La strategia della mafia nera di Roma
Pochi omicidi, ma con finalità più ampie. I legami con le cricche legate alla politica. E i rapporti con i neofascisti. L'allarme del procuratore antimafia Roberti sulla nuova criminalità della capitale
Roma capitale: anche per la mafia. Una nuova mafia che uccide, ma solo quando è necessario. Ha una smisurata forza economica. Complici eccellenti tra imprenditori e professionisti. Usa la corruzione per comprare politici e pubblici funzionari. E stringe rapporti con terroristi mai pentiti della destra eversiva, cresciuti all’ombra di storiche protezioni garantite da pezzi dei servizi segreti e da altri settori dello Stato, compresa qualche divisa o toga sporca.
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Su “l'Espresso” in edicola domani il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, lancia l'allarme sulla criminalità nera che soffoca la metropoli capitolina. «Una volta gli omicidi a Roma venivano liquidati come “regolamenti di conti”. E non si parlava mai di mafia, solo di “mala”. Oggi non parlerei di guerra, anche perché molte indagini sono in corso. Ma alcuni omicidi sembrano avere una finalità strategica più ampia».
È il caso dell’assassinio di Silvio Fanella, il tesoriere di Gennaro Mokbel, l’ex neofascista condannato per il maxi-riciclaggio del caso Fastweb?
«Dico solo che mi riferisco ad alcuni omicidi. E ad altri episodi inquietanti».
In che senso oggi a Roma si parla di “nuova mafia”?
«Negli ultimi anni lo sviluppo dei gruppi criminali è stato segnato dalla globalizzazione dei mercati e dalla saldatura con l’economia. Il riciclaggio, il reimpiego di capitali illeciti, le connivenze nella finanza sono aspetti caratteristici delle organizzazioni mafiose moderne».
La Magliana e i terroristi neri spesso sceglievano obiettivi ricattatori: non si svaligia una banca a caso, ma il caveau del palazzo di giustizia, perché è lì che si nascondono i segreti dei potenti. Oggi la mafia nera ha poteri di ricatto?
«Risponderanno le indagini. Di certo la storia della mafia a Roma è fatta di questo potere di condizionamento». E la politica è ancora collusa? «Per una mafia economica l’omicidio è un atto estremo: prima ci provano con i soldi. Infatti i legami con certe cricche legate alla politica sono diventati strettissimi. Oggi la corruzione è lo strumento principe della metodologia mafiosa».
Il giornalista de “l'Espresso” Lirio Abbate, che vive sotto tutela da quando lavorava a Palermo, continua a subire intimidazioni a Roma.
«Leonardo Sciascia diceva che i mafiosi odiano i magistrati e i giornalisti perché ricordano. Lirio Abbate ha memoria storica: conosce nomi, date, fatti e sa collegarli al presente. Per questo è visto come un pericolo dalla mafia romana».
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Su “l'Espresso” in edicola domani il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, lancia l'allarme sulla criminalità nera che soffoca la metropoli capitolina. «Una volta gli omicidi a Roma venivano liquidati come “regolamenti di conti”. E non si parlava mai di mafia, solo di “mala”. Oggi non parlerei di guerra, anche perché molte indagini sono in corso. Ma alcuni omicidi sembrano avere una finalità strategica più ampia».
È il caso dell’assassinio di Silvio Fanella, il tesoriere di Gennaro Mokbel, l’ex neofascista condannato per il maxi-riciclaggio del caso Fastweb?
«Dico solo che mi riferisco ad alcuni omicidi. E ad altri episodi inquietanti».
In che senso oggi a Roma si parla di “nuova mafia”?
«Negli ultimi anni lo sviluppo dei gruppi criminali è stato segnato dalla globalizzazione dei mercati e dalla saldatura con l’economia. Il riciclaggio, il reimpiego di capitali illeciti, le connivenze nella finanza sono aspetti caratteristici delle organizzazioni mafiose moderne».
La Magliana e i terroristi neri spesso sceglievano obiettivi ricattatori: non si svaligia una banca a caso, ma il caveau del palazzo di giustizia, perché è lì che si nascondono i segreti dei potenti. Oggi la mafia nera ha poteri di ricatto?
«Risponderanno le indagini. Di certo la storia della mafia a Roma è fatta di questo potere di condizionamento». E la politica è ancora collusa? «Per una mafia economica l’omicidio è un atto estremo: prima ci provano con i soldi. Infatti i legami con certe cricche legate alla politica sono diventati strettissimi. Oggi la corruzione è lo strumento principe della metodologia mafiosa».
Il giornalista de “l'Espresso” Lirio Abbate, che vive sotto tutela da quando lavorava a Palermo, continua a subire intimidazioni a Roma.
«Leonardo Sciascia diceva che i mafiosi odiano i magistrati e i giornalisti perché ricordano. Lirio Abbate ha memoria storica: conosce nomi, date, fatti e sa collegarli al presente. Per questo è visto come un pericolo dalla mafia romana».
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