Il futuro dell’artigianato dalla A alla Z
Il rapporto 2014 di Confartigianato Lombardia racconta le possibile vie d'uscita per le pmi
«Partiamo da qui», s’intitola l’edizione 2014 rapporto sull’artigianato e sulle piccole e micro imprese di Confartigianato Lombardia. Regione «locomotiva» del Paese per antonomasia, idealtipica, a suo modo, per comprendere se vi saranno possibilità di rilancio o meno. In Lombardia come altrove, non c’è parola migliore di ARTIGIANO, da cui iniziare. Un termine che va oltre i 344mila imprenditori lombardi, uno su cinque, che si definiscono tali e il luogo comune di chi per troppo tempo ha declinato l’artigianato al passato. Artigiano oggi non è solo un nome, ma un attributo che connota la capacità sartoriale di costruire soluzioni su misura per le esigenze di ogni singolo acquirente. È dal 2008 che per gli artigiani lombardi sono anni duri e il 2013 è stato il più duro di tutti: 5.216 imprese in meno, pari al 2% sul totale, la quasi totalità delle quali afferenti ai settori della manifattura (-1.540) e delle costruzioni (-3.464). In sintesi: l’artigianato è il futuro, a patto che cambi, cresca, si evolva.
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Prima di chiederci «come» è tuttavia opportuno domandarsi «perché» è necessario che l’artigianato prosperi. Semplice: perché la presenza delle attività artigiane nelle comunità locali è tale da produrre non solo ricchezza, ma vero e proprio BENESSERE. Qualche esempio: una bottega artigiana non è solo luogo dove si producono oggetti, ma il «caveau» in cui sono custoditi saperi tramandati di generazione in generazione: provate a chiedere al titolare di una di quelle che oggi vengono definite «medie imprese eccellenti» di parlargli dei suoi subfornitori. Provate a chiedergli di quantificare il danno di una loro eventuale scomparsa.
Se tutto questo è vero, è evidente come la questione dei prossimi anni sia quella di far entrare in CRISI le imprese artigiane. No, non è un refuso e nemmeno una provocatorio paradosso. È una crisi il passaggio da bambino ad adolescente, da studente a lavoratore, da figlio a genitore. Fuori di metafore, la recessione ha catapultato l’artigianato lombardo in una nuova era economica. In un mercato come quello attuale, sempre più globale, in cui si ridefiniscono lecompetenze, le fonti di finanziamento, le modalità di relazione con i clienti, finanche i mezzi di produzione, tra Arduino e le stampanti 3d, l’artigiano, per cogliere la ripresa, deve reinventare sé stesso.
Tra i tanti cambiamenti che la rigenerazione impone, è fondamentale la transizione verso la cultura DIGITALE. La Lombardia deve cominciare a correre: solo il 4,6% delle imprese, infatti, sfrutta l’opportunità di vendere online almeno l’1% di quel che produce. Un dato di poco superiore alla media italiana (4%), ma di gran lunga inferiore al 12% spagnolo o francese, al 14% britannico, al 21% tedesco. Forse dobbiamo cominciare a preoccuparci anche di questo spread.
Dovremmo, perché la digitalizzazione serve ad accedere ai nuovi mercati, in particolare a quelli esteri. La crescita delle ESPORTAZIONI, infatti, è da più parti ritenuta cruciale per chi ha ambizioni di prosperare nel nuovo scenario competitivo. La Lombardia già esporta parecchio: nel 2013, sono andati all’estero circa 105 miliardi in prodotti manifatturieri lombardi, 4,5 miliardi in più di Veneto ed Emilia-Romagna – rispettivamente seconda e terza - messe assieme. È una tendenza diffusa: i prodotti di metà delle imprese lombarde con più di tre addetti hanno già varcato, almeno una volta, i confini nazionali, soprattutto in direzione di mercati extra-europei come la Russia, il Giappone, la Cina e la Turchia (+38,2% dal 2009 al 2013). Mercati, quelli extra UE, che per 4 imprese manifatturiere lombarde su 10 rappresentano il principale bersaglio su cui bisogna puntare, per provare a darsi un futuro.
Per digitalizzarsi, esportare, crescere servono soldi, e in assenza di capitali propri cui attingere – fortunato chi ce li ha, dopo sei anni di recessione – tutto questo si traduce in FINANZIAMENTI esterni, sovente bancari. Le lancette non torneranno mai al 2007. Le imprese – soprattutto quelle piccole – dovranno fare i conti con l’ennesimo salto culturale: progetti di medio periodo, business plan dettagliati, rigorose analisi dei fabbisogni finanziari. Le associazioni di rappresentanza e i loro consorzi di garanzia fidi saranno fondamentali per girare la prua delle tante piccole barchette artigiane in questa nuova direzione. Altrimenti continuerà a essere credit crunch. Come nel 2013, anno in cui lo stock di finanziamenti erogati alle imprese artigiane è calato ancora del 6,8%.
