L’Europa faccia a meno dell’austerità, non della Grecia
VIncesse Syriza, la Germania vorrebbe la Grecia fuori dall'Europa, ma il problema rimane l'austerità
Su un punto possiamo dirci tutti d’accordo, uomini di destra e di sinistra, europeisti convinti ed euroscettici: l’Europa di Maastricht si trova dinanzi ad un bivio: o cambia o affonda. Le valutazioni si fanno radicalmente diverse, invece, di fronte alla domanda su chi sono i veri nemici dell’Europa. Il tema, com’è noto, sta suscitando grande interesse in questi giorni, se non altro per le conseguenze che potrebbe avere da qui a poco sul futuro dell’Unione il voto nel paese più provato dal combinato disposto di crisi e politiche di rigore: la Grecia.
Solo qualche mese fa Der Spiegel, che certo non è un settimanale conservatore, definiva Alexis Tsipras «il nemico numero uno d’Europa». Giudizio severo, che faceva il paio con l’appellativo di «piantagrane» riservatogli dalla cancelliera Angela Merkel. Stiamo parlando della stessa persona che tra meno di un mese potrebbe assumere la carica di Primo Ministro nel suo paese; il leader di quel partito, Syriza (acronimo di “Coalizione della Sinistra Radicale”), che al primo punto del suo programma ha messo la fine delle politiche di austerity e la rinegoziazione del debito. Sfida avvincente, si potrebbe dire, che spiega, tra l’altro, un’altra presa di posizione allarmata, quella di Jean Claude Junker dello scorso mese di maggio: «Tsipras non è l'uomo giusto per la Grecia in questo momento».
E ora? È cambiato qualcosa nei giudizi dei vertici tedeschi e di Bruxelles? Probabilmente no, ma si intravede un atteggiamento più prudente da parte loro. Perfino una certa apertura, come nel caso di Mario Draghi e della Bce - per qualcuno si è già tramutata in una trattativa, attualmente in corso, tra Tsipras ed Eurotower -, che proprio dall’esito delle elezioni greche potrebbe trarre una spinta per il suo annunciato programma di acquisto di titoli di Stato. Nondimeno, siamo ancora molto lontani dall’accettazione piena delle ragioni di Syriza e della maggioranza del popolo greco. A parte le dichiarazioni dei vari leader europei, lo dimostra l’atteggiamento minaccioso dei mercati e di alcuni membri della cosiddetta Troika. Ad esempio, nei giorni scorsi il Fondo Monetario Internazionale ha deciso di sospendere l’erogazione delle prossime tranche di aiuti finanziari, rinviando tutto a dopo le elezioni. Senz’altro un monito ai cittadini greci: attenti a come votate!
Nel dibattito sul futuro dell’Unione e dell’Euro è intervenuto nel frattempo anche l’economista francese Thomas Piketty, autore del best seller mondiale “Il Capitale nel XXI secolo”, avvertendo che i rischi maggiori per l’Europa provengono dall’avanzata delle forze populiste e xenofobe, non dalla sinistra che chiede un cambio di passo nelle politiche economiche e di bilancio. In un’intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica è stato molto chiaro sul punto: «La tensione in Europa è arrivata a un punto tale che in un modo o nell'altro scoppierà, entro il 2015. E tre sono le alternative: una nuova crisi finanziaria sconvolgente, l'affermazione della coalizione delle forze di destra incentrata sul Fronte Nazionale francese e comprendente la vostra Lega e forse i 5 Stelle, oppure uno choc politico proveniente da sinistra».
Da questa affermazione si evince chiaramente che i veri nemici dell’Europa, secondo Piketty, sono proprio i custodi dell’ortodossia rigorista, i sacerdoti del Fiscal Compact, chi non vuole cambiare alcunché. Quelli che, come il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, ancora ripetono ossessivamente che «tutti gli impegni vanno rispettati», chiudendo gli occhi di fronte alla sofferenza di milioni di cittadini europei. È chiaro, tuttavia, che le forze che anelano alla rottamazione dell’Europa unita, alla dismissione dell’Euro, al ritorno delle frontiere, traggono linfa e vigore dai disastri economici e sociali prodotti dalle folli politiche di austerità di questi anni. Paradossalmente, i loro principali alleati sono proprio i vari Schaeuble, Merkel, Juncker, Katainen e tutti quelli che si oppongono ad una riforma radicale della governance europea. Viceversa con la vittoria di Syriza in Grecia (e domani di Podemos in Spagna) potrebbero determinarsi le condizioni per un recupero della fiducia dei cittadini europei nel progetto di integrazione, oggi pesantemente in crisi ed a rischio di naufragio. Un’opinione che recentemente ha trovato spazio anche sulle colonne del Financial Times, per mano del suo editorialista di punta Wolfgang Münchau. Questi ha riconosciuto che solo i partiti della cosiddetta “sinistra radicale” hanno in Europa una proposta seria per uscire dalla stagnazione, mentre «i partiti dell’establishment di centrosinistra e centrodestra stanno lasciando che l’Europa vada alla deriva nell’equivalente economico di un inverno nucleare».
Cruciale, nei prossimi mesi, in Grecia come nel resto dei paesi europei, sarà in ogni modo la questione del debito, che in alcuni casi ha raggiunto livelli davvero insostenibili. Si chiede Piketty: «È tollerabile che paesi come l’Italia destinino il 6% del Pil al pagamento degli interessi sul debito e solo l’1% per l’università e la ricerca?». Syriza ha annunciato che se gli toccherà di governare il Paese la prima cosa che farà sarà chiedere l’istituzione di una “Conferenza europea sul debito”, per una moratoria che riguarderebbe tutti i paesi dell’Unione, o, almeno, della sola Eurozona. E se le istituzioni europee si dimostreranno sorde a questa richiesta? Yanis Varoufakis, economista molto vicino a Syriza, intervistato da Thomas Fazi sul Manifesto, sul punto è stato lapidario: «La Grecia sarà costretta a fare default a un certo punto, con un taglio del debito greco nei confronti del resto dell’Europa. E a quel punto, poco dopo, seguiranno l’Italia e poi la Spagna e il Portogallo».
Una previsione opposta a quella che in queste ore avrebbe convinto la cancelliera Merkel a considerare non particolarmente grave un’uscita unilaterale della Grecia dall’Euro. Il suo ragionamento sarebbe stato questo: i progressi di Irlanda e Portogallo sulla strada del risanamento dei conti pubblici, uniti all’ingresso in zona Euro della Lituania ed all’entrata in funzione del Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes), renderebbero più stabile l’Unione monetaria, anche in presenza di un disimpegno greco. Vedremo. Intanto una cosa è certa: questo 2015 annuncia grandi cambiamenti in Europa. La loro direzione, però, non è affatto scontata.
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