La crisi ha ingrassato gli stipendi dei manager pubblici
Francesco Bisozzi, L'Huffington Post | Pubblicato: 21/03/2014 19:21 CET | Aggiornato: 21/03/2014 19:21 CET
La parola d'ordine è prudenza. Anche perché è tempo di nomine per le società partecipate dal Tesoro, da Eni a Enel, da Poste a Terna, e nessuno se la sente di esporsi troppo in questa fase: dopo le dichiarazioni rilasciate dal numero uno di Fs Mauro Moretti sui tagli agli stipendi dei super manager dello Stato (un'eventuale riduzione scatenerà una fuga all'estero dei dirigenti, queste in sintesi le sue parole) abbiamo chiesto ai suoi pari se condividevano o meno il suo pensiero. La risposta? Un silenzio assordante. Ma che i tagli ai mega-stipendi non sarebbero stati bene accolti dai diretti interessati era facilmente intuibile anche prima che Moretti si pronunciasse sull'argomento. Del resto in questi ultimi anni, nonostante la crisi, gli emolumenti nel mirino anziché calare sono aumentati.
Paolo Scaroni, ad del Cane a sei zampe, ha ricevuto in totale 6,347 milioni di euro nel 2012 (in particolare grazie ai bonus) contro i 4,884 intascati nel 2011. Alla fine della scorsa estate il numero uno del colosso petrolifero, il quale ora spera di essere riconfermato (per l'ennesima volta) alla guida dell'azienda sebbene le sue quotazioni risultino al momento in discesa, aveva respinto così l'ipotesi di un taglio agli stipendi dei manager pubblici: "Forse è una cosa giusta, ma io non sono un manager pubblico. Io ho 300mila azionisti a cui rendere conto. Se il governo pensa di effettuare una riduzione allora esprima il suo auspicio in assemblea come è normale che faccia uno stakeholder".
In crescita anche la remunerazione del presidente di Eni Giuseppe Recchi, passata da un totale di 637 mila euro a poco più di 1 milione. Viva la crisi, insomma. Come dimostra anche l'esempio di Fulvio Conti, ad di Enel. Che rispetto al 2010 avrebbe visto la propria busta paga aumentare del 40%: lo scorso anno sono stati depositati sul suo conto oltre 4 milioni di euro. Va detto però che l'amministratore delegato, esattamente un anno fa, ha annunciato che nel 2013 avrebbe rinunciato al 65% della componente variabile della retribuzione, che rappresenta poco meno della metà del totale. L'amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato Mauro Moretti, oggi sotto i riflettori, nel 2008 (anno in cui è scoppiata la crisi) guadagnava 871 mila euro: rispetto ad allora il suo compenso è rimasto praticamente invariato, alla faccia della recessione.
Del carrozzone dei manager dello Stato fanno parte anche Massimo Sarmi, a capo di Poste Italiane, che nel 2012 ha percepito 2,2 milioni (altra remunerazione in crescita), Giovanni Gorno Tempini della Cassa depositi e prestiti, che ha ricevuto poco più di un milione di euro, Mauro Masi, ad di Consap, 473mila euro, Massimo Garbini, amministratore di Enav, 500mila euro e passa, e Maurizio Prato, presidente e ad della Zecca dello Stato, 600mila euro e spiccioli. Giusto per citare alcuni degli esempi più illustri.
Oltre ai tagli agli stipendi dei dirigenti pubblici proposti dal commissario Carlo Cottarelli, sono due le proposte di legge che puntano dritto alle tasche dei super manager delle controllate dal Tesoro. Una targata Sel, prima firmataria Titti Di Salvo, il cui iter alla Camera (coinvolte le commissioni Giustizia e Finanze) è iniziato ieri: il disegno nasce dalla volontà di mettere un tetto pari a 300mila euro ai mega-stipendi. L'altra è del presidente della commissione Bilancio della Camera Francesco Boccia, presentata all'inizio di questa settimana, per un taglio dell'8 per cento da applicare ai trattamenti economici che superano gli 80mila euro lordi l'anno, ivi compresi quelli destinati ai manager delle controllate.