lunedì 25 marzo 2013

Mi sono divertito a leggere questa lettera di un operaio particolare. Una critica feroce al sindacato condivisibile. Al punto che noi si chiediamo:" ma a che servono i sindacati?" Per noi oggi non servono a niente. Anzi servono a quei sindacalisti che grazie ai distacchi pagati dai contribuenti per tutta la vita sono nullafacenti e vivono alle spalle degli altri.


Sig.ra Camusso, scrivo a lei che è il segretario del “sindacato italiano più rappresentativo” per rivolgermi a tutto il mondo sindacale e delle associazioni di categoria delle imprese.
Scrivo a lei anche perché, qualche mese fa, abbiamo già avuto un brevissimo incontro e già in quella occasione le avevo posto alcune questioni riguardo ai temi che affronterò in maniera più approfondita ora.


Innanzitutto, mi presento: mi chiamo Michele Liati, residente in provincia di Varese, laureato in Fisica, laureando in Economia, operaio fino a qualche mese fa.
Ci siamo incontrati a Roma, precisamente il 21 ottobre, al termine di una manifestazione della Cgil a Piazza del Popolo; quel giorno non ero a Roma per la vostra manifestazione, ma per una mia forma di protesta personale, proprio contro i sindacati, o meglio, contro l'attuale sistema sindacale.
Sono partito di corsa da Milano il 1 ottobre e ho raggiunto Roma il giorno 20 (video servizio In Onda).
Ho protestato e continuerò a protestare perché voglio liberare il mondo del lavoro dall'attuale sistema sindacale, che ritengo estremamente dannoso per la libertà del singolo lavoratore e per lo sviluppo economico generale del nostro paese.


Due sono le motivazioni di questa mia critica, una di diritto e l'altra di carattere economico:


Ogni persona dovrebbe essere “padrone del proprio lavoro”, il che vuol dire innanzitutto possedere piena autonomia privata, libertà contrattuale e libertà di scegliere come - e eventualmente da chi - far rappresentare i propri interessi.
Questo vuol dire che la rappresentanza deve essere “regolamentata”, e non secondo le regole che gli stessi sindacati si danno, ma secondo regole “universali” e fatte nell'interesse di tutti, o meglio, del singolo lavoratore.
E' la libertà il vero motore dell'economia, e laddove non c'è libertà non può esserci sviluppo economico. 
I sindacati, in questo senso, hanno da tempo espropriato ai lavoratori questa libertà e i diritti ad essa connessi, ed è ora che questa libertà venga a loro restituita.


La motivazione di carattere economico è che i sindacati sono a tutti gli effetti dei trust, cartelli, e la loro presenza danneggia l'efficienza del mercato del lavoro e dell'economia in generale.
Degli effetti negativi determinati dai trust è piena la letteratura economico-scientifica, quindi non sto a dilungarmi.
Chiarisco però subito una questione importante, quando parlo di sindacati includo naturalmente anche le associazioni di categoria delle imprese; “trust sindacale dei lavoratori” e “trust sindacale delle imprese” sono due facce della stessa medaglia.


Quello che chiedo alla politica, in ragione delle motivazioni appena dette è una “politica antitrust” che restituisca libertà ai lavoratori e al mercato del lavoro e nuove prospettive di sviluppo al nostro paese.
Chiedo che il diritto del lavoro rientri pienamente nell'alveo del diritto privato, o meglio in quello commerciale, eliminando quella “zona grigia”, extra-legem, tra diritto privato e diritto pubblico garantita al sistema sindacale.

Ovviamente non chiedo la soppressione dei sindacati, la libertà di associazione è un valore fondamentale, ma credo che i sindacati possano e debbano convivere con i diritti individuali (e fondamentali) del singolo lavoratore, e qualora questa convivenza risulti difficile o impossibile a farne le spese non deve senz'altro essere il diritto individuale, come è accaduto fino ad ora.

Queste mie motivazioni sono nate da una “vicenda sindacale” che ho vissuto in prima persona e che ora le voglio raccontare; certamente potrei esprimere le mie opinioni senza farne diretto riferimento, ma resterebbero appunto solo opinioni, senza forza alcuna. 
Questa vicenda invece rappresenta un caso concreto che descrive in modo esemplare i molti difetti del sistema sindacale.


