Crescita: la matematica non è un’opinione e i numeri vanno letti correttamente
6 agosto 2014
I profeti di sventura delle statistiche e dei segnali di crisi, ed i paladini del benaltrismo (“ma perché gli 80 euro sì e un bel piano sul lavoro no?”, “ma perché riforma del senato sì e lotta strenua all’evasione no?”) continuano a pubblicare dati, fornendo per gli stessi letture quasi sempre tragiche, tutte tese a dimostrare l’incapacità del Bullo Premier di stare al passo con le necessità di questo paese, oltre che l’incapacità dell’Italia di stare al passo con i suoi “competitor”.
Un caso lampante di questo atteggiamento sono i commenti piccati della Confcommercio emersi ieri (5 agosto) sulla inefficacia della “manovra 80 euro” sui consumi. Poi apri il file sul quale i vertici dell’associazione esercenti hanno formulato tale verdetto e scopri non solo che alla Confcommercio sono stati un attimo avventati nel formulare critiche così tranchant, ma che tutto sommato le cose non stanno girando così male. Speriamo a questo punto che tali rilevazioni siano almeno attendibili.
Vediamo un po’: Nel corso del 2013 la domanda di servizi – espressa in euro – ha subito una variazione negativa dell’1,4%. Nel corso del primo trimestre del 2014 (il governo Renzie si è insediato alla fine di febbraio) la domanda per il medesimo aggregato dei consumi mostra sempre una variazione negativa, ma pari a -0,4%. In termini relativi – noi che siamo così attenti allo spread btp-bund – possiamo tranquillamente dire che la tendenza dei consumi per servizi è cresciuta di ben un punto percentuale, ovvero 100 punti base. Non esattamente una cattiva notizia. Poi vai a vedere com’è andata la variazione nella domanda di servizi per il secondo trimestre del 2014 rispetto allo stesso periodo del 2013 primo e rilevi addirittura una crescita dell’1,1%. Ovvero, rispetto alla crescita registrata per il primo trimestre, ben 1,5 punti percentuali (o 150 punti base) in più.
L’ottimista, non senza ragioni, vedrà che qualche effetto della politica “80 euro”, avvenuta tra maggio e giugno, c’è stata. E se mettiamo a confronto la crescita della domanda per servizi registrata nel secondo trimestre 2014 rispetto allo stesso periodo del 2013 con quella registrata per tutto il 2013 rispetto al 2012 abbiamo addirittura una crescita “relativa” di 2,5 punti percentuali, ben 250 punti base! Valore che si trasforma in un miglioramento di addirittura 370 punti base se la domanda di servizi (indicatore questo un po’ meno scientifico, ma non possiamo ignorarlo) la si misura in quantità. Segno che i prezzi non crescono e che i consumatori, resisi furbi dalla crisi, prediligono i servizi a minor prezzo.
Applicando questo semplice giochetto matematico (che il pensoso prof. Padoan potrebbe sbandierare alla grande, ma lui fine econometrista ripudia la semplicità, e la fa ripudiare, anzi, ignorare al suo dante causa) alla domanda di beni si scoprirà che c’è un guadagno nell’andamento dei consumi di ben 300 punti base (secondo trimestre 2014 su totale 2013). E spulciando i dati disaggregati si vede che la domanda di alberghi e pasti fuori casa – la famosa questione “ristoranti pieni” – cresce da una riduzione della domanda nel 2013 del -1,6% al +2,2% del secondo trimestre del 2014, ovvero +3,8 punti percentuali, cioè più 380 punti base. E se poi ci mettessimo a disaggregare questi dati per regioni – indagine non presente tra i dati Confcommercio – scopriremmo ovviamente che i dati forniti a livello nazionale scontano la presenza di due “Italie”, quella sopra e quella sotto il Gargano, quest’ultima ad “inguaiare” le non brillantissime ma certamente nemmeno angosciose performance economiche dell’Italia centro settentrionale.
Cambiando fonte, ma non “espirit crtique”, andiamo sul sito dell’Istat e scopriamo in bella evidenza un grafico che mostra la crescita del numero di occupati per oltre 100mila unità tra il 2013 ed il 2014. Crescita! Numero occupati!. Roba che se stessimo a sentire solo i dibattiti su la 7 e le belle giornaliste del sole 24 ore penseremmo di vivere in un paese a metà strada tra l’Argentina ed il Burkina Faso.
