Draghi avvisa i tedeschi: «C’è da salvare l’Europa»
Intervistato, il presidente della Bce presenta il suo piano, ma avvisa: «Prima le riforme»
«Sembra più prussiano che italiano». Così l’hanno definito Gabor Steinegart, Hans-Jürgen Jakobs e Sven Afhueppe, i tre giornalisti tedeschi del quotidiano economico-finanziario Handelsblatt che hanno intervistato il governatore della Banca Centrale Europea Mario Draghi. Un complimento, questo, chiaramente ispirato dal fatto che, nell’intervista in cui conferma l’intenzione di lanciare un programma di acquisto di titoli di Stato (il cosiddetto quantitative easing, QE), Draghi chieda soprattutto ai governi di rispettare i patti e di fare le riforme necessarie a far crescere l’economia dell’Eurozona.
Primo dettaglio: non è e non può essere un caso se la prima intervista del 2015 - una lunga intervista a trecentosessanta gradi sull’economia europea - Draghi la concede a un quotidiano tedesco. «È alla Germania che il Presidente deve parlare, del resto – osserva Sergio De Nardis, chief economist di Nomisma, a Linkiesta - un po’ perché è stata l’economia tedesca la sorpresa negativa di Eurolandia nel 2014. Un po’ perché, come dicono gli stessi giornalisti di Handelsblatt, le politiche di Draghi hanno ricevuto il plauso in diverse parti del mondo, ma i dubbi e le preoccupazioni si annidano soprattutto in Germania, paese che ben conosce i pericoli dell’iperinflazione».
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Secondo De Nardis c’è un non detto, nel resto dell’Europa, sulle paure dei tedeschi: «Sono un paese storicamente avverso all’inflazione ed è legittimo siano preoccupati – afferma – visto che, se fosse raggiunto l’obiettivo dell’inflazione al 2% nell’Eurozona, vorrebbe dire che in Germania la crescita dei prezzi potrebbe arrivare a lambire, se non a superare, il 3%. E non per qualche mese, bensì per anni». Forse è per questo che Draghi, nel bel mezzo dell’intervista, si sbilancia arrivando a rivolgersi direttamente all’opinione pubblica tedesca: «La storia mostra che i prezzi che calano possono essere tanto pericolosi quanto i prezzi che salgono per la stabilità e la prosperità dei nostri paesi – afferma il presidente della Bce -. Voi, come giornalisti, avete il dovere di spiegare tutto questo. L’opinione pubblica dei tedeschi per noi è molto importante».
Rivolgersi – e lisciare il pelo - all’opinione pubblica tedesca, per Draghi, vuol dire anche sfidare in campo avverso la sua nemesi, il presidente della Bundesbank Jens Weidmann, il “falco” del rigore e dell’austerità. Draghi, nell’intervista a Handelsblatt afferma che tra loro «vi sono state molte, interessanti conversazioni» e che in nessuna di esse Weidmann si è mai mostrato pregiudizialmente contrario al famoso strumento non convenzionale per far ripartire la crescita e i prezzi: «Tuttavia le differenze tra i due sono ancora molto profonde – corregge il tiro De Nardis –. Weidmann, ad esempio, ha affermato qualche giorno fa che il calo del prezzo del petrolio è già di per sé uno stimolo all’economia europea e che il “bazooka” della Banca Centrale Europea sarebbe a questo punto superfluo. Draghi, a quanto si legge dall’intervista, la pensa in modo diverso, se non addirittura diametralmente opposto».
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De Nardis la pensa come Draghi: «Il calo del prezzo del petrolio è molto pericoloso perché alimenta le aspettative di un’ulteriore calo dei prezzi – spiega -. Di fronte a questo scenario, la Banca Centrale Europea non potrebbe usare l’arma che convenzionalmente si usa in questi casi, ossia abbassare i tassi d’interesse, perché sono già a zero. Ecco perché il quantitative easing è urgente». Ed ecco perché Draghi si premura di precisare, in coda all’intervista, di non avere la minima intenzione di lasciare l’Eurotower di Francoforte per il Quirinale. Non proprio ora, nell’anno in cui la promessa del 2012 di salvare l’Euro «costi quel che costi» è vicina ad essere realizzata.
Il problema semmai è un altro, secondo De Nardis: «Non è detto che il quantitative easing funzioni – riflette – che non sia troppo tardi, dopo sette anni di crescita quasi a zero, per dare stimoli all’economia europea, che il tempo comprato sinora finisca per non servire a nulla». È lo stesso timore dei giornalisti tedeschi, questo, che incalzano Draghi sulla lentezza delle riforme di paesi come Italia e Francia: «In questi paesi è aumentata la volontà di fare le riforme. Alcune, come quella del lavoro in Italia, sono state fatte, altre sono indietro – risponde, incalzato dai giornalisti tedeschi –. La vera sfida però è metterle in pratica».
Ciò di cui Draghi è certo, anche, è che il 2015 sarà l’anno decisivo, per l’euro e per la sopravvivenza stessa dell’Unione Europea: «La dissoluzione dell’Europa? Non esiste. Non ci sono piani B», afferma il presidente della Bce. Il quale, tuttavia, sa bene che in otto paesi europei, nei prossimi sedici mesi, si andrà al voto e che in molti di quei paesi, dalla Grecia alla stessa Spagna, andranno presto alle urne. E che in testa ai sondaggi, in molti di questi paesi, ci sono partiti euroscettici, siano essi di destra o di sinistra: «Se Draghi non riuscisse a dare il via a un programma di acquisto di titoli di Stato – conclude De Nardis -, o peggio, se quel programma non funzionerà, forse Draghi rimpiangerà di non avere avuto un piano B». Pausa. «Ammesso che non ce l’abbia», aggiunge.
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