giovedì 27 marzo 2014

E che coppia. Vai Matteo vai.

La strana coppia Camusso-Squinzi all'attacco di Renzi

I leader di Cgil e Confindustria hanno trovato un nemico comune nel premier. Che considerano un peso piuma.

EDITORIALE
di Paolo Madron
editoriale
Nel girone dei tutti scontenti per antonomasia, quelli cui non va mai bene nulla, quelli del tagliare è bello purché la spesa pubblica sia quella degli altri, quelli del se mi abbassano lo stipendio me ne vado, spicca questa settimana la strana accoppiata Camusso-Squinzi, ovvero il diavolo e l’acqua santa (sull’attribuzione delle metafore ognuno si regoli secondo ideologia), il segretario della Cgil e il leader di Confindustria. Uniti i due dal comune bersaglio Matteo Renzi il quale, a loro dire, si sta rivelando un peso piuma, non solo in casa sua ma anche in Europa dove si è mosso come l’elefante nella fabbrica dei cristalli – e si sa quanto siano suscettibili a Bruxelles -, che promuove riforme velleitarie per obiettivi e copertura.
LA POLEMICA DI CAMUSSO. Più articolato per la verità il giudizio di Susanna Camusso, che dà un colpo alla botte e uno al cerchio: se è stato bravo a tagliare l’Irpef, il presidente del Consiglio si è rivelato un disastro sulla riforma del lavoro, che così fatta aumenterebbe il precariato e la discrezionalità dei padroni a fare e disfare in tema di occupazione. Per inciso, il licenziatario di quella riforma, il ministro Giuliano Poletti, viene dal mondo delle cooperative che almeno sulla carta proprio ostile al sindacato non dovrebbe essere.
DA FORNERO A POLETTI. Quando si tocca l’argomento, per altro, i mal di pancia sono la prassi. Comunque la si giri, la questione lascia sul campo un nutrito drappello di scontenti. Basta limitarsi a rammentare che l’ultima riforma di Elsa Fornero, la saccente professoressa torinese su cui è sceso presto l’oblio, era criticata per l’eccessiva flessibilità in uscita che contrastava con gli eccessivi lacci e lacciuoli che rendevano difficile l’ingresso nel mondo del lavoro. Il decreto Poletti ribalta i termini, ma non le lamentazioni che puntualmente si ripropongono a parti invertite.
La realta è che, peccato di fondo, al sindacato interessa la difesa di chi il lavoro ce l’ha, nascondendosi dietro il paravento del precariato i cui destini sono buoni solo per le accorate esternazioni in tivù e nei convegni.
SQUINZI ALZA I TONI. Ma se l’opposizione della Cgil non sorprende, specie in un momento in cui la battaglia interna per la leadership del più grande sindacato italiano è in pieno svolgimento, stupisce non poco l’atteggiamento di Confindustria. Benevolo fino alla decisione governativa di privilegiare all’Irap le agevolazioni ai redditi delle famiglie, da qualche settimana il presidente Giorgio Squinzi ha alzato pesantemente i toni. Prima accreditando il piglio di sufficienza con cui Angela Merkel e i vertici Ue hanno salutato l’esordio europeo di Renzi, poi criticando la politica degli annunci che a dire degli industriali sarebbe clamorosamente disattesa dalla mancanza di coperture.
LA MINACCIA DI ESPATRIO. Infine, forse l’uscita che più lascia attoniti, la minaccia di portare le sue aziende in Svizzera per aggirare le lungaggini burocratiche che da noi soffocherebbero chi vuole fare impresa.
A parte che non si era mai visto il capo degli Industriali italiani accarezzare l’idea di levare le tende e trasferirsi oltralpe (per caso ambisce alla guida della Confindustria elvetica?), non si capisce questo repentino cambiamento di giudizio. Se infatti appena il 2 marzo dichiarava: «A Matteo Renzi invidio sicuramente l'età ma anche l'energia e la gran voglia di fare: mi sembra che potenza nel motore ce l'abbia e mi auguro che sia capace di scaricarla a terra», appena tre settimane dopo il gelo: «Al premier non si possono dare voti, credo che sia ancora a casa che si sta preparando per rispondere alle interrogazioni. Quando comincerà a rispondere formeremo i nostri giudizi». Significa che Squinzi s’è rimangiata l’apertura di credito e ora non è più disposto a concedere all’energico suo interlocutore il tempo di scaricare a terra la sua potenza?
IL SOLE IN ROSSO. Ma ribaltare l’andazzo, incidere sulle rendite di posizione e sulle profonde e durissime radici dell’apparato burocratico, non è cosa che si può fare in tre settimane. Del resto Squinzi lo dovrebbe sapere bene: in due anni di presidenza non è riuscito a risanare i bilanci in profondo rosso del giornale di Confindustria (anzi, li ha peggiorati). Ora pretende che in meno di un mese il neo premier compia il miracolo di riaggiustare quella cosa un pochino più complessa che è il Paese?

Domenica, 23 Marzo 2014

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