Perché il Patto del Nazareno non può essere illegale
11 novembre 2014
In data 10 novembre 2014 apprendiamo che l’On. Andrea Colletti, Portavoce alla Camera dei Deputati del Movimento 5 Stelle, ha depositato alla Procura di Roma un esposto-denuncia attraverso il quale chiede all’ufficio inquirente capitolino di valutare l’esistenza o meno di profili penalmente rilevanti nell’accordo tra Renzi e Berlusconi, accordo detto “Patto del Nazareno” (da Via del Nazareno, a Roma, sede del PD). Secondo indiscrezioni mai confermate dai diretti interessati, questo patto sarebbe stato siglato a gennaio del 2014 (con Letta ancora al Governo e Renzi da poco segretario del PD) e si sostanzierebbe in una sorta di agenda politica concordata tra i due leader.
L’esposto presentato alla Procura, lungo 31 pagine, contiene un elenco di atti, nomine, leggi, che sarebbero il frutto di questo accordo segreto tra l’attuale Primo Ministro e il Cavaliere; in particolare:
- non meglio specificate pressioni sulla Corte Costituzionale (anche ad opera del Presidente Napolitano) circa la pronuncia di incostituzionalità del Porcellum, da cui i Grillini avrebbero voluto far discendere lo scioglimento delle Camere e l’incostituzionalità di tutte le leggi votate dal 2006 in poi (non è il caso di commentare); nell’ambito di queste pressioni andrebbe letta la nomina di Giuliano Amato a Giudice Costituzionale da parte del Presidente Giorgio Napolitano;
- la riforma elettorale, anch’essa partorita, ad avviso di Colletti, nell’ambito del famigerato Patto;
- una serie di riforme al codice penale, tra cui la modifica dell’articolo 416ter (modifica assolutamente doverosa);
- la spartizione delle nomine dei giudici costituzionali e dei consiglieri laici del Consiglio Superiore della Magistratura, il tutto nell’ottica di indirizzare le pronunce della Consulta e di controllare le nomine dei capi degli uffici giudiziari (peccato però che i consiglieri laici del CSM siano un terzo del plenum);
- la riforma elettorale, anch’essa partorita, ad avviso di Colletti, nell’ambito del famigerato Patto;
- una serie di riforme al codice penale, tra cui la modifica dell’articolo 416ter (modifica assolutamente doverosa);
- la spartizione delle nomine dei giudici costituzionali e dei consiglieri laici del Consiglio Superiore della Magistratura, il tutto nell’ottica di indirizzare le pronunce della Consulta e di controllare le nomine dei capi degli uffici giudiziari (peccato però che i consiglieri laici del CSM siano un terzo del plenum);
Il documento sarebbe anche interessante, potrebbe essere una gradevole lettura dietrologica, da fare tra un solitario e un riposino. Ora, cosa c’entra la Procura di Roma? I cinquestelle vorrebbero che la magistratura indaghi sui risvolti penali dell’accordo tra Renzi e Berlusconi. La cosa ovviamente fa ridere.
Ma proviamo a ricostruire gli eventuali illeciti che potrebbero celarsi dietro questo “inconfessabile” accordo di Palazzo. Facendo uno sforzo titanico, potremmo individuare due distinte ipotesi di reato, tra loro alternative: la violazione della legge Anselmi (art. 2 l.17/1982) e il reato di “violenza o minaccia a corpo politico, amministrativo e giudiziario” (art. 338 c.p.). Ah, premettiamo che questo sforzo non è stato fatto dal mittente dell’esposto, che ha genericamente chiesto alla Procura di Roma di valutare l’esistenza di illeciti penali.
L’art. 2 della legge Anselmi, promulgata all’indomani della scoperta della Loggia P2, punisce i fondatori e i membri di “Associazioni segrete”, descritte dall’articolo 1 della legge medesima come associazioni occulte che “[…] svolgono attività dirette ad interferire sull’esercizio di organi costituzionali e di amministrazioni pubbliche […]”. Una legge assai discutibile, che sostanzialmente può arrivare a considerare reato l’attività di lobbying, mentre in altri ordinamenti l’orientamento è, al contrario, quello di regolamentare l’attività dei gruppi di pressione.
Quanto all’articolo 338 del codice penale, esso punisce la condotta di chi “usa violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ad una rappresentanza di esso, o ad una qualsiasi pubblica Autorità costituita in collegio, per impedirne in tutto o in parte, anche temporaneamente o per turbarne comunque l’attività”.
