lunedì 8 settembre 2014

Condivido perfettamente. O si vince e si cambia l'Italia o si perde e allora andiamo via dall'Italia.

Renzi riuscirà nel suo intento, o fallirà. Ma non ha paura. La mia intervista al premier

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Ci sono dei socialdemocratici senza complessi. Matteo Renzi, da sei mesi Presidente del Consiglio italiano e presidente in carica dell'Unione europea per ancora quattro mesi, è uno di loro.
Non ignoro affatto gli elementi alle spalle del suo successo, né quelli che generano critiche anche all'interno della sinistra italiana che lo trova più generoso in materia di annunci, che di riforme. "Un inconveniente della democrazia", dice lui sorridendo per sventare le critiche, andando contro il parlamento, le resistenze di partito e la burocrazia italiana.
Quanto alla sua popolarità, cominciò a farsi evidente quando era sindaco di Firenze e rappresentava una sinistra onesta, lontana dalle corruzioni berlusconiane e capace di ridonare l'orgoglio al suo paese. A un'Italia che si vergognava di essere rappresentata da un vecchio mascherone, un buffone di corte, condannato per corruzione e dalla leggera moralità.
L'alone favorevole di Matteo Renzi, 39 anni quando diventò Presidente del Consiglio a inizio del 2014, migliorò ulteriormente con la sua ascesa al potere, anche se degna di una congiura di palazzo. E divenne immenso dopo la vittoria schiacciante alle elezioni europee del suo partito, il Partito Democratico (il partito di sinistra e centro-sinistra vicino a Prodi, Monti e D'Alema) con il 41% dei voti, il doppio di quello che si credeva avesse il vento in poppa, il Movimento 5 Stelle del populista Beppe Grillo. Non si trattò soltanto della vittoria contro gli anti-tutto, gli anti-partiti, gli "anti-establishment" come dicono nel FN (Front National), ma della vittoria di una certa idea di Europa sulla quale si era espresso chiaramente e che ha brandito fieramente con un'argomentazione molto semplice: volete che questi clown (i Grillini) vi rappresentino a Bruxelles? Domanda abile, portatrice di due messaggi allo stesso tempo: l'attacco diretto contro la poca serietà dei suoi avversari, ma anche il rispetto che credeva di dovere all'Europa; è troppo importante per lasciarla nelle mani di chissà chi.
Palazzo Chigi è l'antica dimora di una famiglia nobile romana del Rinascimento. Per questa intervista ottenuta per Europe1, siamo stati accolti nel palazzo in una sala riunioni impersonale, poi velocemente arredata con un magnifico anthurium ("la pianta preferita del Presidente"), un ficus e delle bandiere italiana ed europea appoggiate sul pianerottolo delle scale. Nel giro di qualche minuto la sala impersonale ha preso una allure da studio quasi accogliente.
Matteo Renzi era elegante, abito blu, cravatta tono su tono e camicia bianca, ben lontano dalla tenuta delle foto abituali della stampa che lo ritraggono in jeans e maniche arrotolate. Ha fascino, un sorriso gentile, la postura dell'uomo sempre di fretta che si dondola sulla sedia, lo sguardo furbo e coraggioso. Fin da subito, ha dichiarato di voler parlare francese. Parla velocemente, bene, con degli anglicismi, degli aggettivi dal genere aleatorio ("fare della politica, è bella"), degli italianismi che fanno sorridere, un accento tonico cantilenante e una cadenza rapida e facilmente comprensibile. È coraggioso da parte di un capo di stato sostenere mezz'ora di trasmissione in una lingua straniera. Renzi è coraggioso, "cela va sans dire" per riprendere la sua espressione preferita.
Sappiamo che il bilancio dello stato italiano non è buono: l'Italia è in recessione, la disoccupazione è al 12,6% (in Francia è al 10,3%) e arriva al 40% tra i giovani, il debito esplode, i prezzi al consumo stanno tornando indietro per la prima volta dal 1955, la deflazione è vicina. La situazione dell'Italia, terza economia della zona euro, è inquietante, ma quella della Francia lo è appena meno, e tuttavia abbiamo 
