giovedì 20 novembre 2014

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Statali, sciopero per l’aumento. Mentre l’altra Italia rischia posto e bottega

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ROMA – C’è uno sciopero nello sciopero: quello degli statali, per meglio dire quello dei lavoratori dipendenti dalla Pubblica Amministrazione. Uno sciopero degli statali nello sciopero generale e uno sciopero degli statali che si fa in tre, diventa tre volte sciopero. Il primo dicembre sciopero degli statali della Cisl e d’accordo con la Cisl, non certamente pochi nel pubblico impiego. Qua e là nei giorni di dicembre sciopero dei sindacati autonomi del pubblico impiego, nella scuola ad esempio sono pochi ma non pochissimi. E il 12 dicembre sciopero degli statali Cgil, Uil e Ugl dentro lo sciopero generale.
Scioperano i sindacati del pubblico impiego e i dipendenti della Pubblica Amministrazione per il mancato rinnovo del contratto di lavoro. Scioperano quindi per il mancato aumento delle retribuzioni. Mancato aumento già da cinque anni e il 2015 sarà il sesto. Scioperano per l’aumento che non c’è e secondo loro doveva assolutamente esserci, nel 2015 e nei cinque anni trascorsi. Ne sono così convinti della doverosità dell’aumento, del diritto all’aumento che conteggiano i mancati aumenti come soldi “in meno”. Non come soldi ipotetici mancati ma come soldi reali appunto “in meno” in busta paga. Secondo i sindacati del pubblico impiego e a logica degli scioperi proclamati non sono soldi non concessi dal datore di lavoro ma soldi sottratti dal datore di lavoro ai lavoratori. Insomma l’aumento a cadenza temporale della retribuzione è secondo i lavoratori del pubblico impiego un diritto che il governo (i governi) ingiustamente nega. Un diritto da restaurare e ristorare.
Non è questo il luogo per misurare se e quanto le retribuzioni nel pubblico impiego siano basse, sufficienti o largheggianti. E comunque questi sarebbero giudizi soggettivi basati su parametri altrettanto soggettivi. A sostegno della inderogabile necessità di aumenti di retribuzione si potrebbe portare l’argomento tipo del basso stipendio degli insegnanti. Basso se rapportato agli omologhi europei e basso soprattutto se rapportato alla funzione sociale ed economica dell’insegnamento. A smontaggio della inderogabile necessità di aumenti di retribuzione si potrebbe portare l’argomento tosto del 13 per cento di crescita in più dei salari statali rispetto agli altri comparti del lavoro dipendente. Sì, tra il 2.000 e il 2.010 le buste paga dei dipendenti pubblici sono cresciute in media del 13 per cento in più di chi lavorava i aziende private. Non lo sapevate?
Non è questo il luogo e non è questa la bilancia per pesare quali argomenti pesino appunto di più. Qui si segnala solo una circostanza, un dato di fatto. Il lavoro dipendente privato è impegnato, con molte perdite e sconfitte, nella difesa del posto di lavoro. I lavoratori dipendenti privati in questo momento in Italia quando pensano a rinnovi contrattuali pensano soprattutto alla salvaguardia dell’occupazione. E spesso la salvaguardia del posto fallisce. Non c’è spazio e posto per aumenti sostanziali del salario, per rinnovi contrattuali basati sul soldi in più in cambio dello stesso lavoro di prima. Il lavoro autonomo è impegnato, con molte perdite e sconfitte, a non chiudere bottega. Qui contratti di categoria non ce ne sono, il lavoratore autonomo non contratta con se stesso, però se potessero siglerebbero di corsa un contratto che garantisca loro quel che hanno guadagnato nel 2013 per i prossimi tre anni.

Invece il pubblico impiego vuole l’aumento e sciopera per l’aumento. Non ci sono posti di lavoro a rischio nella Pubblica Amministrazione, se mai li avesse avuti il governo ha subito ritirato l’idea di uno sfoltimento sia pure morbido. Il massimo che rischia in teoria un dipendente pubblico è un trasferimento d un ufficio all’altro, da una funzione all’altra. Non ci sono licenziamenti e neanche saracinesche abbassate nel pubblico impiego. I tre milioni e passa di dipendenti pubblici non rischiano quel che stanno rischiando gli altri 17 milioni di lavoratori autonomi e privati oggi in Italia. Eppur scioperano, per l’aumento di stipendio. Eccola la circostanza, il dato di fatto. E  i fatti ognun li giudica come vuole e sa, quel che non si dovrebbe però mai fare è con i fatti polemizzare, litigare, negare.

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