Il grande accusatore ritratta e adesso Penati fa la vittima. Colpo di scena al processo sul sistema Sesto. L’esponente Pd: è la prova che le accuse sono false
Un colpo di scena in piena regola. Il grande accusatore ritratta tutto, mentre l’accusato ne approfitta per cominciare a togliersi molti “sassolini” dalle scarpe. Succede tutto a Milano, dove due giorni fa il tribunale ha ascoltato Renato Sarno, professione architetto, personaggio che nel febbraio del 2013 aveva mosso accuse pesantissime nei confronti dell’ex presidente della provincia di Milano, Filippo Penati (Pd). Il tutto nell’ambito di quel “sistema” Sesto, secondo l’ipotesi accusatoria infarcito di tangenti, che ha portato la procura del copoluogo lombardo a indagare anche la gestione della Autostrada Milano-Serravalle. “Gli interrogatori in manette”, ha detto due giorni fa Sarno secondo quanto riportato ieri da Repubblica, “sono stati frutto di una serie di angosciosi condizionamenti. Ho subìto pressioni di tutti i tipi. Mi è stato chiaro che se non avessi detto qualcosa su Penati non sarei uscito da lì”. Adesso rischia di scatenarsi un putiferio.
I PASSAGGI
Sarno, in buona sostanza, è stato sin qui considerato dai pm come collettore delle tangenti per Penati, all’epoca braccio destro dell’allora segretario del Pd Pier Luigi Bersani. Da qui l’inchiesta che ha portato l’architetto a essere indagato per corruzione, concussione, finanziamento illecito insieme allo stesso Penati e ad altre persone. Sarno, davanti al collegio presieduto dal giudice Giuseppe Airò, ha fatto una radicale marcia indietro rispetto alle dichiarazioni rese nell’interrogatorio del 4 febbraio 2013. Per esempio ha smentito che Penati gli disse, come l’architetto mise a verbale due anni fa, di aver dovuto comprare le azioni dell’Autostrada Serravalle dal gruppo Gavio e che non immaginava di dover spendere una cifra così consistente (238 milioni per il 15%). E ha negato soprattutto che il politico Pd gli rivelò di essere stato sostanzialmente obbligato a portare a termine quell’operazione perché l’acquisto, sarebbero state le parole di Penati, fu imposto dai vertici del partito nella persona di Massimo D’Alema.
Sarno, in buona sostanza, è stato sin qui considerato dai pm come collettore delle tangenti per Penati, all’epoca braccio destro dell’allora segretario del Pd Pier Luigi Bersani. Da qui l’inchiesta che ha portato l’architetto a essere indagato per corruzione, concussione, finanziamento illecito insieme allo stesso Penati e ad altre persone. Sarno, davanti al collegio presieduto dal giudice Giuseppe Airò, ha fatto una radicale marcia indietro rispetto alle dichiarazioni rese nell’interrogatorio del 4 febbraio 2013. Per esempio ha smentito che Penati gli disse, come l’architetto mise a verbale due anni fa, di aver dovuto comprare le azioni dell’Autostrada Serravalle dal gruppo Gavio e che non immaginava di dover spendere una cifra così consistente (238 milioni per il 15%). E ha negato soprattutto che il politico Pd gli rivelò di essere stato sostanzialmente obbligato a portare a termine quell’operazione perché l’acquisto, sarebbero state le parole di Penati, fu imposto dai vertici del partito nella persona di Massimo D’Alema.
LE CONSEGUENZE
Naturalmente tutta la situazione ha consentito a Penati di reagire togliendosi diversi sassolini dalle scarpe. Secondo l’ex presidente della provincia di Milano “si sta confermando che questo è un processo basato unicamente sulle dichiarazioni dei miei due presunti accusatori, Piero Di Caterina e Giuseppe Pasini. Le loro si stanno dimostrando accuse false e contradditorie. Dalle indagini, che sono state molto lacunose, non è emersa alcuna prova contro di me. Anche le rogatorie”, ha concluso Penati, “ordinate dalla procura per individuare miei presunti conti all’estero, non hanno portato a nulla”. Di sicuro si tratta di un passaggio per certi aspetti incredibile di tutta la vicenda giudiziaria che all’epoca scatenò un autentico terremoto non solo in Lombardia ma anche all’interno del Pd.
Naturalmente tutta la situazione ha consentito a Penati di reagire togliendosi diversi sassolini dalle scarpe. Secondo l’ex presidente della provincia di Milano “si sta confermando che questo è un processo basato unicamente sulle dichiarazioni dei miei due presunti accusatori, Piero Di Caterina e Giuseppe Pasini. Le loro si stanno dimostrando accuse false e contradditorie. Dalle indagini, che sono state molto lacunose, non è emersa alcuna prova contro di me. Anche le rogatorie”, ha concluso Penati, “ordinate dalla procura per individuare miei presunti conti all’estero, non hanno portato a nulla”. Di sicuro si tratta di un passaggio per certi aspetti incredibile di tutta la vicenda giudiziaria che all’epoca scatenò un autentico terremoto non solo in Lombardia ma anche all’interno del Pd.
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