martedì 9 dicembre 2014

Riceviamo e pubblichiamo.

Mafia Capitale: dalle false fatturazioni ai trasferimenti all'estero, ecco come funzionava il sistema "perfetto" della Cupola

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MAFIA CAPITALE

E’ l’anello debole del sistema Mafia Capitale. Quarantanove anni, fedele e obbediente da quindici, Nadia Cerrito è l’imprevisto che i Capi hanno sottovalutato. Capita, anche nelle migliori organizzazioni. Salvatore Buzzi, a capo della holding di cooperative che sono il motore degli affari del consorzio criminale, si fidava di lei tanto da affidarle il libro nero della contabilità parallela del sistema. Per anni le ha riservato un ruolo molto speciale:preparare le buste con i contanti per pagare i favori di politici e amministratori. 
E’ l’unica, con il manager Panzironi, ad aver risposto all’interrogatorio di garanzia del gip Flavia Costantini e poi alle prime domande dei pm Tescaroli, Ielo e Cascini. Per ora ha solo confermato qualcosa che non poteva negare visto che gli investigatori del Ros le hanno trovato in casa, seppur nascosto, il registro di colore nero con la contabilità segreta e parallela. “Buzzi – ha confermato Cerrito - portava i soldi in contanti e io provvedevo a preparare le buste con le sue indicazioni”. Per ora “la cassiera” di Mafia Capitale ha detto di non sapere a chi andavano le buste. Chi fossero i destinatari. 
Ma i pm non le hanno creduto. Grazie ad alcuni dialoghi captati negli uffici delle Eriches, emerge in modo chiaro che invece la signora Cerrito sa molto di più di quello che ha detto di sapere. Il messaggio degli inquirenti, quindi, è stato chiaro: le hanno dato qualche giorno di tempo per ricostruire la mappa delle dazioni, a chi erano destinate le buste, per quali importi e per quali favori. E visto che finora ha “obbedito in silenzio pur consapevole che quella era una contabilità illegale per non perdere il posto di lavoro”, ci sono buoni motivi per credere che la signora sia in queste ore già a buon punto della sua ricostruzione. Sarebbe un terremoto. Un mattone delle fondamenta che si trascina dietro tutto il resto. 
Mafia Capitale aveva messo in piedi un sistema contabile perfetto. “Anche perché – dice convinto un investigatore – erano tutti assolutamente certi di essere coperti. Comunque protetti”. Gli imprenditori collusi e complici servivano non solo a far fronte ad ogni richiesta del mercato – verde pubblico, edilizia, movimento terra, ristorazione e turismo – e, come dice Carminati , “a diversificare il rischio”. Erano soprattutto un bancomat di false fatturazioni per consentire alle cooperative della holding di Salvatore Buzzi di creare le sacche di nero necessario a pagare tangenti e stipendi ai politici ed amministratori amici. Una volta giunti nella disponibilità della Eriches, i danari prendevano la via dei conti correnti esteri, Svizzera, Lichtenstein, San Marino grazie ad una rete di spalloni di provata esperienza e caratura criminale. Una volta all’estero, quei soldi frutto del sacco di Roma e rubati ai cittadini romani ma non solo (la Capitale ha un buco di bilancio di 23 miliardi su cui lo Stato è intervenuto più volte), sono stati poi investiti e riciclati in varie attività.
Al centro del “sistema perfetto” – a cui gli investigatori del Ros hanno attribuito per ora un fatturato di 204 milioni - ci sono certamente Buzzi e Carminati. Un gradino sotto, la cassiera-segretaria Nadia Cerrito la cui confessione potrebbe essere la pietra tombale per molti dei coinvolti (37 arresti, un centinaio gli indagati). Incrociando i dialoghi captati negli uffici di Buzzi, i Ros traggono conclusioni nette. Nel gennaio 2014, ad esempio, “le cooperative di Salvatore Buzzi avevano ricevuto pagamenti per circa 1,5 milioni (dalla Marco Polo spa) puntualmente annotati sul
