mercoledì 7 gennaio 2015

Riceviamo e pubblichiamo.

ESCLUSIVA Intervista a Fulvio Abbate

Pubblicato il 7 gennaio 2015 da Piotr Zygulski   
Buongiorno Fulvio Abbate, marchese Fulvio Abbate. In questi giorni abbiamo appreso della vicenda con il Fatto Quotidiano che ha interrotto la collaborazione con Lei. Può dirci come è andata la vicenda?
Partiamo intanto dalla considerazione che io sono uno scrittore, ergo un artista, quindi non sono riconducibile ad un giornale che ha uno sguardo sul mondo parziale, concentrato soprattutto su politica e cronaca giudiziaria. Al Fatto Quotidiano ho occupato uno sgabuzzino, una sorta di rubrica di critica televisiva, sin dal primo giorno della venuta al mondo di quel giornale.
Per Sua scelta o su richiesta della redazione?
Per una proposta ricevuta dalla redazione. Da oltre trent’anni ho fatto l’opinionista d’ampio spettro, ho anche scritto articoli per altri quotidiani sulla scomparsa del 69, inteso come atto di reciprocità erotico-sessuale. Mi sono ritrovato ad accettare la proposta di questo sgabuzzino, dal quale pensavo inizialmente che sarei anche potuto uscire, cosa che non è mai accaduta.
Cosa comportava questo sgabuzzino?
Dovevo pubblicare due articoli la settimana, il martedì e il sabato.
In che modo è venuto a sapere della notizia del Suo licenziamento?
Il 3 dicembre 2014 ho ricevuto una raccomandata nella quale mi si diceva che il rapporto cessava. A me importa poco che si trattasse di una collaborazione co.co.co. che mi veniva rinnovata ogni anno. In questa raccomandata Cinzia Monteverdi – amministratore delegato del giornale – mi ha comunicato la cessazione, non accennando ad alcun motivo.
Quindi non hanno indicato motivazioni economiche né tantomeno “ideologiche”?
No, nella maniera più assoluta. Ma il motivo che il giornale possa essere in difficoltà a me lascia indifferente.
Secondo Lei quali sono le ragioni?
Quali siano le motivazioni non spetta a me dirlo. Devono essere loro semmai a fornirle, non io a intuirle. So soltanto che ho ritenuto irricevibile la mail successiva nella quale si parlava di prosecuzione di rapporto a bordereau sulla base del fabbisogno della direzione e della redazione. Fin quando ho avuto un impegno fisso definito con quello sgabuzzino di cui sopra allora avevo la certezza di esistere come firma, sebbene sottodimensionata all’interno di quel giornale, ma in assenza di quell’impegno preciso tutto ciò è irricevibile. Aggiungo che non ho mai avuto la sensazione che questo giornale abbia mai rispettato la mia firma né l’abbia messa in evidenza come avrebbe meritato. Non so quanto questa mia rubrica potesse interessare al mondo, anche perché il lettore del FQ è un lettore che gode e si masturba sulle intercettazioni e sulle sentenze, e lo vedo abbastanza sordo a qualsiasi nuance.
Fulvio Abbate, foto di Gerald Bruneau
Fulvio Abbate, foto di Gerald Bruneau
La linea del giornale infatti sembra essere passata dall’antiberlusconismo giudiziario a un certo anti-renzismo, forse in qualche modo vicino al M5S, perlomeno nei toni “anticasta” e sempre dalla parte delle manette.
Io rispondo unicamente a me stesso, quindi non ho nulla da condividere con nient’altro che non sia il mio narcisismo; questa è l’unica definizione politica che posso dare della mia persona. Del Movimento 5 Stelle penso ogni male possibile e lo dico sia per iscritto, sia pubblicamente quando mi capita di parlare nei talk-show televisivi su LA7 e su Rai3. Ritengo che il M5S sia la cassa di risparmio di Casaleggio.
Quello che sembrava un po’ paradossale di questa vicenda è che il Fatto Quotidiano ha assunto una linea editoriale ostile al Jobs Act a favore dei diritti dei lavoratori.
Loro non lo ritengono un licenziamento dicendo che rientra pienamente nella configurazione contrattuale. Il mio dovere è quello di difendere la mia firma e il rispetto della mia persona, in questo caso come lavoratore, quindi in questa occasione ometto di dire il mio rispetto in quanto marchese Fulvio Abbate. Tralascio qualsiasi elemento narcisistico, mi spiego? Un dettaglio disgustoso è che oggi sulla mia pagina facebook una persona che stimo, il disegnatore Riccardo Mannelli – che è anche collaboratore di quel giornale – abbia preso le difese della direzione, scrivendo che io avrei fatto tutto ciò in malafede. Da Mannelli, che ho sempre conosciuto sin dai tempi de Il Male come un incendiario, non mi sarei aspettato parole che sembrano suggerite dall’AD del giornale stesso.
Riguardo la linea editoriale del Fatto Quotidiano, ha mai ricevuto qualche forma di indirizzo o di pressione?
No, ma ho avuto sempre la sensazione che ci fosse un controllo notevole anche su quelle rubriche secondarie, come poteva essere quella di critica televisiva. Da un certo momento in poi mi è stato chiesto di riferire di cosa avrei scritto, ogni volta dovevo riferire il tema. Questo mi sembra perlomeno bizzarro, non era mai accaduto in nessun altro giornale.
Ma non Le sembra altrettanto paradossale che un marchese come Lei che non ha bisogno di lavorare – e che vorrebbe, anzi, abolire il lavoro – si ritrovi oggi a battagliare per il proprio posto di lavoro? Chiederà il reintegro?
