giovedì 28 agosto 2014

Articolo da leggere comunque la pensiate.

Malpensa: oltre le illusioni

Inutile parlare di rehubbing: ecco cosa attende lo scalo, e perché Linate lo può danneggiare ancora
La “soglia” del Terminal 1 di Malpensa (Flickr / Macglee)

La “soglia” del Terminal 1 di Malpensa (Flickr / Macglee)

 
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«Sono preoccupato, è giusto che lo sia, perché la preoccupazione è la base di partenza per evitare i problemi». Pietro Modiano, presidente di Sea-Aeroporti di Milano, ha detto con chiarezza quello che durante la trattativa tra Alitalia ed Etihad non si poteva dire. Malpensa esce con moltissimi dubbi dall’acquisizione del 49% dell’ex compagnia di bandiera da parte del vettore di Abu Dhabi.
Dubbi che, a differenza di altre occasioni del passato, potranno essere espressi in una sede istituzionale. «Abbiamo un tavolo comune con Alitalia, finalmente – ha aggiunto Modiano al Sole 24 Ore -. Vedremo quali sono le carte che Malpensa saprà giocare». Il punto di domanda principale riguarda il futuro prossimo di Linate: se un decreto libererà gli slot nel city airport, per l’Expo, molte compagnie europee potrebbero spostare i voli da Malpensa a Linate. E chiedere, magari, di restarci dopo l’esposizione universale.
Malpensa
Malpensa vista dall’alto (Flickr / Aube insanitè)
A Malpensa la preoccupazione è condivisa da osservatori, sindacati, commercianti di Varese: “una storia finita”, “un destino da hub precluso per sempre”, “un aeroporto, e un territorio, in uncul-de-sac”, sono i giudizi espressi, che rendono l’idea del clima. Tutto molto distante da quello che è stato scritto sul futuro di Malpensa nei giorni dell’accordo tra Alitalia e Etihad. «Secondo l’accordo diventerà il vero hub europeo, con un incremento dei voli intercontinentali», aveva assicurato il ministro delle Infrastrutture e Trasporti Lupi ai microfoni del Tg3 e qualche titolo era arrivato a parlare di “decollo intercontinentale”. In maniera più circoscritta il ministro a giugno aveva parlato di “hub delle merci”, facendo riferimento all’incremento previsto del cargo. 

Meglio allora togliere ogni ambiguità su un punto: Malpensa non tornerà a essere un hub passeggeri. Il piano industriale di Alitalia-Etihad prevede un solo hub in Italia, ed è quello di Fiumicino.
Il piano prevede, con questa premessa, incrementi di produttività (minori costi e maggiori ricavi), che dovrebbero «portare a un margine operativo lordo di 600 milioni di euro nel 2018, quando la compagnia avrà un utile vicino al 5% del ricavo totale». Così descrive il piano un recente studio di Andrea Giuricin e Ugo Arrigo dell’Università Milano Bicocca sul tema. Per Andrea Giuricin, contattato al telefono, «forse non è un piano ambizioso, ma è per la prima volta un piano credibile, a differenza del precedente “piano Fenice” (lanciato nel 2008, all’epoca della fondazione di Cai, ndr). All’inizio ci sarà una ristrutturazione delle rotte sul piano europeo. Poi, gradualmente, un incremento delle rotte intercontinentali, con l’arrivo dei nuovi aerei». Per lo studioso del settore aereo, adj. professor di Mobility Management presso l’Università Milano-Bicocca, «l’operazione è stata una scelta obbligata, perché Alitalia aveva lì le sue funzioni, e perché era giusto andare verso il traffico intercontinentale».

