Magistrati aggrappati al Tar, sollevazione per difenderli
Otto le sedi destinate a sparire
Ma le toghe si oppongono. E c’è chi le segue
di Alessandro Righi
Sulla necessità di tagliare spese e costi dello Stato sembrano tutti d’accordo. Se però si va a toccare il loro orticello, allora scatta l protesta. Come nel caso dei magistrati pronti alle barricate per evitare la scure delle sedi distaccate dei Tribunali amministrativi regionali (Tar) previsto dal decreto riorganizzazione della pubblica amministrazione approvato nei giorni scorsi dal Governo. Otto le sedi interessate: Brescia, Catania, Latina, Lecce, Parma, Pescara, Reggio Calabria e Salerno. Con i giudici pronti a tutto per evitare l’uso della tagliola. Una battaglia che sui territori ha già raccolto proseliti di avvocati politici locali. DI destra e di sinistra, compresi quelli iscritti ai partiti che sostengono la maggioranza di governo. Nel frattempo i presidenti dei Tar hanno convocato d’urgenza un consiglio straordinario di presidenza della giustizia amministrativa, il loro organo di autogoverno. E sul taglio previsto ora i magistrati chiedono una dura presa di posizione da parte del presidente del Consiglio di Stato Giorgio Giovannini, e un intervento del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in qualità di “primo magistrato d’Italia”.
Muro contro muro
“Un’operazione costosa è inutile”, così ha bollato il disegno del governo l’associazione nazionale magistrati amministrativi (Anma). I giudici contestano la “mancanza di dialogo anche di fronte all’invio di un pacchetto di proposte attraverso gli strumenti di partecipazione cittadina messi a disposizione dallo stesso esecutivo”. Tra le proposte rimaste nel cassetto anche l’eliminazione del trattenimento in servizio, alle spese e alle sanzioni per liti temerarie, al sistema di incompatibilità dei magistrati amministrativi, al rito degli appalti pubblici. Anche su questi temi i giudici sperano di poter riaprire il dialogo con il governo.
E proprio sulla giustizia amministrativa, nella giornata di ieri, il ministro della Giustiza Andrea Orlando è intervenuto in Commissione Giustizia alla Camera: “Non sono nemico dei Tar, ma il frazionamento dei controlli è una delle cause di inadeguatezza del nostro sistema nel contrasto alla corruzione. Esistono paesi che non conoscono la giustizia amministrativa e non hanno un tasso di corruzione più alto del nostro”, ha affermato il responsabile di via Arenula, “Ma dire che limitare i poteri dei Tar significa fare un favore ai corrotti è una forzatura: serve una filiera efficace nella dimensione preventiva”. Una linea chiara che sembra escludere passi indietro. Il governo ne vuole solo uno per regione. Ma non v’è dubbio che ci sarà da lottare. E non solo contro le toghe perché contro il taglio sono piombati nel dibattito anche gli avvocati amministrativi con una presa di posizione netta contro l’esecutivo: “Il decreto Renzi-Madia”, secondo i legali, “allontana gli utenti dal servizio, oltre a rallentare il competo iter decisionale”.
Senza quartiere
Dalla Lombardia final alla Sicilia. L’asse sta coinvolgendo pure i sindaci come accade per esempio a Lecce e Catania, dove Paolo Perrone (Fi) ed Enzo Bianco (Pd), stanno provando a tirare in ballo pure i parlamentari dei rispettivi territori per provare a cavare un ragno dal buco sui tavoli romani. Lecce e Catania sono due casi esemplari perché i loro uffici smaltiscono un numero di pratiche maggiori rispetto a quelle dei rispettivi capoluoghi di regione. “Già ho parlato con Delrio e Rughetti”, ha affermato il sindaco di Catania Bianco, “il Tar catanese è il terzo in Italia e serve tre province. Eliminarlo sarebbe un’ingiustizia”.
In Puglia e in Sicilia, però, la battaglia pro Tar conta anche sulla notevole distanza delle sedi distaccate rispetto a quelle principali di Bari e Palermo. Un’argomentazione che i giudici sono pronti a giocarsi. Ma che non vale per altri territori.
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