19/06/2014
Expo 2015, l’esercito dei lavoratori atipici
Più flessibilità e lavoratori stranieri. Intanto le aziende sono a caccia di stagisti sottopagati
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Per qualcuno è «un’occasione da non perdere», per altri «un grande errore». Expo 2015, inchieste giudiziarie comprese, è il campo di battaglia su cui si sfidano desideri di ripresa e pessimismi supportati da numeri e vicende che non fanno ben sperare. Il pericolo è che, in preda alla ubriacatura da esposizione universale, si facciano grandi errori. Sul lavoro in primis. Perché se è vero che è una grande occasione, potrebbe esserlo soprattutto per i posti di lavoro generati da un evento per il quale si attendono 20 milioni di visitatori. In particolare in un Paese in cui cresce la disoccupazione, anche quella di lunga durata (oltre i dodici mesi). Per questo «in vista di Expo» si sono allargate le maglie della flessibilità del lavoro; «in vista di Expo» si stanno concordando stage, anche quando di stage non si tratta; «in vista di Expo» si stanno cercando migliaia di volontari che lavoreranno gratuitamente per l’accoglienza ai padiglioni, «in vista di Expo» sono state concesse deroghe alle società in house del Comune di Milano.
“200mila nuovi posti di lavoro”
Partiamo dai numeri. Le previsioni della crescita occupazionale si trovano in uno studio commissionato dalla Camera di commercio di Milano all’Università Bocconi, che ha messo a punto un modello econometrico elaborato da un gruppo di analisti guidato da Alberto Dell’Acqua. I risultati, pubblicati a inizio 2013, sono questi: se gli organizzatori dell’Expo 2015 riusciranno a portare davvero sotto la Madonnina venti milioni di visitatori, la manifestazione genererà un incremento di produzione lorda aggiuntiva per l’Italia – nel periodo tra il 2012 e il 2020 – di 24,7 miliardi di euro (al netto delle infrastrutture collegate) e 191mila unità di lavoro all’anno. Questa è l’“occupazione attivata”, tra impatti diretti, indiretti e legacy (post Expo), che considera sia l’area vasta di Milano sia l’indotto. Ora, che le quasi 200mila unità si traducano in veri posti di lavoro dipende dall’andamento complessivo dell’economia. Ma lo studio assegna l’impatto maggiore, in termini occupazionali, al settore del turismo-ristorazione, che genererà oltre 39.400 unità lavorative, seguito dai servizi alle imprese, con circa 33.800, e dall’industria, con quasi 28.700 posti di lavoro.
Partiamo dai numeri. Le previsioni della crescita occupazionale si trovano in uno studio commissionato dalla Camera di commercio di Milano all’Università Bocconi, che ha messo a punto un modello econometrico elaborato da un gruppo di analisti guidato da Alberto Dell’Acqua. I risultati, pubblicati a inizio 2013, sono questi: se gli organizzatori dell’Expo 2015 riusciranno a portare davvero sotto la Madonnina venti milioni di visitatori, la manifestazione genererà un incremento di produzione lorda aggiuntiva per l’Italia – nel periodo tra il 2012 e il 2020 – di 24,7 miliardi di euro (al netto delle infrastrutture collegate) e 191mila unità di lavoro all’anno. Questa è l’“occupazione attivata”, tra impatti diretti, indiretti e legacy (post Expo), che considera sia l’area vasta di Milano sia l’indotto. Ora, che le quasi 200mila unità si traducano in veri posti di lavoro dipende dall’andamento complessivo dell’economia. Ma lo studio assegna l’impatto maggiore, in termini occupazionali, al settore del turismo-ristorazione, che genererà oltre 39.400 unità lavorative, seguito dai servizi alle imprese, con circa 33.800, e dall’industria, con quasi 28.700 posti di lavoro.