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Malpensa rimarrà uno scalo point-to-point, dove i voli intercontinentali della compagnia saliranno dagli 11 attuali ai 25 del 2018
Malpensa, invece, rimarrà uno scalo point-to-point, dove i voli intercontinentali della compagnia saliranno dagli 11 attuali ai 25 del 2018. In termini percentuali si parla di un aumento del 127 per cento, anche se in numeri assoluti significa due voli in più al giorno. Qualcosa che non cambierà più di tanto la domanda di connettività del territorio. Per fare un confronto, a Fiumicino la frequenza di voli settimanali verso il mercato intercontinentale passerà da 87 a 113, con una crescita del 30 per cento.
alitalia
Fonte: Benefici economici e sociali della partnership Alitalia-Etihad, Andrea Giuricin e Ugo Arrigo, Milano Bicocca
Quando si fa un confronto tra un aeroporto point to point e un hub il primo errore da evitare è quello di confrontare semplicemente i numeri assoluti. «Un hub – come hanno ricordato Giuricin e Arrigo nello studio – non è solo un aeroporto con elevati volumi di traffico». «Il sistema hub & spoke (letteramente perno e raggio,ndr) prevede che i voli che arrivano dai vari aeroporti spoke siano concentrati in un breve intervallo di tempo. Gli aeromobili sostano a terra il tempo necessario affinché i passeggeri, i bagagli e le merci possano essere trasportati su un altro volo. A questo punto, una nuova onda di voli riparte alla volta degli altri spoke. Poiché le partenze e gli arrivi si concentrano in un lasso di tempo ristretto, il processo si può descrivere ad onda». Il sistema point to point è più semplice, permette di evitare di passare da aeroporti hub molto congestionati, ma garantisce molti meno collegamenti.
Alitalia
Fonte: Benefici economici e sociali della partnership Alitalia-Etihad, Andrea Giuricin e Ugo Arrigo, Milano Bicocca
Nell’esempio riportato nello schema, continua lo studio di Giuricin e Arrigo, «nel sistema point to point i mercati serviti sono solamente tre, mentre nello schema hub & spoke i mercati serviti sono 21».
Questa differenza di meccanismo ha conseguenze ben precise sullo sviluppo di un territorio e sull’occupazione.
Un aeroporto a bassa densità genera da 350 a 600 posti di lavoro per milione di passeggero, un hub con manutenzioni 1.200
Secondo un’indagine dell’Airport Council International le ricadute occupazionali sono radicalmente diverse a seconda delle tipologie di aeroporto. In quelli a bassa intensità (piccoli scali point point to point) per ogni milione di passeggeri trasportati si creano tra 350 e 600 posti di lavoro. Questa cifra sale a 600-900 negli scali a intensità media (dove alcune compagnie aeree hanno posto la loro base e dove sono presenti quelle low cost (Londra Stansted, Luton). Si passa poi a quelli ad alta intensità, cioè gli hub internazionali sede in una compagnia aerea, dove ci sono da 900 a 1.200 occupati per milione di passeggeri. L’ultimo livello è dato dagli hub sede di una compagnia aerea che ha anche centri per la manutenzione degli aerei, dove i posti di lavoro per milione di passeggeri sono più di 1.200.
Roma Fiumicino ha, secondo le stime degli studiosi, circa 1.000 occupati per milione di passeggeri. Un eventuale de-hubbing (per esempio in caso di un mancato accordo di Alitalia con Etihad e relativo fallimento) avrebbe comportato, a parità di passeggeri, una discesa di occupati del 25%, o, in altri termini, oltre 30mila posti di lavoro, tra diretti e indotto, andati in fumo. Numeri che danno l’idea di cosa sia successo e cosa poteva accadere a Malpensa.

«A partire da marzo 2008 – si legge in una analisi d’area dello scorso gennaio della Camera di Commercio di Varese - la compagnia di bandiera Alitalia ha avviato un processo definito di de-hubbing con la cancellazione di 891 voli settimanali su 1.238 totali, ovvero oltre il 70% di quelli operati dalla compagnia di bandiera ed oltre il 35% di quelli complessivi assicurati dall’aeroporto varesino. Si stimava che questa operazione avrebbe sottratto al traffico aereo su base annua intorno agli 8 milioni di passeggeri dei 24 milioni serviti nel 2007 con ripercussioni negative sull’occupazione aeroportuale e dell’area». A fine 2013 Malpensa ha chiuso a poco meno di 18 milioni di passeggeri, sei in meno del 2007.
Uno studio effettuato dal gruppo Clas, citato dalla Camera di Commercio di Varese, ha stimato che il valore economico generato da ogni passeggero si pone tra i 466 e i 590 euro. Cifra che rende l’idea di cosa abbia significato perdere sei milioni di passeggeri in pochi anni.
Gli effetti sull’occupazione sono descritti dallo stesso studio e riassunti in questa tabella:
Alitalia
Per guardare la tabella ingrandita cliccare qui
Guardando solo a quello che è successo nelle aziende con sede nell’aeroporto (escluse le compagnie aeree), l‘effetto è descritto così dallo studio:

