venerdì 12 dicembre 2014

Per i sindacati le leggi si applicato contro tutti tranne che per la loro casta. Ma mandiamo a casa questi nullafacenti.

PARADOSSI 

Sciopero generale, i licenziati della Cgil

Anni di lavoro nero, mobbing e cause. Gli ex lavoratori della Cgil di Cosenza raccontano le loro storie. E accusano il sindacato di «doppia morale»More Sharing Services

Da una parte scioperano contro il Jobs Act e la legge di Stabilità targati Renzi, dall'altra però licenziano. Alla faccia della difesa dell'articolo 18.
È duro l'attacco di alcuni lavoratori nei confronti dei loro ex datori di lavoro, i sindacati, colpevoli a loro dire di averli «usati e cacciati». E di tenere una «doppia morale»: «Si mettono il vestitino lindo per scendere in piazza», dice amara a Lettera43.it Simona Micieli, licenziata dalla Cgil di Cosenza, «ma non vedono il fetido che hanno all'interno».
LE DENUNCE IN RETE. Sono tante le storie simili a quelle di Simona. Tanto che, dopo le cause al sindacato, la 36enne ha deciso di fondare un comitato e un blog (Licenziatidallacgilblogspot.com) dove raccoglierle e documentarle.
Comprese le vicende a lieto fine come quella di Marinella Tonini, licenziata dalla Cgil a Grosseto, riammessa al lavoro dal giudice, licenziata di nuovo. E riammessa ancora grazie all’articolo 18.
NEL MIRINO SOPRATTUTTO LE DONNE. Oppure quella di Vally Benato di Padova che si è vista risarcire 43 mila euro dalla Filcams, il sindacato del commercio, per mobbing. O di Paolo Ferraro, di Cosenza, ex lavoratore cigiellino in nero. O, ancora, di Ciro Crescentini licenziato dalla Fillea Cgil di Napoli, risarcito e reintegrato.
A oggi Micieli ha raccolto circa 40 casi di licenziamento in tutta Italia. La maggior parte dei casi riguardano donne, lavoratori irregolari, accuse di mobbing e anche di molestie sessuali.
INCATENATI A UNA PROMESSA. Molti ragazzi poi preferiscono non raccontare la loro storia, nella speranza di essere prima o poi regolarizzati. Perché è questo il Leitmotiv di molte delle storie raccolte dal blog: si comincia come volontari con un rimborso spese dai 50 ai 350 euro al mese. Con la promessa, raccontano gli ex lavoratori, di «essere sistemati». Alla fine le parole restano sulla carta. Di fatto, è l'accusa, «si lavora in nero». Nonostante si svolgano compiti di responsabilità.

Simona: «Io, in nero e trattata come una dirigente del sindacato»

È accaduto così a Simona. «Sono entrata in Cgil con il servizio civile», ricorda. «Mi dicevano: 'Dai lavora, poi vediamo'. Ti ritrovi a fare militanza, a essere chiamata 'compagna', a sfilare in piazza con la bandiera a cantare Bella ciao».
Per quattro, cinque anni ha continuato così, con un rimborso benzina da 200 euro al mese. «Frequentavo corsi nelle sedi nazionali, mi facevano dormire in hotel a 4 stelle, mi offrivano bottiglie di amarone da 30 euro l'una», continua. «Insomma, mi trattavano come una dirigente». Salvo per il contratto che non c'era.
«IL PART TIME COI TEMPI DI UN FULL». Dopo averli minacciati di denunciare tutto alla stampa, il suo è diventato un caso mediatico, tanto che «intervenne anche l'allora segretario Guglielmo Epifani. Fu così che mi assunsero part time a 600 euro al mese. Con la richiesta implicita, però, di lavorare full time».
La situazione è poi degenerata. Simona si è messa in malattia ed è stata licenziata «per fine periodo comporto».
«Non potevo restare in malattia oltre quel periodo», spiega. Di lì la causa. Due anni di udienze che sono sfociati in una conciliazione. «Ho accettato la cifra che mi hanno proposto. Ma il fatto stesso che siano arrivati a questo punto dimostra l'ammissione di una colpa».
«IN CALABRIA LA CGIL È UNA CASTA». Ora Simona è disoccupata. «In Calabria, in Sicilia e in Campania», sottolinea, «la Cgil è una casta chiusa, un mostro. Se fai causa sei fuori». Ha il dente avvelenato Simona. «Sono entrata in Cgil a 20 anni e ci sono rimasta fino ai 30. In 10 anni li ho visti scioperare contro tutto e tutti», attacca pesante. «Il sindacato ha perso i pezzi per strada, sopravvive con i patronati. Ma non c'è più rappresentanza. Siamo stanchi».