Le nuove unità occupazionali si distribuiranno ovviamente nel tempo. A ridosso dell’evento, nella fase preparatoria, quella che stiamo vivendo ora, la maggiore occupazione ricadrà nei settori delle costruzioni, dei servizi alle imprese e nell’industria. Nel 2015, la più forte ricaduta occupazionale si avrà invece sul settore del turismo con 27.775 unità lavorative in più in un anno. A evento terminato, tra il 2016 e il 2020, l’occupazione si concentrerà principalmente nel settore dell’industria e dei servizi alle imprese.
“Se i lavoratori impiegati per l’Expo avevano già un lavoro, non si tratta di occupazione addizionale”
Ma c’è anche chi, sempre dalla Bocconi, ha criticato duramente le stime sul valore e l’occupazione creati da Expo. Roberto Perotti, ordinario di economia politica, facendo le pulci a diverse previsioni sull’impatto economico di Expo, sostiene che tutti questi numeri positivi ignorano un fattore importante: «Tutte le risorse usate hanno un costo». E per quanto riguarda il fronte occupazionale, «se i lavoratori impiegati per l’Expo avevano già un lavoro, non si tratta di occupazione addizionale. Se erano in cassa integrazione, bisognerebbe allora sottrarre dai loro redditi da lavoro (e quindi dagli extra consumi generati) l’assegno di cassa integrazione che ora non percepiscono più». Insomma, facciamo bene i conti prima di brindare.
Gli accordi: lavoratori sacrificati sull’altare dell’Expo?
Questi i numeri, più o meno plausibili. Ma di che tipo di occupazione parliamo? «Noi», spiega Cristina Tajani, assessore alle Politiche del lavoro del Comune di Milano, «in questi anni abbiamo lavorato con le organizzazioni sindacali per provare a mettere dei paletti che vadano nella direzione di creare buona occupazione, non mascherando il lavoro con altre formule come il volontariato e con l’utilizzo proprio di contratti che siano quelli giusti e non contratti camuffati».
Questi i numeri, più o meno plausibili. Ma di che tipo di occupazione parliamo? «Noi», spiega Cristina Tajani, assessore alle Politiche del lavoro del Comune di Milano, «in questi anni abbiamo lavorato con le organizzazioni sindacali per provare a mettere dei paletti che vadano nella direzione di creare buona occupazione, non mascherando il lavoro con altre formule come il volontariato e con l’utilizzo proprio di contratti che siano quelli giusti e non contratti camuffati».
Percorso che ha prodotto per prima cosa l’accordo del 23 luglio 2013. Quando le tre sigle sindacali, Cgil, Cisl e Uil, hanno stipulato con la società Expo spa un accordo aziendale sulle modalità di assunzione di circa 800 figure necessarie per l’esposizione universale, ma in deroga rispetto alle regole del mercato del lavoro. Il testo prevede 340 contratti di apprendistato destinati agli under 29, 300 contratti a tempo determinato, scelti dalle liste di mobilità e disoccupazione, e 195 stage retribuiti con 516 euro di rimborso spese. Nel testo vengono introdotte le figure dell‘operatore, specialista o tecnico di sistemi di gestione dei grandi eventi, da utilizzare, forse, una volta terminato Expo, anche nelle fiere più grandi della città o durante la settimana della moda. Nell’accordo sono previsti anche circa 18.500 volontari, chiamati a fornire informazioni e assistenza ai visitatori del sito espositivo, impiegati ciascuno per cinque ore al giorno per un massimo di due settimane, per un fabbisogno giornaliero di 475 persone.
