venerdì 12 settembre 2014

Mandiamo a casa sindacalisti e burocrati servi dei sindacati e vedrete che l'Italia ripqrtirà.

12/09/2014

Crowdfunding: il made in Italy che decolla con internet

Cinque giovani imprenditori che sono riusciti a partire grazie a Kickstarter, spiegano come funziona

Due ingegneri al lavoro sulla Fenice, la prima macchina del caffè a induzione magnetica, finanziata attraverso Kickstarter

  
Pur essendo una pratica che fa molto web economy, il crowdfunding – finanziamento collettivo, in italiano –ha origini antiche. Nei primi anni dell’800, l’autore de “I Viaggi di Gulliver” Johnatan Swift, fra le altre cose fervente patriota irlandese, ispirò l’Irish Loan Funds, per finanziare l’attività di «poveri e industriosi commercianti» attraverso piccoli prestiti da ripagare senza interesse alcuno. Qualche anno dopo, si finanziò in modo analogo anche la base e l’installazione della Statua della Libertà, attraverso l’iniziativa della rivista The World allora diretta da Joseph Pulitzer. Senza dimenticare, ovviamente, le prassi di credito mutualistico delle nostre banche di credito cooperativo o i nostri consorzi di garanzia fidi, che hanno una storia di oltre centocinquant’anni.
La storia si ripete, insomma: oggi, in Europa, il crowdfunding è una importante fonte di finanziamento per circa mezzo milione di progetti imprenditoriali e culturali. Obama ne ha fatto una delle colonne portanti del suo Jobs Act – che negli Usa è acronimo di «fai partire la tua startup» e non riguarda le regole del mercato del lavoro: trova le differenze -  mentre si stima che lo scorso anno, in Europa, siano stati raccolti fondi pari a circa un miliardi di euro e che entro il 2020 questa cifra aumenterà esponenzialmente, diventando una delle prime fonti di finanziamento di nuove idee. Merito, soprattutto, di internet e della sua capacità di rendere virale la comunicazione un progetto o una suggestione, permettendo che raggiunga in ogni angolo del pianeta i suoi possibili finanziatori e acquirenti, categorie che molto spesso vanno a braccetto: del resto, più un’idea incontra il favore potenziale dei suoi potenziali compratori, più un finanziatore sarà interessato a investirci – non necessariamente piccole cifre - per vederla realizzata.
Su come funziona il crowdfunding, forse, un ripasso è necessario: si pubblicizza un’idea su piattaforme realizzate ad hoc, indicando contestualmente un obiettivo minimo di finanziamento e un lasso tempo entro cui raggiungerlo. Ogni utente può investire in quell’idea, ma i soldi non entrano nella disponibilità del proponente fino a che la cifra predeterminata non viene raggiunta. Se il finanziamento va a buon fine
Negli Usa, le success story di idee imprenditoriali finanziate grazie al crowdfunding  - e soprattutto grazie a Kickstarter, il principale sito che se ne occupa  - si moltiplicano di giorno in giorno. Pochi mesi fa, Forbes ha stilato una classifica delle prime dieci: c’è Coolest, il frigorifero portatile munito di porta usb, altoparlante integrato e shaker per i cocktail, che ha raccolto ben 13 milioni di dollari in poco più di un mese; c’è l’orologio Pebble – in cui il quadrante è realizzato con l’e-paper con cui è costruito lo schermo dei Kindle – che in soli 37 giorni ha raccolto più di 10 milioni di dollari da 68mila persone; c’è Ouya, una console open source per videogame, che ha raccolto più 8,5 milioni di dollari in 29 giorni e che è riuscita ad andare sul mercato dieci mesi dopo il lancio dell’idea; e poi ci sono Pono Music, il lettore mp3 ad altissima qualità audio ideato da Neil Young (6 milioni in un mese) o The Dash, il primo auricolare intelligente e senza fili (3,3 milioni in 50 giorni).
C'è anche chi, su Kickstarter, si è fatto finanziare per 55mila dollari perché sa fare insalate di patate
Dietro a questo plotone di testa, nella miriade di progetti che hanno trovato un finanziamento attraverso le principali fonti di finanziamento collettivo ce ne sono anche diversi provenienti dall’Italia. Ognuno di loro è una piccola storia di innovazione, ma anche una storia che racconta le persone, le loro passioni, la loro capacità di andare oltre le necessità e i binari morti della crisi del credito e del lento declino di gran parte della piccola impresa manifatturiera italiana. Soprattutto, può essere d’ispirazione per chi ha un’idea e vorrebbe provarci, ma che crede il crowdfunding sia solo roba da tech company americane.
In pochi lo sanno, ma il caffé espresso che beviamo tutte le mattine al bar è stato inventato a Torino nel 1884 e il merito è di due distinti signori dell'epoca: uno si chiama Angelo Moriondo, che ha depositato il primo brevetto. Il secondo si chiama Luigi Bezzera, che, nel 1905, ne ha perfezionato l'invenzione. Oggi, centotrent'ani dopo, una piccola start up, sta provando a reinventarla. Si chiama La Fenice ed è stata fondata da un team di imprenditori milanesi ognuno dei quali da tempo operante a vario titolo nel ramo del caffé. La loro idea è quella di creare una macchina del caffé che sfrutti il principio dell'induzione elettromagnetica, quello delle piastre elettriche al posto dei fornelli, per fare il caffé espresso e quello americano: un processo open source - la macchina funziona con qualunque tipo di capsula e pure con il caffé macinato - con cui si risparmia l'80% dell'energia elettrica rispetto a una normale macchina del caffé: «L'idea - spiegano - nasce dalla voglia di inventare qualcosa di nuovo. Lavoriamo nel mondo del caffè da diversi anni e da diversi anni viviamo in una realtà in cui tutti tendono ad uniformarsi. La Fenice rappresenta allo stesso tempo una rottura ed un omaggio al passato. Una rottura con il passato perché le tecnologie  impiegate oggi derivano tutte dall’intuizione che ebbe Luigi Bezzera nel 1905, un omaggio al passato perché il suo design si ispira alle meravigliose macchine a colonna del '900».
«Kickstarter non ti chiede garanzie economiche, ma fantasia, inventiva, passione»
Ecosostenibilità, design, innovazione sono gli ingredienti di una ricetta vincente, che ha permesso loro di raccogliere ben 167mila euro, quando l'obiettivo minimo era di "soli" 70mila. Un finanziamento che, a loro dire, difficilmente le banche avrebbero accordato loro: «Tutti sanno quanto sia difficile oggi ottenere un prestito e quali siano le garanzie richieste - raccontano - Kickstarter non è una banca, è una comunità di persone: le garanzie richieste da Kickstarter sono ben diverse da quelle bancarie, puramente economiche. La comunità ti chiede fantasia, inventiva, passione per quello che fai ma soprattutto correttezza, valori morali e intellettuali, non puramente monetari». Grazie a quelli che nel gergo del sito si chiamano bakers, 565 «piccoli investitori» che hanno creduto in loro - oddio, piccoli: in tre hanno investito 2.500 dollari - la Fenice ha potuto avviare la produzione delle sue macchine, ricevendo nel contempo l'attenzione di moltissime riviste specializzate. 
La storia di Hydrojacket è la storia di Luca Sburlati e di un gruppo di professionisti torinesi, amanti dello sport.  Comincia quattro anni fa, in Norvegia, dove scoprono capi sportivi certificati bio e senza fibre sintetiche. Unico problema: quei capi sono brutti. Decidono così di produrre una linea analoga, ma ad alto contenuto di estetica e design e fondano N2r (si legge nature): «Penso che se avessimo bussato alle porte delle banche avremmo avuto un finanziamento analogo pure da loro – spiega Luca Sburlati, uno dei titolari dell’iniziativa - Kickstarter e il crowdfunding, tuttavia, ci hanno dato un gigantesco ritorno d’interesse e di immagine che mai avremmo immaginato: hanno parlato di noi giornali e blog specializzati di tutto il mondo».

