, se qualcuno si aspetta la stessa dinamica pre-voto si sbaglia – dice una fonte di minoranza bersaniana – adesso siamo uniti dallo stesso obiettivo: mettere a frutto quel 40 per cento. Discutendo sui contenuti, ma per fare le cose, non per bloccarle”. D’Attorre invita a “lasciare il congresso alle spalle. Anche la nuova segreteria non deve essere una somma correntizia, ma una squadra i cui componenti vengono scelti per competenze…”. Per il resto, “non sono renziano, né lo divento ma è questione di onestà intellettuale riconoscere che Renzi ha dato una scossa al Pd. Però io non immagino un partito dal pensiero unico: in futuro non rinuncerò a dire la mia”.
Da parte sua, Renzi sprona il partito. “Dobbiamo decidere se quel 40 per cento è un accidente della storia, un colpo di fortuna o un obiettivo stabile”. La sua idea: “Dobbiamo farne la nostra casa, stabilirci la nostra residenza”. Vale a dire continuare a mantenere il voto della "volontaria che fa i tortellini alle feste del Pd, ma anche quello dell'artigiano del nord-est". Perché per Renzi sta qui il motivo del trionfo alle europee. E' anche per questo che per il partito il segretario immagina una sorta di “formazione politica” in chiave moderna. Le Frattocchie sono il passato. Ora bisogna far uso di “strumenti tradizionali” ma anche (attenzione) delle “serie tv americane”. Da ‘West Wing’ a ‘House of cards’, di cui Renzi è noto fan, il carnet di fiction Usa che parlano del rapporto tra media e politica è ricco. Perché “è fondamentale studiare, conoscere il diritto amministrativo – dice il premier-segretario - ma bisogna anche imparare un racconto da esprimere all'esterno".
“In quel 40 per cento c’è l’apporto di tutti, anche il nostro”, si rivendicano dalla minoranza. Già, ma a quanto pare il futuro li vuole quanto meno “revisited”.

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