Il Pm riceveva regalie dall’uomo dei Casalesi. Ma alla fine viene graziato e se la cava con una piccolissima multa
di Clemente Pistilli
Molti anni prima di Gomorra, quando fatti e misfatti del clan dei Casalesi erano confinati alle cronache di Caserta e mentre un gruppo di magistrati stava svolgendo le prime indagini che porteranno al maxi processo Spartacus, facendo così finire all’attenzione nazionale una tra le più potenti e feroci organizzazioni criminali italiane, c’era anche chi, indossando la toga, accettava regali da un uomo che in precedenza aveva indagato. E quell’uomo era un imprenditore, ritenuto dagli inquirenti legato alla camorra casertana. Rapporti che costarono all’allora pubblico ministero Silvio Sacchi un processo per corruzione. Ma dopo diciassette anni di battaglie nelle aule giudiziarie, dove dal ruolo di accusatore è passato a quello di accusato, il magistrato ha incassato sul fronte penale la prescrizione e su quello contabile ha chiuso la partita pagando pochi spiccioli. Dai 300mila euro chiesti inizialmente dalla Corte dei Conti, l’ex pm ha ottenuto ora lo sconto a 30mila. Non un centesimo in più.
LA VICENDA
Sacchi fu tra i magistrati campani travolti dalle inchieste sui rapporti camorra-magistratura. I suoi colleghi, a partire da quelli di Santa Maria Capua Vetere, dove lavorava, negli anni ottanta dichiararono guerra ai Casalesi. Il clan, sotto la guida di Antonio Bardellino, si era trasformato in mafia imprenditoriale, era protagonista di una feroce lotta intestina e alla fine venne colpito pesantemente con gli arresti e poi il successivo processo Spartacus. Vicende diventate un caso quando Roberto Saviano pubblicò Gomorra, ma che allora erano ignote ai più. Spuntò il sospetto che tra i magistrati c’era chi lottava contro la camorra e chi faceva il contrario. Nel 1998 il pm Sacchi venne così rinviato a giudizio dal gip di Salerno, con le accuse di concorso esterno in associazione mafiosa, di corruzione e abuso d’ufficio. Un processo che vedeva il magistrato imputato per presunti favori ai Casalesi tra il 1983 e il 1992 e per aver ricevuto dall’imprenditore Nicola Nappa, considerato legato al clan, vestiti di sartoria, auto di lusso da poter utilizzare, lavori edili gratis in un’abitazione, denaro, una vacanza in Val Gardena, un soggiorno all’hotel Hilton di Roma, pranzi e cene. E in cambio? Sempre per gli inquirenti, il magistrato si sarebbe prodigato per far scarcerare Nappa, per farlo assolvere e per far scarcerare il boss Vincenzo De Falco. Nel 2002 il Tribunale di Salerno condannò il magistrato a tre anni di reclusione e a risarcire il Ministero della giustizia, ma solo per l’accusa di corruzione, assolvendolo dal concorso esterno in associazione mafiosa. Due anni dopo la Corte d’appello derubricò il reato da concorso in corruzione propria e corruzione in atti giudiziari per atti contrari ai doveri d’ufficio, a concorso in corruzione impropria, reato quest’ultimo ormai prescritto. Nessun rischio dunque per la libertà della toga e addio anche al risarcimento. Una sentenza confermata nel 2005 dalla Cassazione.
Sacchi fu tra i magistrati campani travolti dalle inchieste sui rapporti camorra-magistratura. I suoi colleghi, a partire da quelli di Santa Maria Capua Vetere, dove lavorava, negli anni ottanta dichiararono guerra ai Casalesi. Il clan, sotto la guida di Antonio Bardellino, si era trasformato in mafia imprenditoriale, era protagonista di una feroce lotta intestina e alla fine venne colpito pesantemente con gli arresti e poi il successivo processo Spartacus. Vicende diventate un caso quando Roberto Saviano pubblicò Gomorra, ma che allora erano ignote ai più. Spuntò il sospetto che tra i magistrati c’era chi lottava contro la camorra e chi faceva il contrario. Nel 1998 il pm Sacchi venne così rinviato a giudizio dal gip di Salerno, con le accuse di concorso esterno in associazione mafiosa, di corruzione e abuso d’ufficio. Un processo che vedeva il magistrato imputato per presunti favori ai Casalesi tra il 1983 e il 1992 e per aver ricevuto dall’imprenditore Nicola Nappa, considerato legato al clan, vestiti di sartoria, auto di lusso da poter utilizzare, lavori edili gratis in un’abitazione, denaro, una vacanza in Val Gardena, un soggiorno all’hotel Hilton di Roma, pranzi e cene. E in cambio? Sempre per gli inquirenti, il magistrato si sarebbe prodigato per far scarcerare Nappa, per farlo assolvere e per far scarcerare il boss Vincenzo De Falco. Nel 2002 il Tribunale di Salerno condannò il magistrato a tre anni di reclusione e a risarcire il Ministero della giustizia, ma solo per l’accusa di corruzione, assolvendolo dal concorso esterno in associazione mafiosa. Due anni dopo la Corte d’appello derubricò il reato da concorso in corruzione propria e corruzione in atti giudiziari per atti contrari ai doveri d’ufficio, a concorso in corruzione impropria, reato quest’ultimo ormai prescritto. Nessun rischio dunque per la libertà della toga e addio anche al risarcimento. Una sentenza confermata nel 2005 dalla Cassazione.
MINI MULTA
A quel punto, però, si è messa in moto la Corte dei Conti, chiedendo a Sacchi di pagare 300mila euro per il danno causato all’immagine del Ministero della giustizia. Nel 2008 i giudici contabili della Campania hanno ritenuto sufficienti una condanna al risarcimento di 100mila euro, sostenendo comunque che si trattava di un “danno di eccezionale gravità”. E ora la Corte dei Conti d’Appello ha fatto al pm un altro sconto, avallando del tutto la valutazione fatta dai colleghi di primo grado sulla condotta del pm e il danno causato al Ministero, ma riducendo il risarcimento a 30mila euro. Bastano gli spiccioli.
A quel punto, però, si è messa in moto la Corte dei Conti, chiedendo a Sacchi di pagare 300mila euro per il danno causato all’immagine del Ministero della giustizia. Nel 2008 i giudici contabili della Campania hanno ritenuto sufficienti una condanna al risarcimento di 100mila euro, sostenendo comunque che si trattava di un “danno di eccezionale gravità”. E ora la Corte dei Conti d’Appello ha fatto al pm un altro sconto, avallando del tutto la valutazione fatta dai colleghi di primo grado sulla condotta del pm e il danno causato al Ministero, ma riducendo il risarcimento a 30mila euro. Bastano gli spiccioli.
Nessun commento:
Posta un commento