giovedì 20 novembre 2014

Qualcuno chiami Di Battista per vedere se può andare a dialogare anche con l'Iran.

20/11/2014

L’Iran entra in Iraq: per combattere l’Isis

Teheran arma le milizie sciite. Ma così si rischia l’inasprimento del conflitto inter-etnico
Volontari della brigata Hezbollah schierati in territorio iracheno contro Isis (AHMAD AL-RUBAYE/Getty Images)

Volontari della brigata Hezbollah schierati in territorio iracheno contro Isis (AHMAD AL-RUBAYE/Getty Images) 

   
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Ha fatto molto scalpore la “lettera segreta" inviata da Barack Obama alla Guida Suprema iraniana Ali Khamenei. Alla notizia molti esponenti repubblicani a cominciare da Mitt Romney hanno rilasciato dichiarazioni incendiarie denunciando le manovre della Casa Bianca e sfruttando l’onda di indignazione generata dalla notizia nell’opinione pubblica americana. Polemiche e retorica politoco-elettorale a parte, però, la verità è che il tanto scandaloso carteggio Obama-Khamenei non si proporebbe nient’altro che certificare un’alleanza che sul terreno si è già concretizzata da mesi con la partecipazione agli sforzi militari contro lo Stato Islamico (IS) di numerose milizie sciite iracheno-iraniane direttamente dipendenti in termini strategici e logistici da Teheran e che, di fatto, già perseguono obiettivi in parte compatibili con quelli della coalizione a guida americana.
L’ingerenza militare iraniana in Iraq, in via più o meno informale, non è un fenomeno nuovo ma risale addirittura ai tempi del conflitto Iran-Iraq che insanguinò entrambi i Paesi per tutti gli anni Ottanta. In quegli anni i servizi segreti iraniani misero in piedi dei gruppi formati da sciiti iracheni che combatterono le forze del regime di Saddam Hussein dominato dalla minoranza sunnita del Paese. Tra questi vi erano le "Brigate Badr" le quali continueranno a essere attive anche durante l’invasione americana dell’Iraq del 2003 e che, come molte altre milizie formatesi in quegli anni, hanno costituito anche un gruppo politico - l’“Organizzazione Badr" - parallelo a quello militare. Il leader, Hadi al-Hamri, è stato anche ministro dei Trasporti negli esecutivi di Nuri al-Maliki - la figura politica che ha dominato la scena irachena degli ultimi 10 anni e che è accusato di aver marginalizzato e represso la minoranza sciita del Paese in nome della sua alleanza con l’Iran - ma con l’emergere della minaccia dell’Is ha immediatamente dismesso i suoi abiti civili per tornare a indossare la sua divisa delle Brigate Badr, una divisa molto simile a quella delle Brigate Al-Quds iraniane, il corpo d’elite della Repubblica Islamica.
Accanto alle Brigate Badr troviamo altri due gruppi che in questi mesi stanno combattendo accanto a quel che resta delle forze militari irachene attenendosi molto di più alle direttive di Teheran piuttosto che a quelle di Baghdad: le Brigate Hezbollah (da non confondere con l’Hezbollah del Libano) e il gruppo Asaib Ahl al-Haq.
Le Brigate Hezbollah sono anch’esse comandate da un veterano della guerra Iraq-Iran, Abu Mahdi al-Muhandes, detto più semplicemente “l’Ingegnere" - anche se sono di formazione più recente. Sono infatti emerse con l’invasione americana durante la quale si sono distinte per diversi attacchi contro le forze statunitensi che sono valse al gruppo l’iscrizione nella lista delle organizzazioni terroristiche. Questo non impedisce oggi alle Brigatee Hezbollah di essere il gruppo di gran lunga più forte tra le milizie paramilitari sciite e di reclutare migliaia di giovani dalle aree meridionali dell’Iraq.
Infine, le brigate Asaib Ahl al-Haq, in passato parte del cosiddetto "Esercito del Mahdi" di Moqtada al-Sadr e poi resisi indipendenti sotto la guida di Qais al-Khazali, sono anch’esse salite alla ribalta a seguito di sanguinosi attacchi contro le forze di occupazione statunitensi negli anni Duemila per poi specializzarsi nel rapimento e negli assassinii contro le minoranza sunnita sotto i governi di al-Maliki, del quale sono considerati la personale milizia.
Oggi tutti e tre questi gruppi sono attivi nelle regioni settentrionali occupate da Is dove l’esercito regolare dell’Iraq ha dimostrato di non essere sufficiente per contrastare l’avanzata dei fondamentalisti. Nonostante i leader di queste milizie partecipino direttamente ai consigli militari dell’esercito iracheno, non è un segreto che le direttive per le loro operazioni vengano direttamente dal leader delle Brigate al-Quds iraniane Qassem Soulemani, figura quasi leggendaria nella propaganda filo-sciita che lo vorrebbe attivo dal Libano all’Afghanistan e il principale artefice delle vittorie del regime di Assad dopo le prime pericolissime avanzate delle forze ribelli.
Ed è proprio dal fronte siriano dove questi gruppi erano concentrati che Soulemani ne avrebbe ordinato il ritrasferimento in Iraq per arginare l’avanzata dell’Is. Secondo gli analisti questo avrebbe rallentato la capacità militare del regime di Assad che fino a qualche mese fa sembrava vicino alla vittoria totale dimostrandone l’ormai completa dipendenza dalle forze straniere, in particolare quelle connesse all’alleato iraniano. Nonostante le notizie in merito ai crimini settari commessi da queste milizie sia in Iraq sia in Siria siano state sommerse dalle atrocità commesse e propagandate in ogni angolo del mondo dall’Is alcuni rapporti cominciano a uscire sui mezzi di comunicazione internazionali. Human Rights Watch ha pubblicato nelle ultime settimane articoli e report che documentano la distruzione di intere comunità sunnite da parte dalle forze paramilitari filo-iraniane. In molti casi le descrizioni dei villaggi rasi al suolo e delle eseucuzioni di massa ricordano molto le azioni di Is contro le minoranze religiose non sunnite, casa che rischia di impedire qualunque riavvicinamento tra le comunità religiose del Paese e che rischia di gettare definitivamente nelle braccia dell’Is anche i gruppi sunniti più moderati in disperata ricerca di qualcuno che li protegga.
Un gatto che si morde la coda insomma. Se da una parte infatti le formazioni sciite agli ordini di Teheran si sono finora rivelate fondamentali per limitare l’avanzata del Califfato, dall’altra stanno sempre di più costituendo un insormontabile ostacolo a quel dialogo nazionale tra sciiti e sunniti considerato indispensabile per sottrarre consenso alle forze fondamentaliste.
La lettera di Obama e la sua proposta di combattere Is apertamente insieme a Teheran avrebbe quindi senso solo se l’ufficializzazione di questa alleanza di fatto già presente sul terreno servisse a gettare finalmente una luce sulle attività dei gruppi paramilitari iracheno-iraniani e costringesse Teheran a prendersi la responsabilità di controllare e limitare le loro azioni. Il riavvicinamento strategico all’Iran non può infatti avvenire senza la rinuncia da parte di quest’ultimo alle continue azioni di destabilizzazione su base settaria portate avanti per decenni in tutta la regione. Perchè, se è vero come dicono gli analisti del Pentagono che l’America non può vincere la guerra contro Is senza l’aiuto dell’Iran, è anche vero che nemmeno la più grande coalizione del mondo può vincere questa guerra senza estirparne la causa principale: il continuo aggravarsi delle divisioni e degli odi settari in tutta la regione.

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