Dal capitale al lavoro, il passo è breve. Dalla questione lavoro alla questione GIOVANI, pure. Dall’inizio della crisi a oggi, in Lombardia, l’occupazione giovanile è calata del 22,8%, mentre quella dei lavoratori più anziani è cresciuta del 9,2%. Altrettanto preoccupate è il dato relativo alla quota di giovani lombardi tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano, una quota pari al 16,2% e in costante crescita dall’inizio della crisi a oggi. Per invertire la tendenza, l’artigianato può essere una risposta. I dati raccontano come circa 4 giovani imprenditori su 10, in Lombardia, siano artigiani. Fuor di percentuali, in Lombardia già ci sono quasi 34mila imprese artigiane gestite da giovani under 35, pari al 13,1%.
È anche merito di questi giovani imprenditori, se l’artigianato lombardo, in questi ultimi anni, ha imboccato il sentiero dell’HI-TECH e dell’INNOVAZIONE. Su 17mila imprese lombarde ad alta specializzazione tecnologica, quasi 14mila hanno meno di 20 addetti e oltre 7mila sono artigiane. Tra queste ultime, la metà opera nella produzione di materie plastiche, di macchine utensili e di apparecchiature elettriche. L’innovazione, tuttavia, non si ferma a tali realtà: un recente sondaggio di Confartigianato Lombardia tra oltre mille le imprese iscritte, ha evidenziato come, negli ultimi due anni, 7 su realtà su 10 abbiano investito in innovazione. Tra loro, un terzo ha migliorato prodotti e servizi, il 24,1% ha investito in materiali innovativi e il 20,7% in nuove tecnologie. Le più innovative? Ancora una volta le imprese manifatturiere.
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C’è la frontiera, ma nel mondo dell’artigianato ci sono anche le retrovie. E nelle retrovie far rispettare le regole di una competizione LEALE è ancora più difficile. I dati dell’Istat raccontano che l’economia invisibile – quella fatta di abusivismo, evasione ed elusione fiscale - produce oggi un valore che oscilla tra il 16,3% e il 18% del Pil italiano. Quanto l’abusivismo pesi sulle imprese che rispettano le regole è stato dimostrato da un recente approfondimento di Confartigianato Lombardia sul settore «Acconciatura ed Estetica», un settore che fa 23mila imprese, 41mila addetti e nel quale si stima che la concorrenza sleale di parrucchiere ed estetiste a domicilio - il 10,8% del totale complessivo delle imprese del settore - arrivi a costare ai saloni “regolari” circa 180 milioni di euro.
Alla lettera M non può che esserci la MANIFATTURA. Vero, il trend relativo alla nati-mortalità delle imprese lombarde registra da anni una progressiva diminuzione delle realtà imprenditoriali che producono cose e un aumento di quelle che offrono servizi. Tuttavia, le imprese manifatturiere che sono sopravvissute alla tempesta degli ultimi sei anni, pare abbiano ricominciato a far muovere le macchine. Nel 2013 il calo della produzione, che tra il 2011 e il 2012 era scesa di 7,3 punti percentuali è rallentato facendo registrare una discesa «solo» dell’1,8% con una lieve e timida risalita sopra il livello del mare (+0.9%) nel quarto trimestre. In tempi di vacche magre, ci si accontenta di poco.
Alle frontiere però non ci sono solo imprese che tornano, ma anche molti NUOVI CITTADINI che cercano in Lombardia un luogo a misura della loro voglia di intraprendere: le imprese artigiane gestite da titolari stranieri sono ben 40.604 e rappresentano ormai il 15,7% del totale. Più della metà di queste imprese - il 57,1%, per essere precisi – è nato durante la grande recessione, tra il 2008 e il 2013. È una tendenza che pare non conoscere ostacoli: nel 2013, mentre la totalità delle imprese artigiane è calata dell’1,7%, quelle con titolare straniero crescono dell’11,3%.
Oggi ci sono 379mila persone in cerca di un’occupazione, più del doppio rispetto a quante ce ne fossero sei anni fa. La responsabilità di tale calo è soprattutto da ricercare nella continuo calo occupazione del settore delle costruzioni (6,8%), che più di altri ha pagato questa seconda ondata recessiva. Tuttavia, nonostante le difficoltà nel 2013 è calato il numero degli inattivi, che, a oggi, sono «solo» 3.884. O come occupazione sarebbe stato esagerato, quindi. Tuttavia, la tenuta della OPEROSITÀ lombarda è, pur tra mille problemi, un’ottima precondizione per provare a ripartire.
Checché ne dicano le troijke, le vestali delle grandi organizzazioni industriali e le menti raffinate che hanno partorito gli accordi di Basilea II (e sequel successivi) la ripartenza lombarda, se e quanto sarà, non potrà prescindere dai PICCOLI IMPRENDITORI. Non è solo una questione di quantità, anche se essere il 98% sul totale delle imprese è già un buon indizio di imprescindibilità. La questione, tuttavia, è anche relativa alle performance, alla capacità di adattamento agli scenari competitivi in cambiamento: molto banalmente, una mosca cambia direzione molto più velocemente di un elefante.
