martedì 25 marzo 2014

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Un giorno alla gogna

Pubblicato: 25/03/2014 11:47

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Lo avevo deciso da un po', dopo quasi un mese mi prendo due giorni fuori, staccando da tutto e mi godo un paio di mostre e musei, staccando telefono e internet. Serve, è una di quelle cose che nell'era digitale e delle relazioni sui social network ti riportano nella tua dimensione umana, tattile. Ero alla mostra di Frida Kahlo alle Scuderie del Quirinale domenica mattina. Accendo il cellulare dopo la mostra e un jackpot di notifiche fa da colonna sonora. Era Twitter. Centinaia di commenti e insulti dopo il post di Beppe Grillo in cui mi inserisce nella lista nera dei "giornalisti del giorno". Quelli pagati dalla casta dei politici, che lavorano per i giornali pagati coi fondi pubblici per fare - ovviamente - disinformazione contro di lui. Che dire, non sono nemmeno giornalista.
Avevo deciso però che quei due giorni erano di riposo: non si offenda la rete pentastellata. Un paio di tweet bastano e avanzano. Poi è la volta di facebook, perché Beppe nazionale, e sempre più nazional popolare, modestamente, non si fa mancare nulla. Tra commenti sul suo blog e quelli su facebook, messaggi privati, commenti sulle mie bacheche, uno spaccato di insulti quasi fosse una gara a chi sfoggiava il meglio del peggio. Ma si sa, anche questa è la rete: stai comodo a casa tua, di domenica, non hai di meglio da fare, e scarichi le tue frustrazioni, spesso dietro un nickname di fantasia, senza metterci nome e cognome. È anche questa la politica 2.0 nella sua veste populista. Le offese, le minacce, gli insulti, quelli in rete però, hanno mostrato tutta la loro inconsistenza almeno sotto tre punti di vista, su cui tutti dovremmo fare una profonda riflessione. Si perché da questa esperienza, è bene tornare ciascuno al proprio mestiere: il mio è quello di tecnico della comunicazione, e quindi è bene imparare qualche lezione pratica.
La prima: un leader politico che mette alla gogna, e poi retwitta dal proprio account altri utenti che insultano non ci fa una bella figura: certo, lo fa per "montare il caso", ma se ha bisogno di questo significa che davvero sente venire meno la sua "base solida".
La seconda: passati i primi tweet di attacco, in maniera assolutamente spontanea la rete ha risposto con una forza decisamente maggiore in termini di vicinanza, replica e solidarietà; persone comuni, normali, che si son prese la briga e il disturbo di intervenire. E questo è un buon segno per la democrazia digitale.
La terza: la maggior parte dei commenti di insulto proveniva da profili fake, nascosti dietro nickname e senza "immagine reale"; la maggior parte degli utenti che hanno scelto di intervenire in mia difesa, aveva nome, cognome e ci ha messo la faccia. Anche questa è una cosa che la dice lunga e dovrebbe far riflettere. Ovviamente senza generalizzazioni.
La viralità - anche della violenza in rete - è importante, talvolta sa essere imponente. E tuttavia se non ha un fondamento solido, se il contenuto che diventa virale non ha una sua consistenza effettiva, scema in un paio di giorni. È stato questo il caso, almeno per come l'ho vissuto io. Perché in fondo sinché stai davanti a una tastiera, puoi farti prendere la mano, entrare nel vortice di rispondere e replicare a tutto e tutti, ma loro sono tanti e tu uno solo. E sai bene che il loro intento non è né capire né confrontarsi nel merito. Se hai la voglia e la forza di staccare, invece, tutto questo (quasi tutto) ti scorre addosso. Ed è quasi come se non fosse avvenuto. E allora ti chiedi se sei tu che sottovaluti, o se dall'altra parte ci sia davvero qualcuno per cui ormai la rete è tutto il mondo. Che esiste, pensa di esistere, pensa che tutto esista solo lì, in quella dimensione virtuale.
Tra Twitter, Facebook e blog di Grillo ho contato duemila commenti. Nemmeno di duemila utenti diversi. Viene proprio da chiedersi, alla fine, di che parliamo? Eppure almeno altre due riflessioni meritano qualche riga.
La prima: la straordinaria capacità che hanno avuto Grillo e Casaleggio di "creare gruppo", di mettere insieme persone che fanno "massa unitaria", che si muovono in una direzione comune e costante. Perché il mezzo per mettere insieme le persone è importante, ma qualsiasi strumento non sostituisce la capacità coesiva.
La seconda: per quanto pochi, piccoli gruppi di squadrismo militante restano un fenomeno inquietante e preoccupante. Siano in rete, siano "lontani dalla tastiera". Perché è un sintomo di una profonda patologia della dialettica democratica. E questa patologia è decisamente virale. Essere squadristi non è questione né di simboli né di gruppi parlamentari di appartenenza, ma è qualcosa che attiene ai modi, alle sintassi, ai comportamenti concreti.
Basta andare a leggere in sequenza, e senza un occhio partigiano, i commenti sotto al post di Grillo, piuttosto che quelli sulla pagina Facebook, per avere un quadro decisamente poco edificante di quella che resta comunque un pezzo della società italiana.
E lascia perplessi - o almeno dovrebbe - vedere che alcuni parlamentari del movimento, in cerca di qualche facile consenso nei meetup, si aggreghino a tali sintassi, dimenticando che per ruolo e funzione rappresentano tutti i cittadini italiani, e non solo una piccola parte.
 

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