Se non temessi il ridicolo, e gli scongiuri (Matteo, falli in ogni caso), mi andrebbe di dire #matteostaisereno. Meglio però #gufierosiconistatesereni.
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Un caso lampante di questo atteggiamento sono i commenti piccati della Confcommercio emersi ieri (5 agosto) sulla inefficacia della “manovra 80 euro” sui consumi. Poi apri il file sul quale i vertici dell’associazione esercenti hanno formulato tale verdetto e scopri non solo che alla Confcommercio sono stati un attimo avventati nel formulare critiche così tranchant, ma che tutto sommato le cose non stanno girando così male. Speriamo a questo punto che tali rilevazioni siano almeno attendibili.
Vediamo un po’: Nel corso del 2013 la domanda di servizi – espressa in euro – ha subito una variazione negativa dell’1,4%. Nel corso del primo trimestre del 2014 (il governo Renzie si è insediato alla fine di febbraio) la domanda per il medesimo aggregato dei consumi mostra sempre una variazione negativa, ma pari a -0,4%. In termini relativi – noi che siamo così attenti allo spread btp-bund – possiamo tranquillamente dire che la tendenza dei consumi per servizi è cresciuta di ben un punto percentuale, ovvero 100 punti base. Non esattamente una cattiva notizia. Poi vai a vedere com’è andata la variazione nella domanda di servizi per il secondo trimestre del 2014 rispetto allo stesso periodo del 2013 primo e rilevi addirittura una crescita dell’1,1%. Ovvero, rispetto alla crescita registrata per il primo trimestre, ben 1,5 punti percentuali (o 150 punti base) in più.
L’ottimista, non senza ragioni, vedrà che qualche effetto della politica “80 euro”, avvenuta tra maggio e giugno, c’è stata. E se mettiamo a confronto la crescita della domanda per servizi registrata nel secondo trimestre 2014 rispetto allo stesso periodo del 2013 con quella registrata per tutto il 2013 rispetto al 2012 abbiamo addirittura una crescita “relativa” di 2,5 punti percentuali, ben 250 punti base! Valore che si trasforma in un miglioramento di addirittura 370 punti base se la domanda di servizi (indicatore questo un po’ meno scientifico, ma non possiamo ignorarlo) la si misura in quantità. Segno che i prezzi non crescono e che i consumatori, resisi furbi dalla crisi, prediligono i servizi a minor prezzo.
Applicando questo semplice giochetto matematico (che il pensoso prof. Padoan potrebbe sbandierare alla grande, ma lui fine econometrista ripudia la semplicità, e la fa ripudiare, anzi, ignorare al suo dante causa) alla domanda di beni si scoprirà che c’è un guadagno nell’andamento dei consumi di ben 300 punti base (secondo trimestre 2014 su totale 2013). E spulciando i dati disaggregati si vede che la domanda di alberghi e pasti fuori casa – la famosa questione “ristoranti pieni” – cresce da una riduzione della domanda nel 2013 del -1,6% al +2,2% del secondo trimestre del 2014, ovvero +3,8 punti percentuali, cioè più 380 punti base. E se poi ci mettessimo a disaggregare questi dati per regioni – indagine non presente tra i dati Confcommercio – scopriremmo ovviamente che i dati forniti a livello nazionale scontano la presenza di due “Italie”, quella sopra e quella sotto il Gargano, quest’ultima ad “inguaiare” le non brillantissime ma certamente nemmeno angosciose performance economiche dell’Italia centro settentrionale.
Cambiando fonte, ma non “espirit crtique”, andiamo sul sito dell’Istat e scopriamo in bella evidenza un grafico che mostra la crescita del numero di occupati per oltre 100mila unità tra il 2013 ed il 2014. Crescita! Numero occupati!. Roba che se stessimo a sentire solo i dibattiti su la 7 e le belle giornaliste del sole 24 ore penseremmo di vivere in un paese a metà strada tra l’Argentina ed il Burkina Faso.
Se non temessi il ridicolo, e gli scongiuri (Matteo, falli in ogni caso), mi andrebbe di dire #matteostaisereno. Meglio però #gufierosiconistatesereni.
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