Per quanto riguarda l’apprendistato, la deroga prevede una durata minore del contratto. Si punta sulla formazione “on the job”, cioè mentre si lavora, e soprattutto cadono l’obbligo di certificazione della formazione svolta e di assunzione di almeno il 30 per cento (come previsto dalla legge Fornero). Cosa, questa, che non ha fatto decollare per niente l’apprendistato nel nostro Paese, nonostante le insistenze della riforma del 2012 di farne il contratto principe per l’inserimento lavorativo. Perché l’apprendistato, per l’impresa, è conveniente rispetto ai normali contratti: i contributi sono totalmente o in parte a carico dello Stato e il lavoratore può essere assunto con una qualifica fino a due livelli inferiore rispetto a quella cui sarebbe destinato. Togliendo la “perdita di tempo” della formazione e l’obbligo di assumere, rimane solo il limite dei 29 anni, ed è per questo che conviene. La seconda deroga ha a che fare invece con il contratto a tempo determinato: cade la casualità, poiché l’eccezionalità dell’intervento stesso giustifica il limite temporale di durata, e l’intervallo di tempo tra la scadenza del contratto e il suo eventuale rinnovo è stato ridotto da 60 a dieci giorni. Causa Expo. La maggiore flessibilità introdotta, insomma, ha una scadenza. Ma subito dopo l’accordo l’ex presidente del consiglio Enrico Letta si affrettò a dichiarare:
“Sulla base dell’intesa raggiunta a Milano si può pensare a un modello nazionale. L’expo si conferma un laboratorio per il Paese e un volano per la nostra economia”
L’accordo ora potrebbe essere esteso a tutta la Lombardia, dopo la firma dell’“Avviso comune regionale Expo e lavoro” sottoscritto il 5 giugno dai tre sindacati confederali e dal presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni. Si tratta di una serie di indicazioni che sono ancora una scatola vuota, visto che per attuarli servono specifici accordi di categoria o aziendali in deroga alle normali regole contrattuali. Cosa che potrà avvenire non più solo per la società Expo spa, ma su tutto il territorio regionale, basta che i settori e le aziende siano «correlati all’evento», con validità fino al 31 marzo 2016. Tra i punti principali, si legge che «i contratti a tempo determinato e di somministrazione assumeranno particolare rilievo per rispondere, anche in termini di qualità dell’occupazione, alle esigenze di personale che si determineranno», privilegiando nelle assunzioni «le fasce occupazionali deboli con particolare riferimento a over 50, giovani, donne, personale in cassa integrazione e mobilità, inoccupati e disoccupati».
Ma la flessibilizzazione del lavoro, giustificata dall’esposizione universale, non piace proprio a tutti. Su tutte, si è alzata la voce della Fiom, che ha criticato la Cgil di avallare a Milano ciò che invece critica a Roma. «Nella compiacenza verso queste logiche che da sempre come Fiom condanniamo», ha detto Mirco Rota, segretario generale della Fiom Cgil Lombardia, «c’è tutta la doppiezza della Cgil, che da un lato critica il Jobs Act di Renzi, rimproverando una flessibilità troppo marcata, ma d’altro canto avalla la flessibilità selvaggia e la utiliuzza come dogma, perdendo di vista gli interessi dei lavoratori, che vengono sacrificati sull’altare dell’Expo. Con l’Expo si arriva a definire una flessibilità mansionaria come elemento da concedere agli imprenditori e senza contropartite per gli stessi lavoratori. Ed infine, cosa ancora più grave, si determinano gli elementi per congelare o stabilizzare le vertenze, spuntando le armi del sindacato e togliendo gli elementi di pressione sindacale delle imprese, ogniqualvolta faccia comodo agli imprenditori schiacciare il pulsante della flessibilità». Le tipologie contrattuali usate varieranno anche in base a come variano le leggi sul lavoro. «Sul resto dell’indotto molto dipende dall’entrata in vigore del decreto Poletti che spingerà le aziende a scegliere una formula piuttosto che un’altra. Il problema non è flessibilità, ora ci sono tutte le tipologie, anche senza casualità, il problema è il dopo», dice Tajani.