«Il crowdfunding è un mestiere difficile, soprattutto per chi lancia progetti dall'Italia»
Oggi N2r ha aperto un concept store in via Principe Amedeo 22 a Torino e le vendite, iniziate tra luglio e agosto, sono partite subito con il piede giusto, soprattutto in Germania e nel nord Europa. Oggi N2r sta lanciando un longboard (skateboard lungo, per i profani) in kevlar e fibra di carbonio, praticamente indistruttibile e presto lancerà un altro oggetto, per il momento ancora top secret: «Noi vediamo Kickstarter come un primo passo propedeutico a stabilire se il mercato apprezza ciò che proponiamo, per fare un test di prodotto e approntare le necessarie modifiche in itinere, ma soprattutto per farci prefinanziare e per dare molta visibilità alla nostra idea – continua Sburlati – il crowdfunding è comunque un mestiere difficile, soprattutto per chi lancia progetti dall'Italia. Ci sono sempre più progetti e la concorrenza è sempre più agguerrita. Per gli italiani, la difficoltà è ancora maggiore: bisogna avere una sede o un amico in UK o USA ad esempio».
Matteo Di Pascale ha ventisette anni. Nato ad Alessandria, ha studiato design della comunicazione al Politecnico di Milano, insegnato design al liceo artistico e lavorato come copywriter in un’agenzia pubblicitaria. Poi – è lui stesso a raccontarlo - quando l’attitudine negativa del «qui non si riesce a fare nulla» stava contagiando anche lui, è andato a vivere e lavorare ad Amsterdam. Da lì, ha ideato Intuiti, l’ha sviluppato e ha provato a finanziare la sua idea attraverso Kickstarter: « Intùiti è una sintesi di Design, Tarocchi e Psicologia della Forma – spiega -  Ogni carta rappresenta uno stimolo visivo, disegnato seguendo le teorie della Gestalt, il quale riprende un archetipo dei tarocchi classici. A differenza del brainstorming, è uno strumento non violento, che spinge a mettersi in discussione: si mescola il mazzo, si pesca una carta e ci si lascia ispirare dall'immagine. Intùiti nasce proprio dall'esigenza di ricordare che la creatività non è un processo meccanico, ma un "sentirsi"».

