Dalla Spagna una lezione di sportività e giornalismo
di Boris Sollazzo - 19/06/2014
La Spagna esce fuori dai mondiali, con una partita d’anticipo. Sette gol subiti, solo uno fatto. Su rigore. Un disastro.
I quotidiani catalani si consolano con l’acquisto del portiere cileno Bravo. E con un po’ di soddisfazione – nonostante non siano pochi i blaugrana nella rosa spagnola – titolano “abdicano”, con facile riferimento alla Casa Reale e alle Furie Rosse.
Altre prime pagine molto deluse ce ne sono, come il poetico The End sopra un Iniesta solo e sconsolato in campo. E’ stata composta e dispiaciuta, insomma, la reazione iberica al tracollo della sua Invincibile Armata.
I quotidiani catalani si consolano con l’acquisto del portiere cileno Bravo. E con un po’ di soddisfazione – nonostante non siano pochi i blaugrana nella rosa spagnola – titolano “abdicano”, con facile riferimento alla Casa Reale e alle Furie Rosse.
Altre prime pagine molto deluse ce ne sono, come il poetico The End sopra un Iniesta solo e sconsolato in campo. E’ stata composta e dispiaciuta, insomma, la reazione iberica al tracollo della sua Invincibile Armata.
Ma è As a dare a tutta Europa, e soprattutto agli altri paesi latini (Italia e Francia su tutte, decisamente ingrate e feroci quattro anni fa in una situazione analoga), una lezione di sportività e giornalismo.
Pensate all’isterismo dei giornali sportivi italiani quando non solo si perde, ma semplicemente non gioca il calciatore preferito del direttore. E ricordate come furono impietosi i francesi sulle sconfitte e l’ammutinamento dello spogliatoio, con quotidiani e settimanali e ancora oggi libri e rivelazioni a coprire di infamia Sudafrica 2010?
Pensate all’isterismo dei giornali sportivi italiani quando non solo si perde, ma semplicemente non gioca il calciatore preferito del direttore. E ricordate come furono impietosi i francesi sulle sconfitte e l’ammutinamento dello spogliatoio, con quotidiani e settimanali e ancora oggi libri e rivelazioni a coprire di infamia Sudafrica 2010?
As, no.
Fa altro. Mette Iniesta che piange nascosto dalla propria maglia, accanto a lui Iker Casillas che sta per togliersi la fascia da capitano (forse per sempre). A tutta pagina.
Accanto e sopra le loro teste tre piccole foto, quelle dei trionfi agli europei – l’ultimo umiliando noi italiani, che forse abbiamo intercettato l’apice e l’inizio del declino di un ciclo di vittorie incredibile – e del mondiale. Accanto alla testata un sobrio “Il Maracanà segna la fine di una generazione gloriosa”. Ma da applausi è ciò che è scritto in copertina: il titolo principale recita, senza rimpianti, “è stato bello finché è durato”. E sora le immagini delle tre vittorie di una squadra irripetibile, As risponde a Del Bosque, Xabi Alonso e Casillas che ieri sera hanno chiesto pubblicamente perdono ai tifosi e a tutto il paese. Perché la replica di As non è un editoriale all’italiana in cui si sparerebbe sulla croce rossa, ma sei sole parole.
Accanto e sopra le loro teste tre piccole foto, quelle dei trionfi agli europei – l’ultimo umiliando noi italiani, che forse abbiamo intercettato l’apice e l’inizio del declino di un ciclo di vittorie incredibile – e del mondiale. Accanto alla testata un sobrio “Il Maracanà segna la fine di una generazione gloriosa”. Ma da applausi è ciò che è scritto in copertina: il titolo principale recita, senza rimpianti, “è stato bello finché è durato”. E sora le immagini delle tre vittorie di una squadra irripetibile, As risponde a Del Bosque, Xabi Alonso e Casillas che ieri sera hanno chiesto pubblicamente perdono ai tifosi e a tutto il paese. Perché la replica di As non è un editoriale all’italiana in cui si sparerebbe sulla croce rossa, ma sei sole parole.
“Non chiedete perdono. Vi dobbiamo molto”.
Una lezione di civiltà in qualcosa di non fondamentale per un paese, come il calcio, ma dannatamente importante per il suo popolo. E fa piacere pensare che magari As, oggi, abbia venduto di più. Che al sangue, all’umiliazione, alla rivalsa contro il campione ricco ma in ginocchio, il popolo degli sportivi preferisca la gratitudine, l’onore delle armi, il sorriso.
Gabriele Salvatores ha detto, la sera della consegna dei David di Donatello, che “i registi devono essere più avanti del proprio pubblico. E vale anche per i politici”. Noi aggiungiamo che avremmo un mondo migliore se anche i giornalisti invece di assecondare la massa, l’anticipasse. O almeno le mostrasse il lato meno facile di ciò che racconta, prendesse la posizione più scomoda, ma giusta. Prendendosi il rischio di perdere qualche lettore.
Stampiamoci questa prima pagina e incorniciamola. Vale sia per chi scrive, sia per chi legge. Ci ricorderà quant’è bello lo sport, com’è gratificante trovare le parole giuste per raccontare un momento storico e che sono le sconfitte a renderci ciò che siamo. Non il tiki taka.
P.S.: che la Spagna sia un paese civile (più di alcuni suoi governi) lo dimostra cosa sta facendo la Federcalcio iberica con Del Bosque. Non lo caccia, rimette a lui la decisione. Chiedendogli di rimanere. Il minimo, per chi ha fatto l’impossibile.
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