“La flessibilità selvaggia viene usata come dogma, perdendo di vista gli interessi dei lavoratori, che vengono sacrificati sull’altare dell’Expo”
Volontariato o lavoro gratuito
Poi c’è la questione spinosa dei volontari. I manifesti pubblicitari con i quali si invitano i milanesi «a stringere amicizia con un milione di persone» fanno ormai parte dell’arredo urbano della città. Ma in un anno, le previsioni sul numero dei volontari effettivi sono calate dalle oltre 18mila dell’accordo di luglio 2013 alle circa 7mila unità attuali. «I numeri», spiega Cristina Tajani, «si sono ridotti man mano che avanzano i lavori e le valutazioni sui flussi si sono avvicinate a quello che effettivamente succederà nel sito rispetto al dossier di candidatura presentato al Bie, che addirittura parlava di 23mila persone». Eppure in tanti urlano allo scandalo. La domanda diffusa è: perché far lavorare gratis migliaia di persone?
Poi c’è la questione spinosa dei volontari. I manifesti pubblicitari con i quali si invitano i milanesi «a stringere amicizia con un milione di persone» fanno ormai parte dell’arredo urbano della città. Ma in un anno, le previsioni sul numero dei volontari effettivi sono calate dalle oltre 18mila dell’accordo di luglio 2013 alle circa 7mila unità attuali. «I numeri», spiega Cristina Tajani, «si sono ridotti man mano che avanzano i lavori e le valutazioni sui flussi si sono avvicinate a quello che effettivamente succederà nel sito rispetto al dossier di candidatura presentato al Bie, che addirittura parlava di 23mila persone». Eppure in tanti urlano allo scandalo. La domanda diffusa è: perché far lavorare gratis migliaia di persone?
Sindacati e società hanno raggiunto una definizione comune su cosa debbano fare i volontari e per quanto tempo. I programmi sono diversi: quello da 14 giorni, quello da 12 mesi come volontario del servizio civile, e quello da 6 mesi della DoteComune Expo in collaborazione con Anci, fino all’esperienza di un solo giorno, che dà ai dipendenti delle aziende la possibilità di svolgere un’attività di volontariato nel sito espositivo.
“È giusto che se i giovani lavorano vengano pagati, soprattutto quando sono così tanti. Il volotariato è una cosa, il lavoro un’altra. E qui non vedo alcuna situazione di bisogno che possa giustificare il volontariato”
«Quello che non tutti sanno», prosegue Cristina Tajani, «è che il tema dei volontari è obbligatorio nel dossier di candidatura. Il Bie (Bureau International des Expositions, ndr), per come sono state concepite le esposizioni universali, quando si presenta il dossier chiede di indicare le forme di volontariato che facciano partecipare la società civile all’evento. Il tema non è stato introdotto a Milano, ma è un must del dossier di candidatura. Può aver senso che ci siano persone che abbiano voglia di contribuire con la messa a disposizione del proprio tempo». Il form aperto sul sito Expo per le candidature ha raccolto circa 3mila adesioni in un mese. Dalle candidature, poi, «si faranno delle selezioni, sulla base di particolari requisiti che i volontari che accolgono dovranno avere», come la conoscenza delle lingue per esempio, visto che si prevedono visitatori da tutto il mondo. Ed è questo, anche, che fa dire a molti che in realtà si tratta di “lavoro mascherato”, perché, come commenta Barbara Rosina, responsabile del Centro per l’orientamento allo studio e alle professioni dell’Università Statale di Milano, «molti di questi volontari in realtà sono professionisti. È giusto che se i giovani lavorano vengano pagati, soprattutto quando sono così tanti. Il volontariato è una cosa, il lavoro un’altra. E qui non vedo alcuna situazione di bisogno che possa giustificare il volontariato».
Ma anche il Comune di Milano avrà dei volontari, visto che non è possibile assumere inderoga al patto di stabilità. «Abbiamo concordato con i sindacati», dice Tajani, «la possibilità di poter usare un numero ridotto di volontari per poter far fronte ad alcune necessità come l’accoglienza culturale. Non volontari singoli, ma convenzioni con associazioni come il Touring, alle quali apriamo i nostri spazi per accogliere i visitatori».
