sabato 21 giugno 2014

Riceviamo e pubblichiamo

Il tesoro elettorale è il partito del non voto


Ieri abbiamo già provato a spiegare che il tasso di astensione delle ultime tornate elettorali può essere definito fisiologico se si considera il particolare contesto storico e se comprendiamo, da un punto di vista politico, che ci stiamo muovendo in una fase di riallineamento dell’offerta politica, con nuovi protagonisti e altri in fase di definizione.
Sarà pur vero che l’Italia, per quasi cinquant’anni, ha avuto tassi di partecipazione elettorale notevoli e sconosciuti nelle altre democrazie liberali ed è altrettanto vero che solo a partire dalla fine degli anni ’70 ha conosciuto un calo della partecipazione al voto. Dovuta, in larga parte, alla fine dei partiti di massa e alla loro capacità di mobilitazione ideologica dell’elettorato e, in secondo ordine, ad una percezione sempre più diffusa di inefficienza della res publica.
Questa tendenza di lungo periodo – tutta italiana se consideriamo che l’Italia continua a occupare le prime posizioni per partecipazione al voto tra le principali democrazie liberali – però non basta a spiegare il dato degli ultimi appuntamenti elettorali nazionali: 5,3% in meno tra le elezioni politiche del 2013 (75.2%) e quelle del 2008 (80.3%); 7,7% in meno tra le elezioni europee del 2014 (58.7%) e quelle del 2009 (66.4%). E’ necessario, dunque, correlare questi dati anche con gli eventi avvenuti a partire dal 2011, con la formazione del Governo Monti e la completa delegittimazione del quadro politico così come lo abbiamo conosciuto negli ultimi 15 anni.
Il risultato è un quadro politico in via definizione, caratterizzato da un’ampia fetta di elettorato che aspetta di essere conquistato e preferisce non andare alle urne perché ritiene ancora inadeguata l’attuale offerta politica. Toccherà alle attuali leadership muoversi in questa terra di nessuno del “non voto” e dimostrarsi all’altezza di una voglia di politica che nel Paese c’è.
Il Puntiglioso
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