martedì 25 marzo 2014

Perché non mandiamo a casa i nostri manager bidoni messi lì dai sindacati e dai potentati politici e ci prendiamo questo manager tedesco?

Il miracolo AirBaltic, salvata da un manager che guadagna solo 320mila euro
24 marzo @ 16.50
GIANNI VENTOLA DANESE
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Il manager Bertolt Flick, AirBaltic
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CompensiLa compagnia di bandiera lettone, decotta nel 2011 e risorta nel 2013 nelle mani di un manager pubblico tedesco che l'ha salvata per 320mila euro di stipendio. Ora AirBaltic stringe alleanze con gli arabi di Etihad, gli stessi che dovrebbero “salvare” Alitalia
E’ di questi giorni la notizia che Etihad Airlines, la compagnia aerea degli Emirati Arabi Uniti, l’ennesima e forse ultima ancora di salvezza per Alitalia, potrebbe invece entrare nel capitale di un altro vettore, la lettone AirBaltic, avendo stipulato con questa degli importanti e strategici accordi di codesharing su tratte che portano in Medioriente, Africa e Asia, mettendo sul tavolo anche la possibilità di un futuro collegamento con gli Stati Uniti.

La storia di AirBaltic è una di quelle storie che dimostrano come la crisi di Alitalia poteva essere risolta se non si fosse trasformata in uno dei tanti frutti  avvelenati del sistema Italia, ovvero di quella relazione pericolosa tra imprenditori, politica e pessimo management che è riuscita nell’impresa di affondare la nostra compagnia di bandiera. E se è vero che il prossimo presidente di Alitalia potrebbe essere addirittura Luca Cordero di Montezemolo, con il placet di Renzi, allora dovremo constatare ancora una volta come il nostro paese sia affetto da una congenita allergia ad imparare dagli errori.

Il miracolo AirBaltic lo possiamo raccontare a partire dal suo annus horribilis, il 2011, chiuso con una perdita di 123 milioni di euro e da un singolare quanto imbarazzante episodio. Il presidente lettone Andris Bērziņš, dopo una visita ufficiale di due giorni a  Bruxelles, rimane bloccato in aeroporto a causa dell’improvviso annullamento di un fitto numero di voli proprio da parte di AirBaltic a causa di difficoltà finanziarie. Sarà la low cost RyanAir a riportarlo in patria, ma da quel momento qualcosa cambia e il governo lettone metterà in atto ogni sforzo possibile per estromettere il capitale privato e rientrare in possesso della quota di maggioranza del vettore baltico.

L’investitore privato si chiamava Bertolt Flick, un manager tedesco, un “capitano coraggioso” che in AirBaltic era entrato soprattutto per tutelare i propri interessi, a partire dal contratto che, con una quota del 47%, gli consentiva comunque di avere il pieno controllo operativo sulla società. Nonostante gli aerei sempre pieni, tuttavia, la compagnia incominciò ad accumulare perdite dovute in gran parte a una pessima gestione finanziaria, a tal punto da finire sotto la lente d’ingrandimento dell’ufficio lettone  anticorruzione (sì, loro ce l’hanno!). L’attenzione degli inquirenti si concentrò sui rapporti poco trasparanti tra Flick e l’oligarca lettone Ainars Šlesers, a quel tempo ministro dei trasporti. Una brutta storia di corruzione e interessi privati che nel settembre 2011 portò ad un punto di non ritorno. Il governo lettone intentò una causa penale contro il presidente di AirBaltic Flick perché questo venne beccato mentre tentava di scalare la società attraveso un aumento occulto delle proprie quote per diventare azionista di maggioranza.

Nel frattempo le perdite arrivano a 150 milioni di euro. AirBaltic, ritrovandosi nel pieno di una grave crisi finanziaria, deve ricapitalizzare per almeno 200 milioni di euro, pena il blocco degli aerei per mancanza di carburante, ma il governo lettone prima di metterci i soldi pubblici vuole tornare ad avere il pieno controllo sulla compagnia. Nel giro di poche settimane, il governo riesce a sbarazzarsi dell’ingombrante figura di Flick, riacquisendo il ruolo di azionista di maggioranza e ridimensionando l’investitore privato a socio di minoranza, e solo a questo punto, sotto il controllo dello stato, decolla il piano di salvataggio.