«Il crowdfunding è un negozio che vende quel che non esiste»
In realtà, il successo di Intuiti su Kickstarter nasce da molteplici rifiuti: «Non lo voleva nessun editore – spiega Di Pascale – troppo laico per gli esoterici, troppo alternativo per chi fa design. Così ho deciso di provarci da solo». Di Pascale lavora nella pubblicità e per lui è stato relativamente semplice creare una campagna di comunicazione e promozione ad hoc: «pochissime persone passano il tempo a controllare la home page di Kickstarter – spiega ancora Di Pascale – quindi devi essere molto bravo a portare persone a vedere quel progetto. Essere pubblicato su blog o siti è la strada migliore: se vai su Tech Crunch e Wired è probabile che raggiungi l’obiettivo in poche ore». Intuiti non ha avuto questa fortuna, ma è stato pubblicizzato dallo staff di Kickstarter sulla sua newsletter». Grazie ai 48mila euro raccolti, Di Pascale ha prodotto la prima serie di mazzi di carte e li ha spediti: «Avevo soldi in eccesso perché molte persone hanno pagato di più per avere i disegni delle carte in digitale – spiega - e attraverso quei soldi sono riuscito a realizzare un sovraprofitto. Lo avrei volentieri investito in un app, che tuttavia sono riuscito a realizzare gratis, grazie a una partnership. Comunque li investirò nello sviluppo del prodotto». Per Di Pascale,  «Kickstarter è soprattutto una bella vetrina di marketing e vendita che può permettere di avere qualcosa da reinvestire per accelerare lo sviluppo di un progetto imprenditoriale». Non solo: «È anche un’ottima leva di marketing ed è spendibile con altri finanziatori». Per questo, secondo lui, è perfetta per le piccole imprese del made in Italy, soprattutto per quelle che devono ancora nascere: «Il crowdfunding è un negozio di quel che non esiste. Ed è un modo molto importante e semplice per far esistere ciò che ancora non c’è».
Mario Ricciardi ha 32 anni ed è un ricercatore precario che si occupa di biotecnologie. Sono dieci anni, ormai, che studia il Dna ed è proprio allora, all’inizio dei suoi studi, che sviluppa l’idea di Dna.me: un gioiello, un bracciale che riproduce la parte di Dna che rende unico ognuno di noi. Dieci anni fa, tuttavia, i costi di analisi del patrimonio genetico erano improponibili. Qualche anno dopo, le cose cambiano: Ricciardi si trasferisce negli Stati Uniti per lavoro ed entra a conoscenza con le piattaforme di crowdfunding. Nel frattempo, i costi di analisi del Dna sono molto diminuiti e l’idea diventa realizzabile: «Per raggiungere l’obiettivo di 10mila sterline in 20 giorni abbiamo dovuto rilanciare la campagna due volte – spiega Ricciardi –: se non sei home page è difficile che qualcuno si accorga di te. Bisogna farsi conoscere, insomma, fare in modo che i social network e i giornali parlino di te».

