I parlamenti degli altri
Le foto da mezzo mondo delle aule in cui si discutono e votano le leggi, tra cappucci bianchi, donne velate e stelle rosse sul soffitto
25 marzo 2013
Fin dall’antichità, come dicono quelli bravi, molte comunità di persone hanno delegato ad altre persone la gestione dei loro interessi e della “cosa pubblica”, con forme varie di assemblee e riunioni in cui erano discusse e assunte decisioni. Fu comunque necessario attendere fino al XII secolo per avere qualcosa di paragonabile all’idea che abbiamo oggi di parlamento, quando Ruggero II di Sicilia della dinastia degli Altavilla convocò al Palazzo dei Normanni di Palermo una riunione di dignitari e rappresentanti delle diverse realtà territoriali del regno. In ambito anglosassone la parola “parlamento” fu usata per la prima volta nel 1236, anno in cui fu inserita in un documento del regno di Enrico III, ma per indicare un tipo di assemblea in voga già da secoli.
La storia – sfumata e ancora molto dibattuta – della nascita dei primi parlamenti in senso moderno fa da sfondo ai giorni nostri, dove i parlamenti sono il sistema di gestione degli stati più diffuso al mondo. I parlamenti con due camere sono i più comuni, fatta eccezione per grandi paesi orientali come la Cina e per diversi stati del vicino oriente, che utilizzano una sola camera. Le aule in cui si discutono e si votano le leggi si somigliano molto, anche se si trovano in capitali distanti tra loro migliaia di chilometri e con culture diverse. Sono quasi tutte semicircolari, con i seggi disposti intorno al banco in cui siedono il presidente e poco più in basso i rappresentanti del governo. E in qualsiasi parlamento del mondo ci sono parlamentari molto attenti, altri annoiati a morte, altri sempre pronti a votare con convinzione o per convenienza, in quel gioco che nel bene e nel male dura da secoli e che chiamiamo democrazia.
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