Non è paradossale perché innanzitutto difendo il mio amor proprio e il mio diritto a poter dire su un giornale, nero su bianco, quello che è il mio pensiero sul mondo. Ma ciò che penso lo dico in modo più immediato anche su altri luoghi del dibattito delle idee, dal mio canale Teledurruti al Garantista, che infatti oggi ha preso posizione in difesa della mia persona.
Come si trova al Garantista?
Sul Garantista scrivo ciò che mi pare, con libertà assoluta. Ho potuto scrivere anche quello che penso di Bertinotti, nonostante lui sia uno delle firme di quel giornale. Ai miei occhi il Garantista è una scuola di vera libertà, come lo era stato – checché ne dicano quei quattro mentecatti di supporter del Fatto che mi insultano – Il Foglio di Ferrara, dove ho potuto di scrivere liberamente tutto quello che mi pareva, anche male dell’Opus Dei.
Adesso quindi cosa chiederà? Intraprenderà un’azione legale?
Sì, intraprendo un’azione legale e credo che ambirò a un risarcimento di danni morali – chiamiamoli così – morali e politici. Non ho ancora ricevuto alcuna telefonata dal Fatto Quotidiano, ma l’unica cosa che posso accettare sono le scuse e il ritorno di un contratto più vantaggioso di quello che ho avuto sino adesso, che era un contratto davvero miserrimo.
Si fida della magistratura italiana?
Sì, se si fidano quelli del Fatto perché non dovrei fidarmi io? Oppure devo pensare che, essendo il giornale dei magistrati, daranno ragione al Fatto e daranno torto al marchese Fulvio Abbate?
Nel frattempo l’altra battaglia era quella per la Presidenza della Repubblica. Nel 2013 lei lanciò – per mezzo di Situazionismo e Libertà – la candidatura di Drupi. Perché questa volta si candida Lei in prima persona?
Drupi non è particolarmente propenso a combattere una battaglia attraverso le armi del paradosso. Drupi preferisce cantare e pescare mentre io, col motto che ho scelto per questa mia campagna, ovvero “Vincere” – lo diceva già Mussolini – ma anche “Fallire” la battaglia per il Quirinale mi dà la possibilità di introdurre elementi di vivacità poetico-intellettuale nel dibattito politico. Così come Berlinguer voleva introdurre elementi di socialismo nella società italiana io cerco di introdurre elementi di fantasia e di eros. Alcuni parlamentari mi hanno già garantito il loro sostegno.
Può farci i nomi?
No, perché altrimenti li metterei in serio imbarazzo. Ovviamente non sono destinato a salire sul Colle, però voglio togliermi la soddisfazione. Se ha avuto dei voti Napolitano non si vede perché non li possa avere io, che sono più coraggioso e credo di avere più carisma di lui.
Ricevere anche solo una preferenza sarebbe già una vittoria, allora.
Assolutamente. Come quando ero bambino e c’era il Presidente della Camera che si chiamava Bucciarelli-Ducci e leggeva “Leone, Leone, Merzagora” – i voti a Merzagora! – al posto di Merzagora sentire “Fulvio Abbate!”, questa è già una soddisfazione, potremmo dire, patafisica. Ma in un mondo di analfabeti bisognerebbe spiegare che cos’è la patafisica, la scienza delle soluzioni immaginarie.
Quale spazio è possibile per gli artisti in Italia?
È impossibile essere artisti in questo paese. Al massimo si può essere condomini, ma essere artisti è impossibile. Al massimo puoi essere Renato Zero vestito di bianco da pierrot con il piccione che ti caxa rosa sulla testa.
E cosa dovrebbero fare allora gli artisti?
Qui è impossibile resistere. Quello che rimane agli artisti è avere un sacco di donne che li amino e che siano felici di sxoparseli. Questa è l’unica gratificazione che un artista al momento può ricevere, ma per il resto non ci sono margini. Ritengo di combattere la mia battaglia su molti piani, sia sul piano politologico – infatti quando vado in televisione rinuncio talvolta alla mia fantasia per spiegare qual è lo stato dell’arte – così come mi posso concedere di mettere al mondo il mio doppio femminile che si chiama Fulvia Abbate. Ovviamente il contesto antropologico nel quale siamo è assolutamente desolante: è stata cancellato qualsiasi germoglio di fantasia e di volontà di rivolta. Non si ha memoria che questo paese ha avuto anche figure come Carmelo Bene e si pensa che invece la cultura sia Benigni, insomma, in quella vulgata veltroniana. Sono anni veramente terrificanti e io che in questo momento, come il re dei fumetti di Asterix, dovrei essere tenuto sugli scudi come un doveroso angelo sterminatore, ricevo gli insulti da quattro miserabili che ritengono che Beppe Grillo e Casaleggio siano i toccasana di questa società.
Ci sono molte persone che però La stimano.
Noto soprattutto quelli che mi insultano. E la cosa bizzarra è che non sono nato ieri, ho quasi sessant’anni e a volte temo che questo tutto lavoro contro il conformismo dominante non sia servito a nulla, perché sono riusciti a dare del conformista anche a me. Ora sono gli altri che devono assumersi il carico di capire – diceva Trotskij: “la nostra morale e la loro” – spero che gli altri capiscano qual è la mia morale e qual è quella dell’ufficio economato del Fatto Quotidiano.

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