Grecia, il prezzo della crisi: a rischio la purezza dell'olio d'oliva

La crisi dell’olio d’oliva in Italia

La produzione italiana sta andando molto male quest'anno, un po' per il brutto tempo, un po' per una mosca e un po' per colpa nostra

Nel corso del 2014 il maltempo e la mosca olearia – un insetto la cui larva è un parassita degli ulivi – hanno danneggiato la produzione italiana di olio d’oliva: le piogge copiose hanno favorito gli attacchi dei patogeni e hanno avuto un impatto negativo sulla qualità e sulla quantità del prodotto finale. In alcune parti d’Italia la produzione è calata fino al 50 per cento rispetto allo scorso anno, e i prezzi si sono alzati: a Bari, per esempio, secondo i dati della Coldiretti (la confederazione nazionale degli coltivatori diretti) il costo dell’olio d’oliva è aumentato del 38 per cento.
Secondo l’ISMEA – l’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare - la produzione di olio di oliva dovrebbe scendere quest’anno a 302 mila tonnellate rispetto alle 464 mila (dato Istat) dello scorso anno. Al centro-nord si dovrebbe registrare un calo della produzione tra il 35 e il 50 per cento, mentre al sud le percentuali cambiano da regione a regione: in Basilicata e Abruzzo la produzione dovrebbe calare del 45 per cento, in Campania del 40 per cento e in Sicilia del 22 per cento. In Sardegna si parla invece di un probabile aumento del 30 per cento rispetto al 2013, un periodo nel quale però la produzione era stata scarsissima. Un leggero incremento dovrebbe esserci anche in Piemonte. L’ISMEA, comunque, ha diffuso solo dati parziali: per avere dei dati certi bisognerà aspettare dicembre. Alcuni piccoli produttori hanno scelto di non raccogliere le poche olive non danneggiate dal maltempo, perché facendolo non avrebbero potuto garantire il solito livello di qualità: ora dovranno vendere le scorte dello scorso anno.
Secondo Luigi Caricato, oleologo e giornalista, la colpa della diminuzione della produzione non è solo del maltempo. Sentito al telefono dal Post, ha detto:
«È vero che questa stagione è stata straordinaria in negativo: era dal 1985, quando una gelata distrusse buona parte del raccolto e molti alberi in Toscana e altre regioni, che non si avevano dei numeri così bassi. Però non è tutta colpa del maltempo o della mosca olearia: le forze della natura esistono e incidono ma quello che fa la differenza è la preparazione. L’Italia è rimasta arretrata per quanto riguarda l’olivicoltura moderna, abbiamo rinunciato alla sperimentazione. Le aziende, soprattutto quelle piccole, non si avvalgono dell’aiuto di un agronomo, per cui la qualità e la salute degli ulivi sta peggiorando. Ci sono molti uliveti abbandonati e altri che vengono gestiti da aziende che improvvisano.»
Inoltre, sottolinea Caricato, i dati che circolano finora andrebbero presi con le molle: «Sono un po’ di anni che i numeri della produzione italiana vengono gonfiati per ricevere aiuti economici da parte del governo o dell’Europa. Si parla ufficialmente di un calo del 35 per cento, ma è ancora presto per fare delle stime attendibili. A dicembre si potrà capire di più».
Più in generale, la produzione di olio d’oliva non è in crisi solo in Italia. Per esempio in Spagna (primo produttore di olio al mondo), nonostante le esportazioni di olio siano cresciute del 290 per cento rispetto al 2013, la produzione è calata. La Coldiretti ha detto che anche lì si sono dimezzati i raccolti, e che quindi sarà necessario trovare nuovi fornitori per coprire una richiesta di 460 mila tonnellate. Secondo Coldiretti, rispetto allo scorso anno «la produzione mondiale dovrebbe scendere del 17 per cento a 2,9 milioni di tonnellate. Gli effetti si faranno sentire sul mercato con un forte balzo dei prezzi dell’extravergine». In Italia, scrive il Fatto Quotidiano, l’industria olearia «vale oggi, e solo per l’export, oltre 1 miliardo di euro, con un fatturato diretto vicino ai 2,5 miliardi, a cui vanno sommati gli oltre 700 milioni dell’indotto, al netto dell’acquisto della materia prima».
La crisi di quest’anno farà perdere probabilmente all’Italia il secondo posto nella classifica mondiale dei produttori di olio (dovrebbe essere superata della Grecia). Secondo Caricato il problema è strutturale e non solo relativo a questa stagione.
«Ci stiamo dimenticando di trent’anni di abbandono degli ulivi. Tanto per fare un esempio, nel triennio 1995-1998 la Spagna ha piantato 45 milioni di ulivi; la Grecia 18 milioni di ulivi; l’Italia soltanto 1 milione e 430mila alberi. C’è una fetta sempre più ampia di oliveti in cui non si concimano bene i terreni, dove le piante non vengono potate con regolarità, come pure non vengono meccanizzate le operazioni di potatura e raccolta, pratiche invece decisive per abbreviare i tempi e per abbassare i costi di produzione, senza che venga meno la qualità. Non c’è l’interesse a cambiare atteggiamento: stiamo abbandonando la ricerca che ci aveva reso celebri nel mondo. Purtroppo, come ogni settore assistito, c’è chi approfitta dei soldi della collettività per trarre vantaggi personali senza apportare cambiamenti.»
La Coldiretti sostiene che la crisi potrebbe creare situazioni poco chiare riguardo alla provenienza dell’olio importato. «Il mercato rischia l’invasione delle produzioni provenienti dal Nord Africa e dal Medio Oriente, che non sempre hanno gli stessi requisiti qualitativi e di sicurezza». Secondo la Coldiretti occorre modificare la legge sull’olio approvata nel febbraio 2013, che prevede misure severe a tutela dei produttori italiani. Ma esiste anche un mercato nero dell’olio italiano, spiega Caricato al Post:
«Nel sud dell’Italia è presente un mercato nero delle olive: le olive vengono vendute nelle regioni con una forte carenza produttiva, per poi diventare olio di cui non sarà evidenziata l’origine pugliese, per esempio. È un fenomeno che ha creato sbilanciamenti. Ci sono stati frantoi che non hanno nemmeno aperto, subendo pesanti perdite, proprio per via di questa tratta non sempre legale delle olive. Il problema è che l’origine del prodotto diventa in tal caso incerta e i prezzi delle olive vengono gonfiati oltre misura, fino a volte a superare i 100 euro al quintale, quando il commercio ordinario si attestava negli anni passati fra i 35 e 45 euro, con punte di 50 euro per qualità eccelse e alte rese estrattive.»