sentito l'arringa di difesa del capo di governo che aveva chiesto 100 giorni per riformare l'Italia, che in ragione delle difficoltà è passato a 1000 giorni, e che calma la sua frenesia con annunci e riforme.
Quattro cose che mi sono parse importanti tra i suoi propositi:
Avevamo iniziato a prenderci gioco della sua pseudo-ribellione davanti alla famosa regola maastrichtiana del 3% del deficit che un paese non dovrebbe superare. In effetti, non appena al potere, indossando gli abiti del caso, giurò che non sarebbe andato oltre il 2,9%. Di certo si augurava il favore di una Germania che ammira. Ma ha detto, con sincerità: sono così tanti anni che l'Italia, non rispettando mai la parola data, ha perso ogni credito, che volevo dimostrare che se lo sarebbe riguadagnato. Una necessità di cancellare i cliché di un'Italia poco affidabile per la quale, secondo un'altra brutta presa in giro, sommare debiti in Italia è come mettere più mozzarella sulla pizza. E dire poi che l'insalata sarà leggera.
In secondo luogo la sua argomentazione sull'Ucraina - senza dubbio influenzata dal fatto che l'Italia dipende più degli altri paesi dalla Russia per la sua energia e spera di poterla salvare - che per la prima volta mi è sembrata volersi inserire in una visione geopolitica. Se è d'accordo con gli altri paesi della Nato nel mettere in guardia, condannare e sanzionare la Russia espansionista, non vuole però arrivare a una guerra fredda, dato che crede ci sia bisogno della Russia per trovare una soluzione alla crisi in Siria, Iraq e al barbarico Stato Islamico. Giusto o sbagliato, almeno è una spiegazione globale sensata, nel mondo sottosopra in cui viviamo.
Quanto al suo terzo punto forte, ha parlato dei suoi legami con l'Europa, di cui prese coscienza a 14 anni con la caduta del Muro di Berlino, e a 17 anni con i massacri di Srebrenica in Bosnia. La tesi generalmente usata dalle vecchie generazioni, che hanno conosciuto la guerra o il dopoguerra, per le quali Europa significa prima di tutto "pace", è ora passata in mano alle generazioni successive che, di solito, quasi la ignorano. Questo giovane uomo di 39 anni lo dice senza vergogna, con furore: l'Europa sarà l'Europa, dice, se non soltanto si occuperà dei pesci nel Mediterraneo o della qualità dei vini francesi o italiani, ma se sarà capace di mantenere una politica estera degna, e di garantire una pace che, come ci ricorda l'anniversario della prima guerra mondiale, è relativamente recente.
Infine, il suo epilogo sulla sinistra si è rivolto direttamente ai Francesi, che non sanno più a chi credere, tra partiti a brandelli, un Presidente insultato quotidianamente e un Front National dominante. La sinistra non è sinistra che nell'azione, ha detto il capo di governo italiano. Sennò è tale e quale alla destra. Non deve esserci uno scontro tra ideale e realtà. Non bisogna dimenticarsi dell'ideale, della volontà di correggere alla fonte le ineguaglianze. Ma bisogna adattarsi con forza al reale, con il rischio di fallire e poi spartirsi per i successivi trent'anni nell'opposizione.
Matteo Renzi rivendica quel che una parte della sinistra francese considera come una parolaccia, il pragmatismo. Ma quando ci rendiamo conto che Marine le Pen è in testa nei sondaggi per le prossime presidenziali, non sarebbe meglio ripassare le dottrine centenarie? Nel suo celebre discorso al Congresso del 1946 della SFIO, Léon Blum aveva esortato i suoi amici socialisti dicendo loro di non avere paura. Paura del marxismo che li inibiva e li inibisce ancora oggi. Paura della realtà o del futuro.
Matteo Renzi riuscirà nel suo intento, oppure fallirà. Ma non ha paura.

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