I pericoli della deregulation e i tasselli mancanti
Ma non tutto sembra andare come previsto. Anche perché se per le assunzioni da parte della società Expo spa esistono gli accordi, seppur in deroga, l’indotto è invece difficile da controllare e monitorare. Alcune aziende straniere si stanno già rivolgendo al Centro per l’orientamento allo studio e alle professioni dell’Università di Milano alla ricerca di giovani da impiegare. Ma, guarda caso, cercano stagisti. «Troppo spesso lo stage viene considerato uno strumento al pari di un lavoro a tempo determinato», dice Barbara Rosina, responsabile del Cosp. «Il rimborso obbligatorio che è stato introdotto viene spesso visto alla stregua di uno stipendio». Ed ecco che alla sua porta si sono già presentate alcune aziende alla ricerca di interpreti per i padiglioni Expo, ma con la formula dello stage. «È una formula meno costosa e più facile da attivare. Ma deve esserci un progetto formativo, con un tutor. Se cerchi un interprete, si tratta di un lavoro vero e proprio, non di uno stage». La domanda quindi è stata: «Perché non un contratto a tempo determinato? Mi hanno risposto che lo stage è più facile da attivare. Così ho cercato di contrattare una cifra più alta per il rimborso spese che sia almeno il doppio del minimo, 400 euro, previsto in Lombardia, per turni da 5-6 ore al giorno. In questo modo evitiamo anche di precludere occasioni ai ragazzi».
Ma non tutto sembra andare come previsto. Anche perché se per le assunzioni da parte della società Expo spa esistono gli accordi, seppur in deroga, l’indotto è invece difficile da controllare e monitorare. Alcune aziende straniere si stanno già rivolgendo al Centro per l’orientamento allo studio e alle professioni dell’Università di Milano alla ricerca di giovani da impiegare. Ma, guarda caso, cercano stagisti. «Troppo spesso lo stage viene considerato uno strumento al pari di un lavoro a tempo determinato», dice Barbara Rosina, responsabile del Cosp. «Il rimborso obbligatorio che è stato introdotto viene spesso visto alla stregua di uno stipendio». Ed ecco che alla sua porta si sono già presentate alcune aziende alla ricerca di interpreti per i padiglioni Expo, ma con la formula dello stage. «È una formula meno costosa e più facile da attivare. Ma deve esserci un progetto formativo, con un tutor. Se cerchi un interprete, si tratta di un lavoro vero e proprio, non di uno stage». La domanda quindi è stata: «Perché non un contratto a tempo determinato? Mi hanno risposto che lo stage è più facile da attivare. Così ho cercato di contrattare una cifra più alta per il rimborso spese che sia almeno il doppio del minimo, 400 euro, previsto in Lombardia, per turni da 5-6 ore al giorno. In questo modo evitiamo anche di precludere occasioni ai ragazzi».
E nonostante Barbara Rosina coordini Centro per l’orientamento allo studio della maggiore università milanese, racconta che «finora non ci sono state offerte particolari da parte della Expo spa, né che ci sia un picco di richieste di figure professionali». Un tentativo di monitoraggio di quello che sta accadendo sul fronte occupazionale c’è. «Da ottobre 2012», spiega l’assessore provinciale al Lavoro Paolo Giovanni Del Nero, «abbiamo convenuto che per tutte le comunicazioni obbligatorie per l’avviamento al lavoro, l’azienda può “flaggare” se l’assunzione la sta facendo in vista di Expo oppure no, cosa che ha richiesto una lunga procedura per ottenere l’autorizzazione da parte del ministero. Questo sia per monitorare gli impatti occupazionali da prima dell’evento, sia per gestire la manodopera in esubero dopo il 2016». La flaggatura (“Indicare se l’assunzione del lavoratore si riferisce ad attività finalizzataalla realizzazione di Expo 2015. L’informazione sarà utilizzata allo scopo di predisporre interventi a supporto di imprese e lavoratori”) è facoltativa, ma i primi dati sono positivi: a fine 2013 (i dati aggiornati arriveranno a fine giugno), le imprese che hanno attuato assunzioni per attività riconducibili alla preparazione di Expo 2015 sono state 1.195 per 4.075 avviamenti complessivi.