“A fine 2007 si contano 255 unità locali iscritte al Registro Imprese della Camera di Commercio, con indirizzo presso l’aeroporto (escluse le compagnie aeree) che occupano 7.720 addetti. Per effetto combinato della crisi e del de-hubbing le unità locali a fine marzo 2013 scendono a 241 (-5,5%) e i lavoratori a 6.991 (-9,4%), con 110 unità locali contemporaneamente presenti nel 2007 e nel 2013.
Le unità locali presenti in aeroporto si concentrano, a marzo 2013, nei seguenti settori: magazzinaggio e attività di supporto ai trasporti (4.518 addetti, -6,9% rispetto al 2007), attività dei servizi alla ristorazione (1.248 addetti, -30% rispetto al 2007) e commercio (493 addetti, -1% rispetto al 2007) e complessivamente occupano il 92% degli addetti impiegati in aeroporto”

Ancora una volta, la svolta di Malpena «non è un problema solo di quantità ma di qualità», sottolinea Nino Cortorillo, segretario nazionale della Cgil Trasporti. «Una compagnia low cost – esemplifica - muove un terzo dei dipendenti del lungo raggio. Costruire una Ferrari è diverso dal costruire un’utilitaria. Per esempio, avrà meno bisogno di servizi per i pasti a bordo. Con i voli low cost inoltre le attività commerciali ne risentono: un passeggero per Tokyo spendeva mediamente 150 euro, un passeggero low cost 10 euro. Anche l’indotto ne risente: difficilmente un passeggero low cost dormirà nel nuovo hotel Sheraton aperto di fronte all’aeroporto».
Sul fronte “non aviation”, fanno comunque notare da Sea, il duty free del Terminal 1 ha un livello di spesa sui massimi livelli europei (15 euro a persona in media) e i cambiamenti hanno portato un aumento dei ricavi (+6,8% nel 2013 sul 2012). Lo scorso maggio, come riportato dal mensile retail & food, è stata inaugurata la “piazza del lusso” il primo tassello di una “mall” che, pronta poco prima dell’Expo 2015, avrà 8.000 mq di spazio commerciale con 46 punti vendita, prevalentemente di alta gamma. A novembre aprirà un grande duty free da 2mila mq e il prossimo marzo ci sarà l’inaugurazione della galleria commerciale. Il design dell’area ricorderà la Galleria Vittorio Emanuele di Milano.
Quanto al Terminal 2, le attività commerciali negli ultimi anni sono state rimodulate per incontrare le esigenze dei viaggiatori low cost, nei limiti di una struttura che mostra tutti i suoi anni. I passeggeri di easyJet, viene fatto inoltre notare, dal lunedì al venerdì sono sempre più viaggiatori d’affari. In strutture adeguatamente ristrutturate, come Londra Gatwick, o in Italia Bergamo-Orio al Serio, la spesa dei viaggiatori low cost è di tutto rispetto.
Il duty free Biza (marchio di Wdfg, gruppo Autogrill) di Manchester

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Con un modello che rimarrà point-to-point non si ritornerà neanche nel medio-lungo periodo alle condizioni di prima
Se questo è l’oggi, dal domani non bisogna aspettarsi molto. Con un modello che rimarrà quello del point-to-point, continua Cortorillo, «non si ritornerà neanche nel medio-lungo periodo alle condizioni di prima». Il “prima”, spiega, non coincide solo con gli anni precedenti al de-hubbing, ma con quelli prima dell’attentato dell’11 settembre 2001, che generò una crisi di traffico e il fallimento di diverse compagnie, anche di bandiera (in Belgio e Svizzera). Fu uno degli aspetti che contribuì al secondo shock per Malpensa, dopo la rottura dell’asse strategico tra Alitalia e Klm.
La visione di un rilancio molto limitato trova concordi tutti gli interlocutori: «Per Malpensa non c’è da aspettarsi troppo. È un aeroporto che funziona se funziona come hub. Anche Barcellona ha avuto un dehubbing, ma è stato ben gestito, con gradualità. Ora Malpensa è in cul-de-sac», dice Stefano Bosisio, a capo del settore trasporti di The European House-Ambrosetti e curatore di uno degli studi più completi del “caso emblematico di miopia strategica” rappresentato dalla vicenda di Linate e Malpensa.
«Con il nuovo piano a Malpensa l’impatto sarà limitato, non può essere grande» concorda Andrea Giuricin, mentre dalla Camera di Commercio di Varese si fa notare che le analisi critiche dell’inizio dell’anno “non si spostano di un centimetro” dopo il nuovo piano industriale di Alitalia.

