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BAGDAD 
- Dopo l'assedio agli yazidi sul monte Sinjar, adesso sono gli sciiti turcomanni della città di Amerli (nord dell'Iraq, nei pressi di Kirkuk, che rischiano la carneficina, circondati da settimane dai jihadisti dello stato islamico. Ieri il grande ayatollah Ali al-Sistani, la massima autorità religiosa sciita dell'Iraq, aveva lanciato l'allarme e chiesto alle autorità di "andare in soccorso degli abitanti di questa città".

Oggi la conferma arriva dalle Nazioni Unite. "La situazione degli abitanti è disperata e necessita di un intervento immediato per impedire un possibile massacro", ha dichiarato oggi il rappresentante speciale dell'Onu a Bagdad, Nikolaj Mladenov, invitando il governo iracheno a "fare il possibile per rompere l'assedio e permettere agli abitanti di ricevere aiuti umanitari vitali o di lasciare la città in condizioni degne". Amerli è una città di circa 20mila abitanti, circondata ormai da fine giugno dalle milizie jihadiste dello stato islamico e lamenta scarsità di cibo e altri generi di prima necessità.

E intanto sangue chiama sangue, una volta di più: due attentati hanno colpito Bagdad e Tikrit, facendo almeno 17 morti a meno di 24 ore dalla strage di decine di fedeli sunniti in una moschea della provincia di Diyala. L'attentato ha immediatamente intensificato le tensioni settarie in un momento difficile per il paese, che deve fronteggiare l'avanzata dei jihadisti dello Stato islamico e sta cercando di formare un governo di unità nazionale tra sciiti, sunniti e curdi guidato dallo sciita Nouri al-Maliki.

Undici persone sono morte in un attentato nella capitale contro il quartier generale dell'intelligence del ministero degli Interni. L'attentato è stato compiuto da un kamikaze, che ha fatto esplodere il suo veicolo imbottito di esplosivi. Tra le vittime, sei sono civili e cinque personale di sicurezza. Altre 24 persone sono rimaste ferite. A Tikrit, città natale di Saddam Hussein, un altro attentatore suicida, guidando un veicolo militare, ha attaccato un raggruppamento di militari e miliziani sciiti, uccidendone nove.

Oggi gli Stati Uniti hanno "condannato con forza" l'attacco "abominevole" di ieri contro la moschea sunnita in Iraq. Il segretario di stato John Kerry ha sollecitato tutte le autorità irachene a unirsi contro il fondamentalismo islamico. Miliziani sciiti avevano aperto il fuoco venerdì contro una moschea sunnita a nordest di Bagdad, provocando almeno settanta vittime. Un attacco che rischia di compromettere gli sforzi del governo iracheno per compattarsi con la comunità sunnita nella lotta contro i jihadisti dello stato islamico.


Il parlamento iracheno - ha annunciato oggi il presidente del parlamento Salim al-Jabouri - ha aperto un'inchiesta sull'attacco contro la moschea. Il comitato formato da funzionari della sicurezza e legislatori annuncerà i risultati dell'inchiesta entro due giorni. Al-Jabouri, un sunnita, ha descritto l'attacco di ieri come una carneficina. Ieri i due blocchi sunniti in parlamento, tra cui quello di al-Jabouri, hanno sospeso i colloqui sulla formazione del nuovo governo a guida sciita fino a conclusione delle indagini. Al-Jabouri non ha rilasciato dichiarazioni sul ritiro, spiegando che in conferenza stampa stava parlando in qualità di presidente del Parlamento e non come leader di un blocco politico.

Obama valuta richiesta al Congresso per uso forza. L'amministrazione Obama sta valutando di chiedere l'autorizzazione del Congresso per estendere le operazioni militari Usa contro i jihadisti dello Stato Islamico (Isis) in Iraq e in Siria. Lo scrive il Washington Post, sottolineando che un mandato del Congresso - analogo a quello concesso contro i Talebani nel 2001 e contro Saddam Hussein nel 2002 - darebbe copertura legale interna per un potenziale ricorso alla forza senza restrizioni contro gli estremisti.

L'ipotesi di un'autorizzazione del genere, sottolinea l'autorevole giornale americano sulla base di fonti bene informate, è peraltro solo "una delle alternative" che l'amministrazione sta concretamente discutendo al suo interno nell'ambito della strategia anti-Isis. Fra le opzioni legali sul tavolo c'è sia quella di ricorrere all'autorità temporanea prevista dalla cosiddetta War Powers Resolution - la quale attribuisce un potere costituzionale transitorio per disporre l'uso della forza in azioni di emergenza volte alla protezione di cittadini statunitensi minacciati nel mondo - sia, appunto, quella della richiesta di un più ampio mandato ad hoc del Congresso: che di fatto significherebbe mani libere contro i jihadisti.