Il problema del Belgio con il jihad
È il paese europeo da cui in proporzione sono partite più persone per combattere in Siria, e quello in cui l'antiterrorismo è intervenuto di più nelle scorse settimane
Gli scorsi quindici giorni di violenze hanno sottolineato e reso evidente la minaccia terrorista presente in Europa: da quando due fratelli che dichiaravano legami con al Qaida hanno ucciso 12 persone nella redazione di Charlie Hebdo fino alla scorsa settimana con gli arresti di decine di persone accusate di progettare attentati in Francia, Germania e Belgio, paese in cui le operazioni antiterrorismo sono state più estese. Oltre 350 cittadini del Belgio sono andati in Siria per combattere: il più alto rapporto procapite di tutti i paesi europei. Come altri stati, il Belgio sta affrontando le conseguenze di quelli che i critici definiscono decenni di inefficaci politiche di integrazione degli immigrati, inclusi molti musulmani. Ma il Belgio deve affrontare questioni particolari a causa della sua tradizionale divisione interna tra il nord fiammingo e il sud francofono che ha indebolito la capacità di risposta del governo, complicando le normali difficoltà di integrazione dei migranti.
L’esercito belga è stato schierato in tutto il paese sabato scorso per proteggere possibili obiettivi di attentati terroristici, una misura rara decisa dopo l’arresto di 13 persone il giovedì antecedente durante un’operazione di polizia mirata a prevenire un attacco. I media greci, sabato, hanno detto che altre 4 persone erano state arrestate in Grecia in relazione alle indagini in Belgio, ma il legame tra le due operazioni è stato poi smentito dalle autorità belghe.
Molti membri delle comunità islamiche del Belgio dicono che la miglior difesa a lungo termine del paese potrebbe arrivare solo da un nuovo sforzo per favorire l’integrazione dei gruppi di immigranti più vulnerabili, non da nuove misure di sicurezza. «È chiaro che la società belga ha un problema con la radicalizzazione. È vero» dice Mohamed Achaibi, vice presidente dell’organizzazione che raccoglie le diverse comunità musulmane del paese. «Ma perché ha un problema con i simboli musulmani? Perché ha un problema con le moschee nelle città?».
Molti membri delle comunità islamiche del Belgio dicono che la miglior difesa a lungo termine del paese potrebbe arrivare solo da un nuovo sforzo per favorire l’integrazione dei gruppi di immigranti più vulnerabili, non da nuove misure di sicurezza. «È chiaro che la società belga ha un problema con la radicalizzazione. È vero» dice Mohamed Achaibi, vice presidente dell’organizzazione che raccoglie le diverse comunità musulmane del paese. «Ma perché ha un problema con i simboli musulmani? Perché ha un problema con le moschee nelle città?».
Un adolescente belga, tra gli altri casi dei giorni scorsi, era determinato a partecipare alla guerra jihadista in Siria, tanto da anticipare i piani della sua partenza per la guerra, dopo che la polizia del suo paese ha arrestato una cellula di militanti lo scorso venerdì. I servizi di sicurezza del Belgio sono andati a prenderlo nel suo liceo nel tardo pomeriggio di venerdì. Il ragazzo ora è detenuto e in attesa di processo, dicono le autorità. È solo l’ultimo esempio dell’allarmante problema della radicalizzazione in Belgio, che ha messo il paese in prima linea nella battaglia europea contro il terrorismo “interno” influenzato dalle lontane guerre jihadiste.
La magistratura dice che i membri del gruppo individuato negli ultimi giorni stavano progettando di uccidere agenti di polizia e che è possibile che fossero a poche ore dall’attaccare. Le autorità dicono di aver trovato armi pesanti, esplosivo, false uniformi della polizia e wakie-talkie in una casa vicino al confine con la Germania. Due dei sospetti sono stati uccisi dopo aver aperto il fuoco sugli agenti di polizia che li avevano circondati.
Le autorità del Belgio stavano già portando avanti un grande processo contro i membri di un gruppo chiamato “Sharia4Belgium”, il più grande processo per terrorismo nella storia del paese. Secondo l’accusa, 46 persone lavoravano come membri di un’organizzazione terroristica per inviare combattenti in Siria. La fine del processo è stata rimandata di un mese, dopo gli attacchi di Parigi.
Sharia4Belgium è un elemento centrale dell’emergere del Belgio come fonte di combattenti per il Medio Oriente. Secondo gli analisti l’organizzazione ha creato un sistema logistico per aiutare le persone che volevano andare in Siria a combattere per il jihad. Anche molte persone che non sono andate in Siria con l’aiuto del gruppo sono state ispirate da amici che hanno viaggiato grazie a Sharia4Belgium e con cui sono rimasti in contatto grazie a Facebook e altri social network. Un carismatico predicatore di strada chiamato Fouad Belkace era a capo del gruppo, secondo l’accusa.
Sharia4Belgium è un elemento centrale dell’emergere del Belgio come fonte di combattenti per il Medio Oriente. Secondo gli analisti l’organizzazione ha creato un sistema logistico per aiutare le persone che volevano andare in Siria a combattere per il jihad. Anche molte persone che non sono andate in Siria con l’aiuto del gruppo sono state ispirate da amici che hanno viaggiato grazie a Sharia4Belgium e con cui sono rimasti in contatto grazie a Facebook e altri social network. Un carismatico predicatore di strada chiamato Fouad Belkace era a capo del gruppo, secondo l’accusa.
