giovedì 19 giugno 2014

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Mangiatoia Mose: tre miliardi alla cricca

Un calcolo del 2012: il 50% dei fondi per il Consorzio non sono andati in opere pubbliche
Venezia

Photo by Marco Secchi/Getty Images

 
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Prima che arrivassero gli arresti per lo scandalo Mose di Venezia, c’è chi tra le calli in Laguna aveva già iniziato a fare i conti in tasca al Consorzio Venezia Nuova. E a calcolare quali siano state in questi anni le percentuali di spesa della cricca di GiovanniMazzacurati per la costruzione delle dighe mobili contro l’acqua alta e quali invece per le prebende o mazzette che servivano ad alimentare il sistema di consenso intorno a una delle infrastrutture più complesse e grandi in Europa. L’opera non è ancora stata conclusa, c’è l’impegno a finirla entro la fine del 2016. In ogni caso, Basti pensare che da quando i lavori sono partiti, nel 2003, i costi sono cresciuti del 60%, da 3.441 a 5.493 milioni di euro. A stabilire con esattezza quanti soldi sono stati distratti dalle opere sarà la procura. In particolare la Corte dei Conti che indaga su quale sia l’effettivo danno erariale causato dalla «cricca» della Laguna ai cittadini italiani. Ma una buona base di partenza potrebbe essere uno studio effettuato dai consigliere comunali diVenezia nel 2012, quando calcolarono di come a fronte di una spesa complessiva di più di 5 miliardi di euro, non ancora definibile con esattezza, solo il 53% del totale in questi anni sarebbe stato destinato alla costruzione delle barriere alle bocche di entrata in Laguna.
Da quando i lavori sono partiti, nel 2003, i costi sono cresciuti del 60%, da 3.441 a 5.493 milioni di euro
La questione non riguarderebbe solo la gestione di Mazzacurati, ma anche quelle precedenti. Quanti soldi pubblici sono stati effettivamente versati per la costruzione delle dighe? Chi ha gestito in questi anni la scatola del Cvn, grazie agli aiuti di Stato e all’emergenza della salvaguardia di Venezia, si è ritrovato una gallina dalle uova d’oro tra le mani per aiutare gli amici degli amici? Pare proprio di sì. Giuseppe Caccia, consigliere comunale di Venezia ormai dimissionario spiega: «Le cose stanno così da quasi trent’anni. Infatti di quei soldi, e della marea di danaro che è stata finora spesa per quel progetto, solo una parte va a finanziare le opere, mentre una gran parte va a finanziare qualcos’altro». Su «quell’altro» ora indagano i magistrati della procura di Venezia, ma a occhio la torta di soldi pubblici non impiegati come si doveva potrebbe corrispondere a quasi 3 miliardi di euro. Del resto è stato proprio Piergiorgio Baita, il re del project financing in Veneto, braccio destro di Mazzacurati a spiegare in un interrogatorio che di lavori si è parlato poco in questi anni. «Il Consorzio fino al 2003 non sapeva come spendere i soldi, si è inventato barene, rive, si inventava il lavoro singolo in giro per la Laguna. Ma dal 2003, quando sono partite le opere alle bocche, con l’impegno di finire, - prosegue Baita - è cambiato progressivamente il clima». Ma soprattutto ha aggiunto in svariate interviste. «Tangenti, consulenze e contratti a tutti. Se si mettono in pila fanno un miliardo di euro e non sono serviti al progetto Mose». E se fossero il triplo?
Venezia