Il piano di rinascita ha il suo bel nome creativo, “AirBaltic ReShape” (da noi scelsero “piano Fenice”), ma nel caso lettone è una cosa seria. Infatti, per prima cosa, il nuovo Ceo di Airbaltic viene scelto in base alle competenze, insomma, se ne deve intendere di trasporto civile aereo. Sembrerà strano ma all’estero i manager li scelgono così. Si insedia quindi il tedesco Martin Gauss, già direttore della compagnia ungherese Malev, con un contratto iniziale di 324mila euro all’anno. Bruscolini al confronto dei quasi 6 milioni di euro intascati da Giancarlo Cimoli tra il 2004 e il 2007 per non aver portato mai un utile in Alitalia (per queste ed altre condotte spericolate l’ad italiano dovrà presentarsi il 18 maggio 2013 davanti ai giudici del Tribunale di Roma per l’inizio del processo che vede sette ex manager accusati di aver dissipato la compagnia di bandiera, mentre la Corte dei Conti ha già richiesto un maxi risarcimento da 3 miliardi a 17 ex funzionari, Cimoli compreso).

Il progetto di salvataggio di Gauss si basa su un piano industriale serio e su un drastico taglio dei costi, e anche su qualche idea per rafforzare il brand, come quella della “social reservation”, unica compagnia al mondo che permette al passeggero di prenotare il posto in base agli interessi del vicino di poltrona. Si può scegliere un posto a fianco di un esperto di import export, di un appassionato di viaggi, di un italiano o di un francese, oppure di qualcuno che come te non abbia assolutamente voglia di chiaccherare durante il viaggio.

Nel frattempo lo stato lettone continua nella sua politica di difesa dell’interesse nazionale e di stabilizzazione della compagnia di bandiera, rilevando tutto il pacchetto azionario ancora in mano alla BAS, la società guidata da Flick, diventando così il proprietario del 99,8% delle azioni della compagnia. Il piano di salvataggio porta i suoi inaspettati risultati già nel 2013. Nel 2012 le perdite erano state ridotte a un quarto rispetto al disastroso bilancio del 2011, chiudendo con “soli” 28 milioni di euro di deficit. Mentre il bilancio 2013 ha messo in evidenza ciò che tutti aspetavano: utili, finalmente, per 4,8 milioni di euro. È importante sottolineare come il governo lettone sia riuscito in soli due anni a risanare una compagnia sull’orlo del fallimento senza l’aiuto di investitori esteri. Solo in questi giorni, come detto, gli arabi di Etihad si sono detti interessati a entrare in AirBaltic.


Alitalia è tutta un’altra storia. È un prestito ponte di 300 milioni di euro bollato come illegale sia dalla Corte del Lussemburgo che dalla Commissione europea. È una “bad company” scaricata sulle spalle dei contribuenti che dovranno farsene carico con tasse e patrimoniali. È il fallimento della cordata dei capitani coraggiosi che ha prodotto un debito da 2,2 miliardi di euro distribuito su fornitori, sofferenze bancarie e tasse non pagate allo stato. Sono cinque diversi piani industriali e tre amministratori delegati in cinque anni pescati da settori lontani anni luce da quello dell’aviazione civile: telefonia (Sabelli), elettrodomestici (Ragnetti), motociclette (Del Torchio) e, probabilmente, automobili (Montezzemolo).

La nemesi di questa lunga vicenda italiana è rappresentata plasticamente da Corrado Passera, principale alfiere del piano “Fenice” (il piano industriale che avrebbe dovuto mettere in pareggio il bilancio) che oggi, megafono alla mano, si propone a capo di una formazione politica la cui denominazione è  “Movimento di competenze Italia Unica”. Un finale degno di un film di Totò.  



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