12/05/2014
La scorta di Scajola e quella non data a Marco Biagi
Scajola rifiutò la scorta al giuslavorista ucciso dalle Br, poi ne ha assurdamente goduto lui
Immaginatevi questa scena, realmente accaduta: un investigatore della Dia pedina un ex ministro, che esce da un ristorante a Roma accompagnato da un altro poliziotto, che ignaro di tutto gli fa da scorta e — per giunta — gli regge la borsa.
Fra tutti gli inquietanti e squallidi squarci di verità aperti dall’inchiesta su Claudio Scajola, molti dei quali ci mostrano un potente baldanzoso, spavaldamente sfacciato e impenitente, ce n’è uno che più di tutti rappresenta il segno della nemesi, del paradosso, dell’impunità: quello della scorta. Stupisce infatti che quest’uomo pieno di boria potesse intrecciare relazioni con dei latitanti, del tutto incurante del fatto di essere stato ministro dell’Interno, e che contemporaneamente si sentisse impegnato a rappresentarsi come una vittima, come un saggio Cincinnato costretto da qualche perfida logica politica a prendersi cura del proprio giardino. Riletta oggi, l’ultima intervista al Corriere della Sera, quella che esibiva il dolore di un uomo amareggiato per l’esclusione dalle europee, è un capolavoro di ipocrisia da sepolcro imbiancato, una pagina da commedia all’italiana.
Ma stupisce soprattutto che Scajola disponesse ancora di una scorta. Non solo: di una scorta che usava come una sorta di strumento di consenso, come un benefit, come un social network per intessere relazioni o risparmiare tempo: per raccogliere informazioni o farsi scarrozzare in giro per l’Europa.
In Italia, da anni, si fanno lunghi discorsi sulla “casta”, sui privilegi, sulle prerogative da concedere o da togliere a politici e parlamentari: poi alla fine, basta una intercettazione, per accorgersi che un ex ministro dell’Interno, non durante il suo mandato, ma addirittura molti anni dopo, ancora disponeva di una simile dispendiosa prebenda. Ovviamente, con molti italiani, ci dovremmo chiedere per quale motivo e, soprattutto, da chi, Scajola doveva essere protetto, visto che le uniche minacce alla sua persona, sono arrivate da servitori dello Stato impegnati in un’inchiesta su di lui: ma in primo luogo dovremmo chiederci, se non ci sia anche un assurdo ulteriore, un paradossoad personam che riguarda proprio Scajola e solo Scajola. Perché se c’è uno che della scorta non avrebbe mai dovuto godere, se non altro per contrappasso, per buon senso civile, è proprio lui: l’uomo che da ministro dell’interno disse no a Marco Biagi che chiedeva la tutela armata, e si spinse fino a diffamarlo nel corso di un’intervista rilasciata a due ottimi colleghi durante un tristemente celebre volo di Stato, in cui l’allora numero uno del Viminale chiamava il giuslavorista ucciso dalle Brigate rosse — per via di questa sua sacrosanta richiesta — «il rompicoglioni».
Certo, si potrebbe dire che per ora Scajola non è nemmeno rinviato a giudizio. Ma qui il problema non è giudiziario: è piuttosto una macchia per il senso del pudore e del decoro. La scorta Biagi se la meritava, e non l’ha avuta, Scajola non ne era degno (se non altro per i suoi giudizi su Biagi) e ne ha abusato.
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