La teologia del martire palestinese che piace tanto ai media occidentali
Quella del “martire palestinese” è ormai diventata a tutti gli effetti una vera e propria teologia dove i media occidentali ci sguazzano e sulla quale si arricchiscono.
La morte di Ziad Abu Ein, avvenuta ieri probabilmente a seguito di un malore, non fa altro che confermare come da parte palestinese ci sia la spasmodica ricerca del martire, della vittima di quella che loro chiamano “occupazione israeliana”. E’ una vera e propria teologia prima ancora che una tattica mediatica.
In questa sorta di teologia del martire i palestinesi trovano una grandissima sponda nei media occidentali, anche ieri pronti a gettare fango su Israele e a sputare sentenze sebbene il video del malore di Ziad Abu Ein sia apparso subito in rete, un video dove si vede chiaramente che ci sono decine di fotografi e cameraman pronti a riprende qualsiasi “violazione” da parte dei militari israeliani. Avviene sempre così ogni volta che i palestinesi decidono di fare qualche manifestazione, la prima cosa che fanno chiamano i media che chiaramente accorrono i massa. Ebbene, del fantomatico colpo inferto da un militare israeliano a Ziad Abu Ein non vi è traccia nonostante le decine di fotografi e cameraman presenti. Invece il video dove si vede chiaramente il vecchio terrorista palestinese cadere a terra per un malore è eloquente e non lascia adito a tanti dubbi.
Intendiamoci, siamo perfettamente abituati a tutto questo. I pochi giornalisti onesti ci hanno raccontato di come i grandi media occidentali, le grandi “fonti di informazione”, usino spudoratamente la teologia del martire per fare audience. La testimonianza di Matti Friedman, ex inviato della Associated Press, è un pugno allo stomaco dei cosiddetti “grandi media”. Eppure ogni volta ci sorprendiamo dalla capacità di certi media di stravolgere la realtà dei fatti, di fare da sponda alla teologia del martire che ormai da decenni tiene in vita costantemente il conflitto tra israeliani e palestinesi.
Così i terroristi che uccidono una bambina di tre mesi o massacrano dei rabbini in una sinagoga diventano improvvisamente martiri. Un vecchio terrorista omicida di ragazzini che ha un malore diventa vittima della “occupazione israeliana”. Ragazzi che tirano sassi contro le macchine in transito provocando centinaia di incidenti, decine di morti e centinaia di feriti, diventano eroi della “resistenza” e quando vengono giustamente arrestati si trasformano in martiri. E’ una continua corsa al martire. In ogni cosa che fanno i palestinesi c’è questa spasmodica ricerca del martirio. E lo ripetiamo, lo fanno perché sanno di trovare nei media e nella foltissima schiera di odiatori una sponda che rilancerà sistematicamente tutte le loro “ardite imprese” e il loro “martirio”.
Qualche mese fa per primi denunciammo le cosiddette “linee guida per i giornalisti” imposte da Hamas durante l’operazione Margine Protettivo. Oggi possiamo dire che quelle stesse linee guida vengono applicate sistematicamente in qualsiasi contesto che veda interessati i palestinesi, da Gaza alla Cisgiordania. In quelle linee guida traspare con chiarezza la teologia del martire, quella stessa teologia sulla quale i media occidentali ci sguazzano e ci si arricchiscono alimentando odio in maniera sistematica e deliberata.
Non sappiamo con certezza come sia morto Ziad Abu Ein e francamente non saremo certo noi a piangere un assassino di bambini che proprio grazie al suo curriculum era diventato un importante uomo politico della ANP, ma a quanto pare la maggioranza dei media ha già sputato la loro sentenza: Israele colpevole, Ziad Abu Ein martire. E la teologia del martire continua.
Scritto da Bianca B.
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