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Sempre prendendo da esempio l’ultima tranche del 2012, va subito segnalato che una quota del 12% in questi anni non è andata a pagare i lavori o la progettazione, ma è finita per alimentare l’attività di management del Consorzio Venezia Nuova. Questo significa che la gestione del Cvn, tra costo del lavoro e altre prebende, coordinato da Mazzacurati - il capo della cricca nell’oliare un sistema di corruzione che spaziava dalla politica alla magistratura - è stata finanziata dal 2012 a oggi con 250 milioni di euro, oltre sessanta milioni all’anno. E sono cifre confermate sempre dallo stesso Baita durante gli interrogatori in procura. «Per sopravvivere il consorzio aveva bisogno di 72 milioni di euro all’anno».  Si tratta di una cifra spropositata se messa in relazione a semplici aziende private. Che aumenta se si fa la tara su tutto il finanziamento avvenuto negli ultimi anni. In ogni caso, sempre partendo da quei 1.250 milioni, rimangono 950 milioni di euro restanti che in teoria, quindi, dovrebbero essere destinati per i lavori. Ma come vengono fatti i lavori? Attraverso l’affidamento diretto alle imprese del Consorzio e senza un gara di appalto.
Spiega Caccia: «Anche pensando che la forte etica di quelle imprese non le induca a gonfiare le voci di costo (basterebbe informarsi in proposito presso i costruttori veneziani), qualora si facessero delle gare, come avviene in tutto il mondo civile, si otterrebbero dei ribassi medi sui lavori di circa il 30%. Ciò significa che se si facessero delle gare si risparmierebbero 285 milioni di euro, pur lasciando alle imprese la legittima remunerazione del proprio lavoro. Ripeto, questo sarebbe il risparmio minimo a fronte di conti ineccepibili da parte delle imprese. Per la precisione, in questa cifra ci sono anche costi di progettazione, magari fatta in famiglia con incarichi, sempre senza gare, dati da moglie a marito o da padre a figlio, ma non è questo il punto». Proprio questo dovranno capire i magistrati, in particolare quelli della Corte dei Conti che indagano. Per la precisione, i fascicoli aperti dalla magistratura contabile sono quattro. I primi due, al momento senza indagati, sono della procura della Corte dei Conti di Venezia e di quella di Roma, che procedono per danno all’immagine (della Pubblica amministrazione e, ovviamente, della Corte dei Conti stessa). Le altre sono sulle responsabilità della stessa Corte nell’inchiesta, tra cui la figura di Vittorio Giuseppone, anche lui, secondo l’accusa, a libro paga della cricca. 
Giorgio Orsoni e Massimo D'Alema (Flickr)

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Caccia: «Dei 1.250 milioni dati dallo Stato circa il 50% non vanno a pagare le opere ma a un ristretto numero di persone»
Dunque - spiega Caccia - «dei 1.250 milioni dati dallo Stato circa il 50%, cioè circa 600 milioni di euro non vanno a pagare le opere, ma vanno a un ristretto numero di persone che realizzano così assieme a degli impressionanti superprofitti, degli inspiegabili consensi e degli inspiegabili silenzi da decenni a questa parte. Ristretto numero di persone tra le quali va annoverata la rete dei “collaudatori”, che dovrebbero essere i controllori di ultima istanza, i quali si distribuiscono parcelle principesche e alla cui testa c’era fino a poco fa il noto Balducci». Si parla sul fronte collaudi di un giro da più di 26 milioni di euro, spalmato in diversi anni sui «cosiddetti» controllori dei lavori, nominati dal Magistrato alle Acque di Venezia, ente di controllo ora soppresso dal governo, corrotto dalla cricca con cifre altrettanto spropositate. 
Cuccioletta: «Quando l’opera sarà finita, della cifra spesa solo poco più della metà sarà stato speso nelle opere di salvaguardia»
Patrizio Cuccioletta, settantenne ingegnere romano che fino al 31 ottobre 2011 è stato presidente del Mav, lo ha spiegato ai magistrati il 16 giugno scorso. «Mazzacurati mi disse che mi avrebbe dato una somma di circa 200mila euro all’anno (gli inquirenti gliene contestano 400, ndr) e che alla fine del mio mandato mi avrebbe versato anche un riconoscimento finale ammontante ad alcuni milioni di euro». E poi: ««Ammetto che i collaudatori del Mose erano stati quasi sempre scelti da Mazzacurati: in realtà le nomine le facevo io ma su sua indicazione e pressione, con una effettiva coincidenza tra il soggetto controllato e colui che nominava il collaudatore». Caccia ne è sicuro: «Tutta l’operazione Mose, condotta con queste procedure, rappresenta il più colossale e impressionante trasferimento di danaro pubblico in tasche private che si sia visto in Italia. Quando l’opera sarà finita (sempre che venga mai finita perché chi la realizza ha interesse ad allungare continuamente i tempi e ad aumentare continuamente i costi) della cifra spesa, solo poco più della metà sarà stato effettivamente speso nelle opere di salvaguardia».
Il sistema del Mose