“libro nero” di una contabilità parallela, con sigle o lettere dell’alfabeto riferiti a pagamenti “in nero” e/o “tangenti”. E’ proprio durante questi colloqui che gli investigatori sentono pronunciare dalla stessa Cerrito la parola “libro nero” che, scrivono nell’informativa finale, “sarebbe custodito presso l’abitazione della segretaria con l’evidente scopo di eludere eventuali controlli”. Una settimana fa, quando sono scattati gli arresti, è la prima cosa che hanno cercato. E che hanno trovato. 
Sappiamo che destinatari delle buste sono stati Panzironi, ex ad dell’Ama, 15 mila euro al mese e 120 mila una tantum; Carlo Pucci (dirigente ente Eur), 5 mila al mese e 15 mila una tantum, Mario Schinà (ex dirigente del Comune, 1500 al mese), Luca Odevaine (dirigente della Provincia, 5000 al mese), Claudio Turella (servizio giardini del Comune, 25 mila una tantum; 570 mila in contanti gli sono stati trovati in casa dentro buste del comune); Enrico Figurelli, segretario di Coratti, presidente dell’assemblea capitolina (mille euro al mese; 10 mila una tantum); Eugenio Patanè, consigliere regionale Pdl (10 mila una tantum). Ma sappiamo anche che l’elenco è molto più lungo e ricco. Buzzi era infallibile nella sua ricerca di contattare e pagare tutti pur di avere appalti. 
Il bancomat dei fondi neri erano gli imprenditori amici. Illuminante un brano del decreto di sequestro di Agostino Gaglianone, costruttore di Sacrofano dove è titolare della Imeg srl e della Cesas e da dove ha tentato, grazie a Mafia Capitale, l’ingresso nel giro di appalti comunali e regionali. “Il legale rappresentante della Imeg – scrive il giudice – emetteva verso la Enriches fatture relative ad operazioni inesistenti…”. Si tratta di 10 fatture, tre nel 2012, sei nel 2013 e una nel 2014 per un totale di 262 mila euro. Liste di fatture inesistenti anche dal costruttore Guarnera e dal ristoratore Ietto, si occupava del servizio mense ma lo chiamavano l’Ingegnere. 
Parte dei soldi recuperati con le false fatture, prendevano poi il volo. O verso i conti correnti di politici e amministratori (a Odevaine risultano 44 bonifici da parte delle cooperative di Buzzi per un totale di 226 mila euro). O verso depositi bancari stranieri. Uno certamente esperto risulta essere, dagli atti dell’indagine, lo stesso Massimo Carminati. Dice di lui Roberto Grilli, gola profonda dell’inchiesta, nei verbali della primavera 2012: “In seguito rividi Iannilli (Marco, indagato per trasferimento fraudolento di valori, ndr) chiacchiere con Carminati proprio perché mi interessava sapere come
poter muovere i soldi all’estero, soldi provenienti da attività criminose che non posso mettè sul conto”. Iannilli diventa quindi il regista degli spalloni. “Iannilli mi spiegò che pagando un 4-5% al trasportatore potevano prendere dei soldi cash a Roma, garantiti appunto da lui e comunque dalle sue amicizie serie, il 4-5% di questa somma, chiaramente dai 100 mila euro in su, non si parlava di bruscolini e portarla o a San Marino o in Svizzera da cui poi avrebbero portato i soldi o in Liechtenstein o Cayman perché c’aveva dei fondi lui, delle cose…”. 
Per gestire soldi contanti, Carminati raccomanda anche il sistema più antico del mondo: “Compra una cantina e murali dentro” suggerisce a Grilli. Ma sa di potersi rivolgere anche al giro di amici di un locale dalle parti di Ponte Milvio dove negli anni Ottanta sorgeva una bisca della banda della Magliana. I proprietari di oggi sono amici di Carminati e hanno contatti con quel Lillo Rosario Lauricella, palermitano, latitante, “già dal 1979 – scrivono gli investigatori - considerato uomo di fiducia dei Corleonesi per conto dei quali riciclava somme in immobili e negozi”. Con Ernesto Diotallevi, Antonio Nicoletti (figlio di Enrico) e Anton Giulio Lo Prete, Lauricella tentò anche la lottizzazione di un villaggio turistico sull’isola di Cavallo. Sono le relazioni internazionali dell’ex uomo dei Nar a cui anche “il mondo di mezzo” cominciava a stare stretto. 

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