Quanto è importante l’incontro tra Draghi e Renzi? Mi verrebbe da dirvi: immensamente.
Perché?
Perché quell’incontro è stato il simbolo del nocciolo del problema che affligge l’Europa attualmente ed è anche una condizione necessaria (ma non sufficiente) per avviarci verso la sua risoluzione.
L’incontro umbro era stato già immaginato, solo due mesi fa, da due ricercatori, guarda caso italiani, Francesco Bianchi e Leonardo Melosi, il primo della Duke University ed il secondo dipendente della Federal Reserve di Chicago. Che hanno avuto la brillante capacità di immaginare – con i mezzi della teoria economica – i diversi percorsi a disposizione delle istituzioni di Paese (o un gruppi di Paesi con una valuta unica e regole fiscali comuni, come l’area dell’euro) per provare ad uscire da una crisi da domanda e da pessimismo come quella in cui ci troviamo a combattere, ed in cui la banca centrale (da ora in poi Bce) ha già spinto i tassi verso il minimo, lo zero.
Mi perdoneranno questi due bravi ricercatori se semplificherò il loro rigoroso messaggio, romanzandolo un po’ per il lettore, sperando di non tradire troppo i loro affascinanti risultati.
Ma prima, una premessa.
Mario Draghi porta sulle spalle un’eredità pesante. Quella di una istituzione che, nel giro di poco più di un decennio, ha conseguito una elevatissima reputazione anti inflazionistica, direi sorprendente, che è senza dubbio alla base di gran parte della stabilità che l’area euro ha conosciuto prima della grande recessione dal 2008. Tale reputazione anti-inflazionistica non è stata intaccata dal comportamento della Bce dal 2008 in poi, quando sempre più insistenti sono diventate le domande esterne alla banca per fare più inflazione, molta di più di quanta non ne stia facendo ora. Inflazione richiesta perché capace di avere due effetti: essendo i tassi nominali allo zero, essa abbatterebbe il costo reale del credito, rilanciando consumi e investimenti (il contrario di quello che fa oggi la crescente deflazione) ed, al contempo, svaluterebbe il valore nominale del debito pubblico, riducendo la necessità di aumentare tasse e diminuire spese per ripagarlo, cose, queste, che impediscono la ripresa.
Nessuno ha sintetizzato meglio di Filippo Taddei, economista di Renzi, su Repubblica, tali domande esterne: “per noi è un vero problema tenere sotto controllo il debito pubblico in deflazione”.
Draghi riuscirà a resistere a queste pressioni di Renzi e di tutti i governi in difficoltà? È cosa buona che vi resista nelle condizioni in cui versa l’Europa? Non vi sarebbe una soluzione capace di salvare l’Europa mantenendo alta la reputazione anti inflazionistica della Bce? Sono queste le domande a cui rispondono di due ricercatori nel loro affascinante saggio.
Certo, argomentano, in tempi normali il modello di banca centrale anti inflazionista e di un Fiscal Compact che garantisce la stabilità del debito pubblico è ideale. Ma in tempi eccezionali come quelli che attraversiamo, in cui la crisi è iniziata per colpe esterne alla volontà dei nostri politici? Quale sarà la politica da attuare?
Bloccati nell’oggi a un tasso di sconto pari a zero e non ulteriormente riducibile, la politica ideale dipenderà da cosa decideranno oggi i responsabili della politica economica, i Renzi ed i Draghi, su quali saranno le politiche future che dovranno essere seguite, una volta usciti dalla recessione. In particolare, su come gestiranno gli enormi debiti pubblici su Pil che avrà lasciato la recessione. A che annunci odierni vorranno legarsi per le politiche del domani risulterà decisivo per le sorti della eventuale ripresa dalla crisi.
Se ad esempio i politici convinceranno i mercati oggi che appena tornerà il bello continuerà ad essere vigente il Fiscal Compact volto al ripagamento del debito pubblico accumulato nella recessione e una politica monetaria dura e pura, con le loro esose richieste sulla domanda interna via maggiori tasse, minori spese ed assenza di credito, la domanda di imprese e famiglie crolla subito (investimenti? Perché farli si dice l’imprenditore se non vede il lumicino di una maggiore attività economica domani), la deflazione segue, i tassi reali salgono invece di scendere, la recessione si amplifica e dura a lungo, il debito su Pil sale ancora. Un po’ quello che pare essere la realtà odierna.
Se invece i politici diranno e convinceranno i mercati che si impegnano ad abolire per un lungo periodo il Fiscal Compact ed a inflazionare l’economia, ecco che questa uscirà oggi dalla crisi, grazie alle aspettative di maggiore inflazione ed abbassamento dei tassi reali che seguirà, con l’abbattimento anche del rapporto debito su Pil. Ma mentre questa sarebbe una politica ideale nel breve periodo, tirandoci fuori dalla recessione, essa metterebbe a rischio la stabilità nei tempi normali e con essa la reputazione anti-inflazionistica della Bce di Draghi.
Mi direte: ma di cosa si convinceranno i mercati? Beh ovviamente dipenderà da chi crederanno comanda in Europa. Comandano i Draghi o i Renzi? Se si crede siano i primi, la recessione dura per i prossimi 10 anni e come contentino avremo la stabilità nel lungo periodo. Se i Renzi, via dalla recessione subito, ma grande instabilità nel lungo periodo.
La cosa peggiore, argomentano gli autori, sarebbe che i Renzi ed i Draghi non si coordinassero tra loro, dando il via ad una battaglia istituzionale. Immaginiamo per esempio che la BCE annunci che al termine della crisi manterrà la lotta senza se e senza ma all’inflazione mentre i governi spiegheranno che non faranno, per ripagare il debito accumulato, aumentare le tasse quando tornerà il bel tempo.
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