Q sta per QUINDICI. O, se lo preferite in cifre, per 2015. L’anno della ripresa vera, secondo i calcoli di Ocse e Ministero dell’Economia. Soprattutto, l’anno in cui Milano, la Lombardia e l’Italia ospiteranno l’esposizione universale. L’evento, si stima, genererà circa cinquemila imprese, metà delle quali nel settore delle costruzioni e il resto nei settori dell’ospitalità, dei trasporti e dei servizi di informazione e comunicazione, settori in cui l’incidenza dell’artigianato è molto elevata. L’Osservatorio di Confartigianato Lombardia ha calcolato che le imprese artigiane generate da Expo 2015 saranno, una più una meno, 2.113. Un’eredità preziosa che l’evento lascerà ai nostri territori, che andrà consolidata e resa sostenibile negli anni a venire.
A proposito: consolidamento e sostenibilità economica, soprattutto fra le piccole imprese, soprattutto in Lombardia, fa sempre più rima con RETI tra imprese. A fine 2013 erano 18.670 le imprese lombarde che ha risposto alla crisi economica incrementando le relazioni con analoghe realtà imprenditoriali. Una cifra, questa, che corrisponde al 12% circa del totale e che fa della Lombardia la seconda regione italiana tra quelle a maggior intensità di collaborazione tra realtà imprenditoriali. In Lombardia le imprese con almeno tre addetti che intrattengono almeno una relazione stabile – di tipo contrattuale o informale – con altre aziende o istituzioni sono 133.983, pari al 66,1%. Tra loro, sette su dieci anni meno di dieci addetti.
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Ricordate cosa si diceva alla lettera B? Gli artigiani migliorano il benessere delle comunità in cui operano. Ecco: alcune volte accade anche che le rendano più intelligenti. Si fa un gran parlare, in questi ultimi mesi, di SMART CITY. Se pensaste che questa non sia roba da artigiani, vi sbagliate. Sono ben 91.232 gli addetti coinvolti nelle imprese artigiane registrate nelle (ancora potenziali) smart city della Lombardia: quasi la metà di loro si concentra nei settori legati all’efficienza domestica. A seguire gli ambienti urbani con il 34,6% e la mobilità intelligente, con il 17,1%.
A proposito di settori e specializzazioni in ascesa, c’è un comparto che è dal 2007 che cresce senza sosta. Stiamo parlando del TURISMO: negli ultimi sette anni, arrivi e presenze in Lombardia sono aumentati rispettivamente del 26,7% e del 16,5%. È una domanda che chiama in causa non soltanto l’offerta ricettiva dei nostri territori. È domanda di tradizioni, di saper fare, di produzioni tipiche, di paesaggi da manutenere, di centri storici da preservare, di attività ricreative e sportive da organizzare, di impianti e attrezzature da mettere a punto e riparare. Roba da artigiani, insomma. Non a caso ammonta a oltre un miliardo di euro, pari al il 23,9% del totale, la spesa dei turisti intercettata dagli artigiani del territorio lombardo.
Si scrivere welfare, si pronuncia UELFAR e sì, letteralmente significa «benessere», ma da anni è sinonimo di servizi e prestazioni sociali. Un settore, questo, nel quale la presenza delle realtà private è destinata a crescere, sia per effetto del progressivo ritrarsi dell’attore pubblico, sia per i mutamenti sociali in atto. Le proiezioni al 2040 raccontano una Lombardia sempre più anziana. Uno dei principali effetti dell’invecchiamento, sarà l’ulteriore contrazione dei consumi, in particolare per quelli relativi al tempo libero, ai trasporti, all’abbigliamento. Al contrario cresceranno altre componenti della domanda, una su tutte quella relativa ai servizi sanitari e assistenziali. L’artigianato e le piccole imprese operanti nel settore dei servizi alla persona saranno in grado di intercettare e di dare risposta a questa sempre più emergente domanda?
Penultimo, ma non meno importante, è il ruolo che l’artigianato può concorrere ad avere dentro il bacino di attività che prende ormai il nome di green economy, o, se preferite economia VERDE. Sono quasi ventimila le imprese lombarde interessate dalla produzione di energia d fonti rinnovabili, così come del resto sono circa 25 su 100 le imprese lombarde che tra il 2009 e il 2012, hanno investito o hanno programmato di investire in prodotti e tecnologie green.
Siamo arrivati in fondo. E alla fine, purtroppo, ci sono loro. Le ZAVORRE, le storture del sistema Italia che impediscono alle piccole imprese italiane e lombarde di spiccare il volo e, in molti casi di sopravvivere. Qualche esempio? Le imprese con meno di 20 addetti sono il 97,4% del totale e ricevono il 13,2% del credito totale erogato a favore del settore produttivo. Il costo dell’energia elettrica è complessivamente pari a 2,3 miliardi di Euro in più rispetto alla media dei competitor europei. O, se preferite, superiore di 2.791 Euro all’anno per impresa. Nel ranking internazionale l’Italia è la 15° nazione al mondo e la prima in Europa per la tassazione sull’attività di impresa. Infine, i tempi di pagamento della Pubblica Amministrazione, arrivati nel 2012 a una media di 170 giorni. Se metamorfosi deve essere, quindi, che non lo sia solo per le imprese artigiane.
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