Sono reati molto diversi tra di loro; il discrimine è costituito sicuramente dall’utilizzo della violenza o di minacce, necessario affinché si integri il reato ex art. 338 del codice penale, ed irrilevante ai fini dell’applicazione della legge Anselmi; il fine tuttavia è analogo: salvaguardare il corretto funzionamento degli organi costituzionali, la cui attività deve essere libera da condizionamenti esterni.
Possiamo ritenere che le condotte tipiche descritte nelle fattispecie penali ora esaminate corrispondano al cosiddetto Patto del Nazareno?
Non sarebbe assolutamente necessaria alcuna risposta, dal momento che il sogno grillino di veder trascinato in Tribunale l’accordo (vero o presunto) tra Renzi e Berlusconi si infrange di fronte ad un ostacolo insormontabile: il principio di “insindacabilità parlamentare” previsto dall’art. 68 della Costituzione, secondo cui “ i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni;”, attraverso tale principio si vuole evitare che i membri delle Camere possano essere chiamati a rispondere in qualunque sede dei voti espressi nell’esercizio del loro mandato. Una norma sacrosanta, che mette la parola fine a qualunque pretesa di giudicare la liceità, sul piano penale, delle decisioni di voto dei membri delle Assemblee legislative. Discorso assai simile va fatto per il Presidente Napolitano, che secondo la denuncia avrebbe interferito più volte sull’attività della Consulta e che sarebbe dunque anch’egli parte di questa supposta associazione segreta. L’articolo 90 della Costituzione stabilisce che “il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione”; parliamo del principio di “irresponsabilità presidenziale”, attraverso cui si impedisce che il Capo dello Stato venga chiamato a rispondere degli atti compiuti nell’esercizio della sua funzione di garante della Costituzione.
Non sarebbe assolutamente necessaria alcuna risposta, dal momento che il sogno grillino di veder trascinato in Tribunale l’accordo (vero o presunto) tra Renzi e Berlusconi si infrange di fronte ad un ostacolo insormontabile: il principio di “insindacabilità parlamentare” previsto dall’art. 68 della Costituzione, secondo cui “ i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni;”, attraverso tale principio si vuole evitare che i membri delle Camere possano essere chiamati a rispondere in qualunque sede dei voti espressi nell’esercizio del loro mandato. Una norma sacrosanta, che mette la parola fine a qualunque pretesa di giudicare la liceità, sul piano penale, delle decisioni di voto dei membri delle Assemblee legislative. Discorso assai simile va fatto per il Presidente Napolitano, che secondo la denuncia avrebbe interferito più volte sull’attività della Consulta e che sarebbe dunque anch’egli parte di questa supposta associazione segreta. L’articolo 90 della Costituzione stabilisce che “il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione”; parliamo del principio di “irresponsabilità presidenziale”, attraverso cui si impedisce che il Capo dello Stato venga chiamato a rispondere degli atti compiuti nell’esercizio della sua funzione di garante della Costituzione.
Ma, indipendentemente da queste considerazioni (e ritorniamo dunque alla legge Anselmi e al reato ex art. 338 c.p.) che da sole sarebbero più che sufficienti per cestinare questa denuncia, possiamo veramente considerare reato un accordo politico? Se anche non esistesse il principio di insindacabilità parlamentare o di irresponsabilità presidenziale, e se dunque i due reati sopra esaminati fossero, in astratto, applicabili, ogniqualvolta dei leader di partito si accordano per votare questo o quel provvedimento dovremmo correre dai giudici affinché mettano sotto processo i leader in questione?
L’accordo tra partiti è il cuore della Politica, e la Politica non si processa.
L’accordo tra partiti è il cuore della Politica, e la Politica non si processa.
Spostando la valutazione da giuridica a politica, possiamo considerare più o meno opportuno che accordi così rilevanti vengano celati all’elettorato; ma da qui a considerarli reato, beh, ce ne vuole. Siamo ormai abituati a vedere giudici che si sostituiscono ai parlamentari (quando non diventano direttamente parlamentari, o cercano di farlo); viviamo in un paese in cui la separazione dei poteri si va sempre più sfumando. Pensiamo alla legge elettorale, sostanzialmente riscritta dalla Consulta, ai TAR che fanno e disfano i Consigli Regionali, ai giudici civili che hanno riscritto a colpi di sentenze il diritto di famiglia. L’interpretazione normativa è ormai diventata un mezzo per esercitare la funzione legislativa.
Almeno gli accordi politici lasciamoli ai politici.
Almeno gli accordi politici lasciamoli ai politici.
Francesco D’Avino
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