Le aziende che hanno messo la “x” vengono soprattutto dal settore delle costruzioni, dato l’intensificarsi in questa fase dei lavori per la realizzazione del sito espositivo e della rete infrastrutturale. Il peso delle segnalazioni riconducibili a questo settore (15,7%) è tre volte maggiore del dato medio provinciale nello stesso periodo (5,1%). A seguire, il mondo dei servizi, ristorazione e accoglienza in testa. Il Comune, intanto, che parla comunque di «dati positivi», sta intrecciando «rapporti con le grandi imprese della ristorazione che hanno chiesto una mano per le assunzioni da fare per l’evento. Abbiamo incontrato My Chef, ad esempio, che prevedendo di dover incrementare la manodopera, ci ha chiesto di aiutare a individuare i bacini entro cui pescare. E questo è il tema che ci sta più a cuore perché le persone disoccupate che vengono ai nostri sportelli possono avere così un canale di visibilità in più», dice Cristina Tajani.
Certo, non tutto può essere monitorato e qualcosa potrebbe sfuggire ai conteggi. Come, per esempio, i professionisti che si appoggeranno per l’evento negli spazi di coworking della città (26 quelli selezionati dal Comune sulla base di specifici standard). O l’indotto che verrà fuori dalla sharing economy che a Milano sta prendendo piede più che nel resto d’Italia (5mila gli annunci attivi solo su AirBnb). Da un sondaggio condotto da Duepuntozero Research del gruppo Doxa, viene fuori che in vista di Expo 2015 il 23% degli intervistati vorrebbe proporsi come guida, il 16% sarebbe disposto a cucinare per i visitatori e il 20% si improvviserebbe come autista mettendo in condivisione la sua auto. E dal comitato Sharexpo, costituito da esperti del settore, è arrivata addirittura la proposta di pensare a una forma alternativa di pagamento, gli Expocoin, per facilitare gli scambi di stanze, posti in macchina, cene e garage.
Per quanto riguarda i servizi, che dovranno essere potenziati se è vero che a Milano arriveranno 20 milioni di persone in sei mesi, i sindacati sono riusciti a ottenere la possibilità per le società in house di assumere in deroga al patto di stabilità, ma non il Comune di Milano, visto che l’emendamento presentato nel “dl casa” per il blocco temporaneo del turn over per Palazzo Marino è stato bocciato. «Noi stimiamo», dice Antonio Lareno, responsabile Expo per conto di Cgil, «che per l’adeguamento dei servizi in città servano in totale 500 nuovi assunti, tra Atm, per il trasporto dei visitatori, e Amsa, per la pulizia delle aree espositive. Mentre per il sito, che funzionerà più o meno come un aeroporto, con videosorveglianza e controlli all’ingresso, serviranno tra 2.500 e 3.000 tra custodi e guardie giurate». Anche all’Asl serviranno rinforzi durante il grande evento, e l’azienda sanitaria da poco ha ottenuto la deroga per nuove assunzioni.
“Per l’adeguamento dei servizi in città servono 500 nuovi assunti”
Poi ci sono i lavoratori dei padiglioni dei Paesi stranieri, che non sono obbligati a rispettare le regole sul lavoro nostrane. Un avviso comune anche qui c’è stato: si è chiesto di rispettare le nostre regole sul lavoro, ma ognuno poi può fare come vuole. Expo spa si limiterà a cedere il lotto dove sorgerà il padiglione, poi ogni Paese affiderà i lavori con un appalto privato. Con una differenza fondamentale: le verifiche sulla sicurezza e legalità degli appalti obbligatorie per le aziende italiane quando è Expo spa che commissiona un lavoro, non lo sono per quelle che hanno ricevuto la commessa da un Paese estero. Per loro le verifiche sono solo “facoltative”. «Finora solo la Germania ha chiarito che costruirà il proprio padiglione in autonomia e che saranno impiegate 500 persone», spiega Lareno, «per il resto siamo molto preoccupati perché il rischio di dumping è sotto gli occhi di tutti. Noi chiediamo che vengano usate le tutele previste nel contratto nazionale del terziario». Ma, come scrive Altreconomia, nella Babele di operai in cui si trasformerà il cantiere tra Rho e Milano, non è detto che per tutti sarà così. Soprattutto, come srà visti i ritardi, se tutto avverrà nella fretta. «Nell’ultimo decreto flussi, ad esempio, sono entrate misteriosamente 2mila persone extracomunitarie già autorizzate a lavorare in deroga per i padiglioni di Expo. Chi sono queste persone? Sono 2mila cinesi che arriveranno per lavorare con le loro regole? Tutte le congetture sono possibili».
