Roma, è l’ultima possibilità per risorgere.
La campanella ha suonato l’ultimo giro. L’ultimo giro per Roma. L’ultimo giro per ridare dignità ad una città avvilita, umiliata, quasi incapace di ricordarsi della sua grandezza.
Il compito spetta soprattutto a due persone: Matteo Orfini e Ignazio Marino. Molto diversi, molto politico il primo, assolutamente antipolitico il secondo. Uomo di partito Orfini, uomo “antipartito” il secondo. Romano il Presidente del Partito, ancora in cerca di una chiave di lettura dei romani l’ex chirurgo.
MATTEO ORFINI, IL TURCO CRESCIUTO A ROMA- Praticamente è una sorta di Missione Impossibile. Cercare di mettere ordine nel Pd Roma, quell’enorme nodo gordiano di correnti forse senza pari in Italia. Il compito spetta a Matteo Orfini, che politicamente a Roma ci è nato e cresciuto, anche se ormai è un politico «nazionale». Ma di lui si può dir tutto tranne che sia un marziano, nel senso che questa città, politicamente parlando, la conosce fin troppo bene. Il “suo” circolo, quello dove è nato è cresciuto è il circolo Mazzini (anche se fisicamente non esiste più), e prati il suo quartiere d’origine.
Orfini, leader dei “giovani turchi”, conosce come pochi gli ultimi anni della Capitale, del PD Roma conosce meriti (pochi) e limiti (molti). Alle primarie per il Campidoglio aveva scelto di puntare su David Sassoli, i bene informati dicono per contrapporsi al “ventennale” potere di Goffredo Bettini, l’ideatore del “modello Roma” con il quale i rapporti sembrano migliorati, e a Nicola Zingaretti, vero punto di riferimento per i democratici romani.
Renzi, insomma, ha puntato su un romano per gestire la fase di passaggio verso un nuovo PD Roma. Un pd Roma che non potrà che ripartire – lo speriamo vivamente – da una nuova classe dirigente, giovane, che fino ad ora è stata tenuta spesso ai margini da chi da anni detta legge nella capitale.
IL TESSERAMENTO GONFIATO – Lo scorso congresso è stato sotto questo punto di vista un esempio: un tesseramento evidentemente gonfiato dalla decisione – malsana – di tenerlo aperto anche con i congressi di circolo in corso: chiunque poteva arrivare e fare la tessera e poi votare. Si favoleggia di interi ospizi di vecchietti o di pullman di extracomunitari fatti scendere davanti a circoli della capitale. Per non parlare di quelle sezione in cui abbiamo visto singoli candidati alla segreteria vincere anche con numeri che definire bulgari è un eufemismo.
SI PUNTA SU MARINO – Orfini, in queste prime ore sta mettendo i propri paletti: «Se si torna al voto – ha chiarito – il nostro candidato sarà Ignazio Marino», mettendo subito in chiaro le cose con chi ancora nel PD non si è rassegnato all’appoggio al «marziano». In realtà, i dubbi sulle capacità amministrative del sindaco in carica rimangono tutti, ma è anche vero che il terremoto di «mafia capitale» ha regalato a Marino una seconda possibilità.
Oggi, agli occhi di quei romani che fino a pochi giorni fa lo consideravano incapace di gestire la Capitale d’Italia, Marino appare come il baluardo dell’onestà, rispetto al resto della classe dirigente della Capitale. Perché se è vero che la cupola di Buzzi e Carminati è nata e cresciuta sotto il governo della destra, ha dimostrato di possedere alcuni «addentellati» anche in casa Dem; ma questo comunque non deve spingere gli osservatori più attenti a fare di tutta un’erba un fascio. Le responsabilità della giunta Alemanno e dei suoi uomini è di grado e di intensità diversa a quella del centrosinistra. Questo è giusto ribadirlo. Sia perché lo ha fatto lo stesso Pignatone durante la conferenza stampa di qualche giorno fa, sia perché oggi sembra finire tutto in unico indistinto calderone.
IL PD ROMA E LA CLASSE DIRIGENTE - Purtroppo a Roma non si investito su una nuova classe dirigente. Non oggi, ma nel passato. Tolto Nicola Zingaretti, è quasi impossibile individuare nella Capitale personalità forti e autorevoli su cui ricostruire il partito. Questa responsabilità, purtroppo, arriva da lontano. Basti pensare che nel 2008, finita l’era Veltroni, si è tornati a scommettere su Francesco Rutelli, a riprova del fatto che dal 1994 non si era investito in maniera importante per formare una classe dirigente pronta a prendere il testimone.
Ancor più grave il problema si è palesato nel 2013. Quando Zingaretti ha scelto di correre per la Regione, nel Pd si presentò un enorme vuoto. Per mesi si è dato vita ad un imbarazzante balletto sulla possibilità o meno di tenere le primarie per la scelta del candidato da opporre ad Alemanno.
Per anni, chi ha avuto responsabilità di governo del Partito e della Capitale ha preferito investire su persone che non potessero alterare gli equilibri, su fedeli portaborse da cooptare, il tutto nel tentativo di confermare e perpetuare il proprio potere personale correntizio. Un classico di questa Italia dei primi anni duemila. Una possibile classe dirigente nuova esisteva ed esiste. Ma deliberatamente si è deciso di non farla crescere, di tenerla ai margini.
LA POSSIBILITA’ DELLA SVOLTA – Ora Matteo Orfini, Ignazio Marino e il Pd hanno un’opportunità unica, forse irripetibile.
Matteo Orfini deve ricostruire il PD. Riconnetterlo, se è ancora possibile, con la città, con i cittadini Romani. Ha il dovere di tirare fuori i militanti e i segretari di circolo dalle loro sezioni e farli stare in mezzo ai romani. Ha il dovere di aprire i circoli democratici ai cittadini, come forse non si è fatto in passato, chiudendo per sempre i numerosi circoli fittizi, che “si animano” soltanto durante congressi o primarie.
Ignazio Marino ha ora la possibilità, anzi il dovere di incidere seriamente e visibilmente sulla città. I tanti errori fatti in questi primi anni di governo della Capitale dovrebbero essere da monito per lui e per il suo cerchio magico. Oggi il Sindaco ha i romani dalla sua parte, un partito sottomesso ai suoi voleri, un’opposizione a pezzi. Fallire non è possibile, non è ammesso. Sarebbe devastante per Roma, una città che non può permettersi di rimanere ancora indietro.
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