Francesco: «Tenevo aperta la sede, ma nessun contratto»

La storia di Francesco Martino non è molto diversa. È entrato alla Cgil di Praia a Mare, nein provincia di Cosenza, nel 2008 come lavoratore in mobilità della Filivivi srl del gruppo Marzotto di Praia. «Avevo un rimborso spese che nel 2013 è arrivato a 350 euro». Da gennaio 2009, «mi fu affidato anche l’incarico come Filtea Cgil di seguire tutta la partita delle prime domande di mobilità in deroga che riguardavano i lavoratori del tessile delle varie aziende del comprensorio, in primis la Marlane Spa del gruppo Marzotto di Praia, la Mdc di Castrovillari e la Foderauto Bruzia di Belvedere Marittimo, partecipando agli incontri all’assessorato per chiudere gli accordi aziendali che man mano venivano predisposti».
UN VOLONTARIO, MA CON L'ORARIO FISSO. Compiti di responsabilità per un «volontario», come lo hanno ripetutamente definito dal sindacato. «Io di fatto ho tenuto aperta la sede di Praia tutti i giorni dalle 8,30 alle 13,15 e dalle 15,30 alle 19,30. Ricevevo le persone e interfacciavo con loro e inviavo le loro pratiche», sottolinea.
Come con Simona, arrivarono puntuali le promesse della dirigenza: «Mi si prospettò la possibilità di ottenere un ruolo nei servizi non appena la situazione si fosse stabilizzata e si fossero verificate le condizioni». Intanto Francesco sbarcava il lunario grazie all'assegno di mobilità ordinaria. «La struttura mi avrebbe garantito un “rimborso spese” per gli spostamenti», continua, «per sopperire alle varie riduzioni sull’indennità di mobilità che man mano negli anni avvenivano».
«SEI ANNI BUTTATI VIA». Sei anni di lavoro «volontario» durante i quali «tutti ma proprio tutti erano a conoscenza del mio operato e del lavoro che svolgevo all’interno dell’organizzazione». Se «nessuno aveva preso impegni nei miei riguardi e mi si riteneva semplice collaboratore», si chiede Francesco, «perché mi si faceva formazione?».
Quando la Cgil ha deciso di interrompere tutte le collaborazioni per motivi economici, a Francesco non sono state date molte alternative.
«Non si è trattato di un semplice rifiuto a mettere in piedi un rapporto di lavoro», denuncia, «ma anche il fatto di avermi messo alla “porta” quasi come se mi fossi appropriato di qualcosa di non mio. Ho sprecato ben sei anni della mia vita. Non per il bagaglio di conoscenza acquisito, ma per il tempo, risorse e opportunità che ho fatto venire meno alla mia famiglia e soprattutto ai miei tre figli».
IL SINDACATO: «FALSE INFORMAZIONI». La Cgil di Cosenza rimanda tutte le accuse ai mittenti. «Martino non era un nostro dipendente», mettono in chiaro, «ma un lavoratore in mobilità con contratto di collaborazione volontaria che stipuliamo per tutelarci». Nessuno, stando al sindacato, «ha mai confermato i suoi impegni all'interno della struttura. E nessuno mette dei marcatempo». Di più: Martino avrebbe anche rifiutato altre possibilità di lavoro.
«Ci difendiamo da chi mette in giro false informazioni», alza la voce il dirigente, «lo dico in anticipo».
Così mentre le bandiere della Cgil sventolano nelle piazze italiane contro la cancellazione dell'articolo 18, ci sono degli ex lavoratori o ex volontrari che non se la sentono di scendere in strada. Anche a causa di quella «doppia morale» che rende opaco il sindacato.

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