L’11 agosto scorso a Roma il ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi, il presidente di Sea, Pietro Modiano, e i rappresentanti di Alitalia-Etihad hanno avuto un incontro sul ruolo di Linate in vista dell’Expo. La priorità, riportò il Corriere della Sera, è stata quella di preparare «un decreto per Linate che superi la norma Bersani del 2001 e i limiti stabiliti per ogni operatore e ogni tratta. Più voli da e per il Forlanini. Più slot per tutte le compagnie. Senza sovrapposizioni con Malpensa, però: Linate è riservato alle tratte domestiche ed europee, ha già sottolineato Lupi». Si parla, aggiungono da Sea, di collegamenti con città europee che non siano capitali.
La prospettiva di riaprire gli slot a Linate agita non poco il gestore degli scali milanesi. L’aeroporto cittadino, come noto, è più facile da raggiungere per gli abitanti della città. Per questo le compagnie lo hanno sempre preferito. Il rischio paventato è che, una volta liberato lo scalo dai limiti di diversi decreti del passato (a firma degli ex ministri Burlando e Bersani), i vettori abbandonino Malpensa per i voli verso l’Europa da Linate. Se poi la liberalizzazione dovesse estendersi al periodo successivo all’Expo, questo spostamento risulterebbe definitivo. A oggi non è chiaro a nessuno quale sarà il saldo tra i voli guadagnati da Malpensa con i nuovi collegamenti intercontinentali previsti dal piano Alitalia-Etihad e quelli che saranno persi con lo spostamento di voli verso Linate.
Se in Sea sono preoccupati, i motivi sono vari: il più semplice è che Linate, per dirla con Stefano Bosisio di The European House Ambrosetti, «è una infrastruttura fatiscente, con una sola pista, con una gestione dei flussi che in passato ha dato dei problemi: non è attrezzata per gestire 12-13 milioni di passeggeri. Non c’è spazio per una seconda pista, anche se il problema è soprattutto del terminal». Anche se in passato, prima del progetto Malpensa 2000, è arrivata a gestire 14 milioni di passeggeri all’anno (oggi ne ha quasi 9), oggi questo non sarebbe più possibile con i nuovi standard di sicurezza, qualità del servizio e tutela ambientale.
malpensa, linate