E dopo l’Expo?
Quando sull’esposizione universale si saranno spente le luci, il 31 ottobre 2015, «prevedibilmente succederà che ci sarà una parte di lavoratori impiegata solo per l’evento e una parte più duratura», risponde Cristina Tajani. «E questo dipende da come il sistema milanese riuscirà a trasformare alcune opportunità. Quando si parla di legacy dell’evento si deve pensare non solo al sito ma anche agli altri investimenti che sono stati fatti, a partire proprio dalle infrastrutture tecnologiche». La preoccupazione, in effetti, che chiuso l’Expo si chiudano tutti i contratti attivati c’è. «Cosa succederà dopo lo spegnimento della macchina che viene messa in questa città non è chiaro», ha detto la stessa segretaria della Cgil Susanna Camusso. «Ma bisogna dire una cosa: i lavoratori non devono essere disposti a qualunque cosa per l’eccezionalità dell’evento. Expo non deve essere un’occasione per destrutturare tutto». Perché dopo l’ubriacatura generale, potrebbero rimanere solo i postumi di una sbornia molto costosa.
Quando sull’esposizione universale si saranno spente le luci, il 31 ottobre 2015, «prevedibilmente succederà che ci sarà una parte di lavoratori impiegata solo per l’evento e una parte più duratura», risponde Cristina Tajani. «E questo dipende da come il sistema milanese riuscirà a trasformare alcune opportunità. Quando si parla di legacy dell’evento si deve pensare non solo al sito ma anche agli altri investimenti che sono stati fatti, a partire proprio dalle infrastrutture tecnologiche». La preoccupazione, in effetti, che chiuso l’Expo si chiudano tutti i contratti attivati c’è. «Cosa succederà dopo lo spegnimento della macchina che viene messa in questa città non è chiaro», ha detto la stessa segretaria della Cgil Susanna Camusso. «Ma bisogna dire una cosa: i lavoratori non devono essere disposti a qualunque cosa per l’eccezionalità dell’evento. Expo non deve essere un’occasione per destrutturare tutto». Perché dopo l’ubriacatura generale, potrebbero rimanere solo i postumi di una sbornia molto costosa.
“La nostra preoccupazione maggiore è il dopo Expo. Servono misure per accompagnare nel reinserimento lavorativo le persone occupate per l’evento”
«La nostra preoccupazione maggiore è il dopo Expo», ammette Cristina Tajani, «è da tempo che ragioniamo con i sindacati e con la Regione per una misura che possa accompagnare nel reinserimento lavorativo le persone occupate per l’evento. È questo il vero accordo che andrà stipulato. Serve uno stanziamento per accompagnare le persone che sono state occupate per Expo a trovare altri sbocchi professionali». Il percorso era già stato intrapreso con la Provincia, che ha le competenze sul lavoro, i sindacati e la Camera di commercio. «Poi anche a causa della debolezza istituzionale della provincia che ormai andrà a morire, non si è arrivati a quell’accordo e ora stiamo cercando di recuperare tutto il lavoro fatto a livello regionale, dove ci sono risorse in più. Quello che serve ora è un impegno per accompagnare i lavoratori nella fuoriuscita dai contratti Expo».
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