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Il Consorzio Venezia Nuova negli anni è diventato una cassaforte per i partiti veneti, dal Pd al Pdl
Regali, favori, raccomandazioni, soldi, promozioni, promesse e lavoro. Questo è l’olio che fa camminare la macchina della corruzione e non lo scopriamo di certo oggi con mezzo nord Italia sotto inchiesta. Tuttavia ogni caso ha le sue peculiarità e i personaggi coinvolti nelle cronache giudiziarie di questi giorni i loro vizi e tentennamenti di essere umani. Uno spaccato del funzionamento della macchina corruttiva che stava dietro alla pioggia di denaro e incarichi del Mose che emerge dagli interrogatori degli indagati. Qualcuno ammette candidamente, altri provano a salvarsi faticosamente in calcio d’angolo. Si va dal regalare una penna di valore a Natale, fino alla dazione diretta di denaro, arrivando all’assegnazione di appalti e commesse a tavolino. Il Consorzio Venezia Nuova negli anni è diventato una cassaforte per i partiti veneti, dal Partito democratico fino al Popolo della Libertà, ma è tutto il mondo dei personaggi che gravitavano attorno al Consorzio e all’affaire Mose a restituire lo spaccato del sistema nelle stesse parole degli indagati.
D’altronde è lo stesso ingegnere Piergiorgio Baita, gran visir della società Mantovani, a dirlo nel corso di un interrogatorio agli atti dell’indagine: «senza i santi non si va in paradiso». E con i 200mila euro di Baita alla campagna elettorale di Galan e i lavori nella proprietà di Cinto Euganeo per circa 1milione di euro dello stesso ex ministro dell’agricoltura, Baita, qualche santo in paradiso se l’è fatto. La domanda dei pm è precisa «Lei ha dovuto elargire favori a persone, a funzionari che nella catena di comando si trovavano in posizione chiave, anche se subordinati a quelli che sono i ruoli di Presidente e di assessore alla Regione?» e la risposta di Baita è altrettanto chiara: «sì». Insomma, sempre per citare Baita, «elargire favori è pratica corrente», come l’assunzione della figlia di Giovanni Artico (ex commissario straordinario per il recupero territoriale e ambientale di Porto Marghera) all’interno del gruppo Mantovani anche dietro pressioni sullo stesso Baita, come si evince dalle intercettazioni.
(TIZIANA FABI / AFP)

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Dai verbali, come già detto, emergono anche le elargizioni di denaro al Magistrato delle Acque Enrico Cuccioletta (ammesse dallo stesso in un successivo interrogatorio), di nuovo l’assunzione presso il consorzio della figlia dell’allora Magistrato delle Acque, e i 500mila euro che il Consorzio Venezia Nuova fa finire nelle tasche di Marco Milanese, che rischia nei prossimi giorni di essere toccato duro dalle indagini in corso sul sistema Mose, così come i rapporti con l’ex generale in pensione della Guardia di Finanza Emilio Spaziante.
Nella vicenda Mose esce con le ossa rotte anche una parte della Guardia di Finanza, ed è ancora Baita a tirare in ballo un colonnello della polizia tributaria: una mossa distensiva riguardo la verifica fiscale su Mantovani sarebbe stata quella di assumere la figlia del colonnello Splendore, in servizio a Padova, e oggi a capo della struttura dell’Aise (servizi segreti) ne triveneto. Baita esegue su consiglio dell’imprenditore trevigiano Luigi Dal Borgo. Insomma, a libro paga di Baita c’erano anche l’imprenditore padovano Mirco Voltazza, il ferrarese Gino Chiarini, che si finse intermediario con un giudice di Udine e aiutò un latitante a nascondersi, Alessandro Cicero e Antonio Manganaro, questi ultimi due a capo del quotidiano on line “Il Punto”, al centro della vicenda nei rapporti tra esponenti della Guardia di Finanza, i servizi e gli indagati.
Giancarlo Galan