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C’è poi una seconda ragione, più profonda: il mancato contenimento effettivo di Linate è stato alla base del mancato decollo di tutto il progetto di Malpensa come hub. Come ricostruito in dettaglio dallo studio citato di Ambrosetti, nel 1997 l'allora ministro dei Trasporti Burlando emanò un decreto che limitava fortemente il city airport. Una serie di ricorsi, a livello italiano ed europeo, portarono a un secondo decreto Burlando e poi a due decreti del nuovo ministro Bersani (del 2000 e 2001), via via più blandi. Lo stop del ministro dell’Ambiente Ronchi alla fine degli anni ’90 e una serie di sforamenti delle compagnie ai limiti, documentati dallo studio, fecero il resto. Fu a causa di queste mancate limitazioni su Linate che sfumò l’alleanza tra Alitalia e Klm che, ricostruisce lo studio di Ambrosetti, nell’aprile del 2000 decise «di ritirarsi dalla fusione con Alitalia pur pagando una lauta penale, lasciandola sola nel tentativo di sviluppare un ulteriore nuovo hub a Malpensa».
Alitalia
Per guardare il grafico ingrandito cliccare qui
La storia si è in buona parte ripetuta nel maggio 2011, quando Lufthansa Italia decise di lasciare Malpensa. Vi si era stabilita con voli point to point, ma con la prospettiva di far nascere un hub per il Sud Europa. A frenare questa prospettiva ci furono tre-quattro aspetti, a cui ciascuno degli osservatori dà un peso diverso: la mancata liberalizzazione, avvenuta successivamente, degli slot tra Roma e Milano Linate, riservati temporaneamente ad Alitalia dopo la nascita di Cai (ma con il rischio che si avvertiva di ulteriori rinvii); la protezione politica che il governo italiano stava dando alla nuova Alitalia; la concorrenza interna a Malpensa di easyJet, che Sea aveva lasciato sviluppare su rotte in diretta competizione con Lufthansa Italia; la crisi di Lufthansa, che in Germania era stata chiamata a tagliare numerosi posti di lavoro e il cui nuovo management aveva ritenuto di tornare indietro sulle compagnie regionali.
Maggio 2011, Lufthansa Italia lascia Malpensa (GIUSEPPE CACACE/AFP/Getty Images)
Una terza ragione è che l’incremento di voli su Linate ha favorito, fin qui, le compagnie europee e i loro hub, alternativi a Malpensa e a Roma. Lo studio Ambrosetti parla di “fughe” verso gli altri hub e ha documentato l’evoluzione del fenomeno.
Nella sintesi di Nino Cortorillo, «quello che è avvenuto è frutto di un insieme di spinte e controspinte e interessi deformanti. È una realtà che nessuno riconosce come propria». Per il segretario nazionale della Cgil Trasporti, «Linate e Malpensa sono i paradigmi dell’Italia, del fallimento del sistema Paese. Ci sono state innumerevoli somme di azioni negative e si è creato un sistema attorno a Milano che non risponde ad alcun tipo di logica. È corretto dire che avremmo dovuto ridimensionare Linate. Ma oggi riproporre gli schemi del 1997 sarebbe pura follia. Perché Malpensa ha traffico per il 40% low cost. È come una rete per l’alta velocità dove viaggiano i treni locali».

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Se le prospettive di medio termine lasciano molti dubbi dalle parti di Malpensa, Expo sarà con tutta probabilità una storia a parte. Nei primi sei mesi del 2014 Malpensa ha visto crescere il traffico del 9,3%, contro una media italiana del +3,5 per cento. Ad agosto, fanno sapere da Sea, i passeggeri extra-Schengen sono saliti del 20 per cento. Nessun legame con la ripresa, né dell’economia né del turismo, outgoing o incoming, ma, apparentemente, è il primo assaggio dell’effetto Expo. Nella città sono attese per l’esposizione universale (secondo uno studio di diversi anni fa), 20 milioni di persone, di cui 14 dall’Italia, 3,3 dall’Europa e 2,6 da origini extra-europee.

Quando si trattava di rassicurare il Nord Italia, nei giorni dell’accordo tra Alitalia ed Etihad, si è battuto il tasto sull’incremento previsto per il cargo su Malpensa. In realtà nessuno, né negli ambienti vicino a Sea, né tra gli esperti, sindacalisti e commercianti, sa dire quali saranno gli effetti reali, in termini di sviluppo e occupazione.
Quello che è sicuro è che, se dopo il dehubbing di Alitalia il traffico passeggeri non si è più ripreso, il cargo dopo la chiusura delle attività da parte della stessa Alitalia si è ripreso completamente e oggi conta quasi la metà delle merci trasportate per via aerea in Italia. «La presenza di molte compagnie del Medio Oriente, del Far East e americane hanno integralmente coperto il vuoto lasciato da Alitalia. Il mercato si è ripreso immediatamente», sottolinea Cortorillo.
«Ci sono ancora grandi possibilità di ripresa – aggiunge - ma ci sono dei limiti: i grandi aeroporti cargo, come Francoforte o Lussembrgo, hanno un grande operatore che fa base nell’aeroporto. A Malpensa non è così». La domanda inespressa in tutti i casi è alta: «oggi l’80 per cento del traffico cargo intercontinentale – continua - parte con i camion e va verso gli aeroporti in Europa dove si trova un numero di connessioni maggiori, perché la merce non fa scalo». È anche un gioco che vede sempre più operatori specializzati: «Prima c’erano aerei combinati passeggeri/merce, ora no – spiega Cortorillo -. Serve una flotta, una specializzazione e negli ultimi 20 anni sono cresciute imprese solamente cargo. Si parla di Luxair, Ups, Dhl, FedEx». Vedere come Alitalia, che punta alle sinergie con il nuovo socie Poste, saprà giocare in questo mercato è solo questione di tempo.

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