sabato 21 giugno 2014

Riceviamo e pubblichiamo

I partiti sono sempre più inutili


O voi, che dopo ogni tornata elettorale vi inerpicate in vaneggiamenti filosofici di levatissima raffinatezza per spiegare il risultato di questo o quel partito (che magari il giorno prima delle elezioni non avreste predetto neppure per sbaglio), tornate con i piedi per terra e prendete atto di un dato chiaro ed inequivocabile: a vincere, oggi, non sono più i partiti ed i relativi apparati. A vincere è l’uomo, o, in alternativa, la protesta.
In Italia tutto cominciò (come quasi ogni cosa accaduta nella seconda repubblica, nata nel 1994 e finita nel 2014, una prece) con Berlusconi, che creò un modello partito basato solo ed essenzialmente sul leader (venuto meno il quale, come stiamo vedendo in questi giorni, viene meno tutto, ma questo è un altro discorso). Da quel momento, progressivamente, tutti i partiti e movimenti si sono adeguati e affidati all’uomo forte al comando; anche i più refrattari all’idea, i democratici, che prima dell’avvento di Renzi si erano ostinatamente condannati a perdere continuamente proprio per la mancanza di una leadership forte.
Insomma, se non c’è un vero leader, un uomo guida con il quale l’elettorato possa entrare in sintonia totale, i risultati non arrivano. È così a livello nazionale come a livello regionale e comunale: è il candidato presidente o sindaco a tirare, a prescindere dai simboli di partito.
È lapalissiano, con buona pace dei feticisti dell’apparato di partito, di ogni sorta e provenienza.
Il declino del centrodestra coincide con quello di Berlusconi e proseguirà fino a quando non emergerà una nuova figura dirompente capace di mettere d’accordo tutti e coagulare attorno a sé il popolo moderato. Viceversa, la risalita clamorosa del Pd coincide con Renzi segretario. E così è anche per il Movimento 5 stelle, che incarna sì una certa esigenza di rupture antisistemica, ma che senza Grillo non andrebbe da nessuna parte e probabilmente si attesterebbe sulle percentuali di Scelta Civica.
Laddove non vince l’uomo vince la protesta. Succede sempre più spesso alle elezioni locali. A Milano, Napoli, Cagliari, Parma, ad esempio, ci sono “sindaci per caso” che hanno prevalso solo grazie ad un forte sentimento di cambiamento che sono riusciti a cavalcare (i conseguenti pessimi risultati amministrativi dimostrano che non sempre chi urla di più sia più capace, anzi!).
E i partiti? Beh, fino a quando resteranno abbarbicati nelle proprie prerogative e non si evolveranno verso un modello aperto ai movimenti civici e corporativi e ad una democrazia autentica, senza corpi ed apparati intermedi che appesantiscono ed ingessano le strutture, conteranno sempre di meno.
Ma tanto, fino a quando avranno potere da gestire, anche residuale, perché mai dovrebbero cambiare assetto? Lo faranno, quando sarà tardi, e dovranno pagare un dazio altissimo.
Che avranno pienamente meritato.
Tiberio Brunetti
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