«Il finanziatore tipo è tutto tranne che italiano»
Al netto del 7% dei finanziamenti che Kickstarter trattiene come fee Dna.me ha avuto a disposizione circa 10mila euro, che ha usato per realizzare una preserie del prodotto per le persone che l’hanno finanziato e per realizzare un piccola serie da regalare a blogger e influencer per guadagnare un po’ di pubblicità. Soprattutto, magari, a livello nazionale, visto che la proiezione che offre Kickstarter è pure troppo globale: «Hanno parlato di noi il Daily Mail, il Times e pure un paio di giornali giapponesi: «Il finanziatore tipo di Kickstarter è tutto tranne che italiano – spiega ancora Ricciardi –: l’italiano non è ancora abituato a usare la carta di credito online, tantomeno per finanziare a vuoto un progetto in vista di una possibile ricompensa. I finanziatori italiani di Dna.me saranno stati sì e no tre su cento e l’eco di pubblicità che il sito ha generato è quasi interamente internazionale. Questa, che io ricordi, è la prima volta che un giornale italiano parla di noi».  Il futuro di Dna.me  è ancora lontano da una vera e propria industrializzazione. Così come la stragrande maggioranza dei progetti finanziati con il crowdfunding online, si tratta infatti di prodotti in via di sviluppo, che con Kickstarter & co finanziano prototipi e prime serie: «Fino a qualche tempo fa Kickstarter accettava anche idee mai prototipate – continua Ricciardi – il caso dello smartwatch Pebble, che ha raccolto oltre 10 milioni di dollari rivelandosi poi molto più brutto del previsto, ha fatto loro cambiare politica. Adesso accettano solo prodotti, non rendering». Il rischio del dopo rimane: Dna.me, per continuare a finanziarsi, dovrà puntare su concorsi, startup competition, bandi di finanziamento. Non banche, delle quali Ricciardi non vuole nemmeno sentire parlare: «Io al crowdfunding ci credo – conclude – il rischio, tuttavia, è che venga monopolizzato da grandi imprese che lo usano come canale di vendita per lanciare prodotti nuovi».  Tutto il mondo è paese, insomma, anche online.
Mattia Ventura è un ragazzo romano di ventun anni.  L’idea di un laptop case indistruttibile e in grado di resistere a ogni tipo di condizione estrema – per intenderci: finire in mare, precipitare da un palazzo, essere schiacciato dalle ruote di un’automobile – gli è venuta allora: « Il crowdfunding è una strada quasi obbligata per un ragazzo di vent’anni appena uscito dal liceo – racconta -  Con le banche non ho provato nemmeno a parlarci. Curiosavo su Kickstarter da diverso tempo e mi sembrava uno spazio neutrale dove le buone idee sono premiate: il posto giusto, insomma, dove provare a vendere la mia».

«Il progetto che vende è quello con cui puoi fare un bel titolo»
Di Vivax – anzi di ViVAX™, come con rigida disciplina lo chiama Ventura – ne hanno parlato entusiasti Mashable, Daily Mail, La Stampa, Gadizmo, Cult of Mac e molte altre riviste specializzate, aiutando Mattia a far finanziare il suo progetto al secondo tentativo: «Anche quando non si raggiunge l’obiettivo Kickstarter è comunque molto utile - spiega – in quanto offre l’opportunità di testare il mercato, di capire quanto possa valere la tua idea o il tuo prodotto e che riscontro concreto possa avere sulle persone. Otre a ciò è una grande vetrina per farsi dei partner e per conoscere aziende con cui collaborare. Molte aziende usano Kickstarter per trovare idee e prodotti a loro utili e per uno startupper questo è indispensabile». Secondo Ventura tutte le piccole imprese italiane che hanno in pancia un nuovo prodotto – da quelle esistenti a quelle che devono ancora nascere – dovrebbero puntare sul crowdfunding, che a lui ha consentito di avviare il primo lotto di produzione. Consapevoli, tuttavia, che non l’idea o il prodotto da soli non bastano: « Molte persone, io stesso all’inizio, credono che sia sufficiente postare la propria idea su una piattaforma di crowdfunding.- spiega -. Sono convinti che, se il progetto è valido, i soldi pioveranno dal cielo, o dalla piattaforma, in questo caso. Purtroppo non è così, questi siti sono pieni di progetti poco validi molto finanziati e progetti molto validi poco finanziati». La chiave è la comunicazione: «Ci sono progetti molto validi che non sono riusciti a raggiungere il goal perché il prodotto non faceva notizia. Il progetto che vende è quello con cui puoi fare un bel titolo». 

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