«Usavano Facebook, usavano foto della grande casa in cui vivevano in Siria» ha detto Gilles de Kerchove, Coordinatore Antiterrorismo UE, che ha aggiunto di ritenere Sharia4Belgium responsabile per l’alto numero di cittadini del Belgio partiti per la Siria: «Lo pubblicizzavano come un posto meraviglioso con piscine e bella vita».
Secondo le autorità, circa 100 cittadini del Belgio che sono andati in Siria a combattere sono poi tornati a casa. Alcuni di loro facevano parte del gruppo arrestato negli ultimi giorni.
Il problema dei giovani musulmani radicalizzati in Belgio, tuttavia, va oltre quello di un piccolo gruppo di terroristi. I musulmani sono il 6 per cento della popolazione del Belgio e secondo molti anche le famiglie che hanno vissuto nel paese per anni hanno dovuto affrontare problemi strutturali causati dal rapporto con la maggioranza cattolica del paese. La disoccupazione, per esempio, è molto più alta tra i cittadini provenienti da famiglie di immigrati.
Sharia4Belgium indicava misure legali come il divieto del 2012 di indossare il velo facciale completo come esempio dell’intolleranza del paese per i mussulmani. Diverse comunità religiose hanno anche avuto difficoltà a organizzare i rituali sacrifici di animali durante le feste tradizionali.
La divisione del Belgio tra fiamminghi e francofoni ha portato a una frammentazione delle politiche in materia di educazione, welfare e anche polizia. All’ingresso del Parlamento nazionale ci sono due defibrillatori da usare in caso di attacchi cardiaci: uno ha le istruzioni in francese, l’altro in fiammingo.
Gran parte di quelli partiti per la Siria sono originari delle Fiandre, dove un partito di destra nazionalista fiammingo è stato in ascesa per diversi anni. I critici dicono che i nazionalisti lasciano poco spazio per persone con nazionalità diverse. Nella parte fiamminga del paese, per esempio, molte scuole negli ultimi anni hanno vietato l’uso del hijab, il velo.
Ad aggravare il problema c’è il fatto che pochi imam in Belgio parlano fiammingo, la maggior parte francese e turco, oltre all’arabo. Per questa ragione, giovani musulmani che parlano fiammingo come prima lingua e hanno domande sulla loro religione sono spinti a cercare risposte su Internet.
Su Internet «non c’è l’Islam che abbiamo in Europa» dice Achaibi, ma invece una versione meno inclusiva e meno tollerante. Solo 10 imam delle 165 moschee delle fiandre parlano fiammingo, spiega Achaibi; un problema che sta cercando di risolvere da tempo.
Gli analisti dicono che i giovani mussulmani che si sentono tagliati fuori sia dalla gran parte della società del Belgio che dalla cultura dei loro antenati sono più vulnerabili alla radicalizzazione. «Lo Stato Islamico gli dà quello che il Belgio non è stato in grado di dargli: identità e struttura» sostiene Montasser AlDe’emeh dell’università di Anversa, che sta studiando la questione dei cittadini del Belgio che combattono in Siria. «Non si sentono né marocchini né belgi. Non si sentono parte di nessuna delle due società».
E quando alcune persone cominciano ad andare in guerra, il fenomeno comincia ad autoalimentarsi rapidamente. «Se giochi a calcio nel parco tutti i giorni e 2 dei tuoi 4 amici partono per la Siria, resti in contatto con loro su Facebook» dice AlDe’emeh. «Dicono: “è noioso in Belgio, qui abbiamo bei fiumi e kalashnikov. Qui in Siria siamo qualcuno”. In Belgio non sono nessuno».
Inizialmente, dicono gli analisti, il governo belga ha guardato dall’altra parte quando le persone hanno cominciato a partire per la Siria. Questo fenomeno è iniziato in un diverso momento del conflitto, quando sembrava che anche in Siria arrivasse il movimento pro-democrazia della Primavera Araba: molti europei andarono in Siria non per il desiderio di combattere una guerra jihadista, ma perché odiavano Assad e volevano contribuire alla sua caduta.
Poi il conflitto si è evoluto con un ruolo sempre più importante dei militanti islamisti che cercavano di costruire un califfato, ma gli europei non hanno smesso di andare in Siria. Le autorità del Belgio temono che alcuni di loro torneranno radicalizzati per lanciare attacchi anche in Europa. Questo ha spinto il governo ad adottare misure molto severe e rigide per non permettere alle persone di lasciare il paese per la Siria.
La paura che un altro giovane ragazzo fosse pronto per partire per la Siria ha spinto gli investigatori ad arrestarlo venerdì scorso, ha detto Hans Bonte, sindaco di Vilvoorde, il paesino fiammingo alle periferia di Bruxelles dove il ragazzo andava a scuola.
«Lo abbiamo visto radicalizzarsi». ha spiegato Bonte. «Lo abbiamo visto seguendo le sue comunicazioni su Internet, da quello che scriveva su Facebook e da quello che diceva in classe. Era tutto pronto per la sua partenza. È chiaro che quello che è successo a Parigi e qui ha velocizzato i suoi piani». La sua detenzione, dice Bonte, «Non è la prima di questo tipo, e temo che non sarà neanche l’ultima».
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