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Claudia Minutillo: «eravamo onnipotenti, far girare le tangenti ci sembrava normale»
Nel “sistema” la parte della leonessa l’ha fatta anche Claudia Minutillo, ex assistente di Giancarlo Galan, che in una recente intervista a La Repubblicadice «eravamo onnipotenti, far girare le tangenti ci sembrava normale». E proprio lei, la “dogessa” del Mose è uno dei principali bersagli dell’ingegner Piergiorgio Baita. Tutti passavano da lei per arrivare a Giancarlo Galan, oggi accusato di aver spremuto lo stesso Baita e il consorzio Venezia Nuova. A sua volta Minutillo carica di responsabilità Baita e e nel corso di un interrogatorio tra in ballo anche Gianni Letta e Giulio Tremonti. Lo stesso Letta nei giorni scorsi ha smentito anche le dichiarazioni di Baita secondo cui avrebbe fatto pressioni per affidare un subappalto a un’impresa romana. Gianni Letta, luogotenente di Silvio Berlusconi. Non si fa problemi un altro protagonista di questa inchiesta, Giovanni Mazzacurati, ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, a rispondere quando ho un problema «vado dal dottor Letta» che però «non ha ricevuto mai niente».
Nel memoriale del 25 luglio 2013 lo stesso Mazzacurati scrive, per poi confermare a verbale davanti ai pm «Per le campagne elettorali, mi pare, del 2010 e del 2013 ho versato dei denari all’onorevole Matteoli, consegnandoli presso la sua abitazione in Toscana». Dello stesso tenore le dichiarazioni di Mazzacurati nei confronti dell’ex sindaco di Venezia Orsoni e Massimo Cacciari. Quest’ultimo ha escluso di aver mai ricevuto contributi da Mazzacurati. Sarà Roberto Pravatà, vicedirettore generale del Consorzio Venezia Nuova, a parlare di fondi dati al Pd attraverso un incarico fittizio per l’Arsenale di Venezia all’ex premier Enrico Letta (non indagato) per 150mila euro. L’importo doveva sostenere la candidatura di Letta nel 2007. L’ex premier smentisce tutto, parlando di finanziamenti ottenuti soltanto in maniera lecita e pubblica. Allo stesso modo nell’indagine è finito anche il magistrato della Corte dei Conti Vittorio Giuseppone. Per lui denaro, e in cambio, ricorda Mazzacurati un trattamento «direi.. morbido».
Il Mose

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Il Consorzio Venezia Nuova muoveva anche la macchina della comunicazione. Tutti gli anni un giornalista o uno scrittore più o meno importante veniva chiamato a scrivere un libro. Sullo sfondo Venezia e parecchio denaro. Tra i “Libri per Venezia” spiccano “Ombra”, firmato dall’ex direttore di Sole 24 Ore e Tg1 Gianni Riotta e, come ha ricordato Il Fatto Quotidiano, ex collega al Manifesto del capo ufficio stampa del Consorzio, Franco Miracco, un libro di immagini di ritrovamenti archeologici di autori vari costato 82milioni e 400mila lire. Siamo nella prima metà degli anni ’90. E Riotta ha minacciato querele perché nel 1994 la presidenza del Consorzio era sotto Luigi Zanda e non sotto Mazzacurati. 
Nel 2000 sono 25 i milioni di lire spesi dal Cvn per l’opera “Mòre. Libere Associazioni Veneziane” a firma di Antonio Alberto Semi. Nel 2002 l’editore di riferimento diventa Marsilio e con lui arriva anche l’archeologo e scrittore Valerio Massimo Manfredi con “L’isola dei morti”. 17Mila euro. C’è spazio per altrettanti titoli e altre migliaia di euro spesi. Nel 2010 tocca al figlio dello stesso Mazzacurati. Il 2011 è l’ultimo anno e si esce con “Storia di cinema a Venezia” di Irene Bignardi. A lei 37mila euro.

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