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Organizzazioni mafiose, sempre più potenti, e terrorismo islamico. Sono le minacce che incombono su Expo 2015 a meno di 100 giorni dall'inaugurazione dell'Esposizione universale. Ed è proprio nel contrasto a criminalità organizzata e fondamentalismo che la magistratura milanese dovrà spendere le maggiori energie. È la linea indicata da Giovanni Canzio, presidente della Corte d'appello di Milano, intervenuto all'inaugurazione dell'anno giudiziario: "Presenza e attenzione sarà riservata alla prevenzione e repressione di ogni forma di violenza di natura eversiva o terroristica o di matrice fondamentalista, che intenda profittare della portata internazionale di Expo 2015", ha detto Canzio. E ancora: "In vista di Expo, lo Stato è presente e contrasta l'urto sopraffattorio della criminalità mafiosa, garantendo, nonostante la denunciata carenza di risorse nel settore giudiziario, la legalità dell'agire e del vivere civile". Il vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini, ha annunciato rinforzi per il tribunale e la Corte d'appello di Milano per fare fronte al "superlavoro" che deriverà dall'Esposizione universale: "Contiamo di poter assegnare al distretto, prima dell'avvio di Expo 2015, circa 28 magistrati", ha detto.

Per Canzio, Expo potrebbe destabilizzare gli equilibri fra le varie organizzazioni mafiose: "Il fiorire di iniziative imprenditoriali collegate all'evento - chiarisce il presidente - lascia presagire che per la criminalità organizzata si aprano, insieme con nuove e più ricche opportunità, impreviste criticità, a causa del conflitto latente fra le originarie regole delle 'ndrine e i più ampi orizzonti di profitto". Nel suo complesso, comunque, le organizzazioni mafiose in Lombardia oggi sarebbero eccezionalmente forti. "La presenza mafiosa al Nord deve essere ormai letta in termini non già di mera infiltrazione, quanto piuttosto di interazione-occupazione", ha detto l'alto magistrato. Quanto alla 'ndrangheta, in particolare, sarebbe ormai "come una metastasi" nel territorio lombardo.

Parlando nell'aula magna del Palazzo di giustizia, il presidente della Corte d'appello ha anche commentato i più clamorosi casi di amministrazione della giustizia nell'anno appena concluso. A cominciare dall'audizione di Giorgio Napolitano nel processo sulla trattativa Stato-mafia. "È mia ferma e personale opinione - ha detto Canzio - che questa dura prova si poteva risparmiare al capo dello Stato, alla magistratura stessa e alla Repubblica Italiana". Il pm Nino Di Matteo, titolare del processo, replica a distanza: "Non ho intenzione di commentare le dichiarazioni del presidente della Corte d'appello di Milano, ma l'utilità della citazione a testimoniare dell'ex presidente Napolitano è già stata oggetto di valutazione della Corte d'assise di Palermo".

Canzio ha anche citato alcune recenti sentenze che hanno fatto scalpore, come quelle dei processi Eternit e Ruby: "L'opinione pubblica ha espresso sentimenti di diffusa indignazione per le recenti decisioni di proscioglimento, pronunciate in taluni casi dalle Corti di appello e dalla Corte di cassazione, come Cucchi, Berlusconi, gli scienziati e il sisma aquilano, Eternit". Pur senza scendere nel dettaglio del giudizio tecnico sulle sentenze, Canzio ha espresso comprensione per "l'umano sconcerto per i pur gravi eventi contestati e rimasti impuniti". Dopo essersi soffermato sulla buona performance degli uffici giudiziari milanesi (con una riduzione progressiva del numero di pratiche pendenti sia in tribunale sia in Corte d'appello), Canzio ha elogiato il lavoro dei giudici italiani, che "pure in condizione di stressante impegno lavorativo e talora in un clima ingiustificato di delegittimazione o addirittura dileggio, dimostrano spirito di sacrificio, senso del dovere, equilibrio, riservatezza".

In platea erano presenti Canzio l'ex premier Mario Monti, il cardinale Angelo Scola, il sindaco Giuliano Pisapia e l'ex sindaco Gabriele Albertini, il governatore Roberto Maroni, il prefetto Francesco Paolo Tronca e i vertici delle forze dell'ordine. All'ingresso dell'aula magna è anche andato in scena in modo platale lo scontro in atto da mesi all'interno della Procura di Milano fra il capo Edmondo Bruti Liberati e l'aggiunto Alfredo Robledo, 'declassato' dallo stesso Bruti dal pool anti-corruzione all'ufficio Esecuzione. Bruti Liberati si è presentato alla cerimonia circondato da tutti i suoi procuratori aggiunti, con l'unica eccezione di Robledo.

Sul caso è intervenuto anche Legnini, che rispondendo ai giornalisti ha detto: "Adesso è il tempo delle decisioni. C'è un'iniziativa disciplinare e l'udienza è fissata per il 5 febbraio, non posso dire nulla se non con gli atti che saranno adottati dal Csm". Già nel suo intervento dal palco, il vicepresidente del Csm aveva fatto un chiaro riferimento al caso Bruti-Robledo pur senza citarlo: "Auspichiamo una modifica legislativa - ha detto - che attribuisca al Consiglio un più efficace potere di intervento in situazioni pregiudizievoli della fiducia dei cittadini verso la funzione giudiziaria". Legnini è anche intervenuto sul tema dell'età a cui i magistrati possono andare in pensione: "Rimane auspicabile che il governo e il parlamento valutino se l'effetto indotto dall'abbassamento dell'età per il collocamento a riposo dei magistrati, che obbligherà il Consiglio a deliberare l'attribuzione di quasi 500 incarichi in un tempo ristrettissimo, sia o meno sostenibile''. Il riferimento è alle norme che hanno portato l'età pensionabile dei magistrati a settant'anni.

Un commento agli interventi del governo in tema di giustizia è arrivato anche da Laura Bertolè Viale, avvocato generale di Milano, la quale ha rimarcato come "non poche norme oggi in fase di approvazione peccano di distonia, cioè sono irragionevoli. Ritengo sia mio diritto pretendere la ragionevolezza della legge e sia mio diritto anche la critica". Bertolè Viale, intervenuta al posto del procuratore generale Manlio Minale (assente per ragioni di salute), ha criticato la riforma del fisco, ribattezzata 'salva Berlusconi', e bloccata in gran fretta dal premier Matteo Renzi, le riforme del Codice penale, del Codice di procedura penale e dell'ordinamento penitenziario, presentate dall'esecutivo alla Camera lo scorso 15 gennaio.
 In riferimento alla previsione di modifica della prescrizione, Bertolè Viale ha affermato che "ancora una volta i propositi iniziali si sono ridotti in un ben misero condensato". Lo stesso Canzio ha lanciato una stoccata al governo, affermando che la riforma della giustizia non può essere frutto di "accelerazioni o improvvisazioni dettate di volta in volta da frammentarie emergenze" e di certo non può aspirare al modello della "sentenza tweet".