Fino a pochi mesi fa lavoravo, nella Qualità, per una azienda metalmeccanica della provincia di varese, laYanmar Italy Spa (YI), azienda produttrice di motori diesel industriali, con circa 150 dipendenti (quasi 200 a fine 2007), appartenente ad una multinazionale giapponese.
Fino ad allora non mi ero mai interessato di questioni sindacali ma lavorando in quella azienda mi sono presto fatto l'opinione che ci fosse un “problema di rappresentanza” relativo a molti argomenti : rappresentanza degli interessi dei lavoratori, diritto d'informazione, contrattazione.
Sui problemi di contrattazione la questione era abbastanza evidente e molto semplice a dirsi: 
basse retribuzioni.
Se il compito del sindacato è quello di cercare di ottenere per i lavoratori le migliori condizioni contrattuali e lavorative possibili in Yanmar questo obiettivo era ben lontano dall'essere raggiunto; basterebbe confrontare le retribuzione di YI con quelle di “mercato”, fornite queste ultime dai dati dell'INPS (pubblici e consultabili) sulle retribuzioni (reali, non contrattuali) nelle imprese: 
nel 2007, la retribuzione media di un operaio in YI era di 20.336 euro; 
a livello nazionale, nello stesso anno e nella stessa classe di dimensione aziendale era di 22.227 euro, quasi 1900 euro in più; 
sempre a livello nazionale, nella stessa classe dimensionale e nello stesso settore di YI, 23.409 euro, oltre 3 mila euro in più;
nelle imprese meccaniche in generale in provincia di Varese 23.607 euro .
Certo, le cause di queste differenze retributive possono essere ascrivibili a molteplici fattori, gestionali, organizzativi, di mercato, e purtroppo non è semplice riconoscere la causa principale. 
Mi limito quindi a descrivere la situazione per quella che era nel 2007, prima della crisi, quando gli ordini e la produzione andavano a gonfie vele.
Poi appunto è arrivata la crisi.
Ma già all'inizio del 2008, ancor prima che la crisi facesse sentire i suoi effetti sugli ordini, la Yanmar aveva deciso di spostare la produzione dei motori per il mercato asiatico in Giappone (o forse anche in Cina); scelta strategica che per YI ha voluto dire perdere il 20% della produzione annua; con l’ulteriore calo degli ordini dei mesi successivi la produzione si è poi ridotta fino al 50%, con conseguente e “inevitabile” esubero di personale.
In questo periodo, la Direzione ha deciso di affidare la gestione di tutte le relazioni industriali ad un procuratore esterno, consulente del lavoro ed ex dirigente dell’ UNIVA (Unione Industriale di Varese).
L'azienda ha innanzitutto tagliato tutto il personale “interinale” (quasi un 20% del totale- principalmente operai), poi ha aperto la mobilità per un'altra decina di lavoratori.

Nel 2009 ha poi utilizzato la CIGO per tutta la produzione (produzione ferma per circa una settimana su quattro).
Provvedimenti e scelte identiche a quelle adottate da migliaia di aziende negli ultimi anni purtroppo.
In questa situazione, ritenevo che i sindacati presenti in azienda non rappresentassero adeguatamente i miei interessi; purtroppo, come lei ben sa, il singolo lavoratore non può rappresentare sé stesso e i propri interessi di fronte all'azienda: tutto deve passare attraverso un sindacato o attraverso la Rappresentanza Sindacale Unitaria (RSU).
Nell'aprile del 2010 si sarebbe dovuti andare al rinnovo di questa RSU, e decisi di provare ad entrarvi.

Un tempo ogni singolo lavoratore poteva far parte di questa rappresentanza liberamente e autonomamente: i lavoratori sceglievano liberamente chi tra di loro era degno di fiducia e ritenuto capace di poter rappresentare gli interessi di tutti. Oggi non è più così, bisogna far parte di un sindacato, firmatario di accordi (dal '93, contratto nazionale). In pratica, la RSU rappresenta prima di tutto i sindacati all'interno delle aziende, piuttosto che i lavoratori di fronte all'azienda.
Per questi motivi, decisi di rivolgermi ad un sindacato esterno che avrebbe potuto formare RSU, per portare in azienda qualche “energia fresca”; scelsi il Sindacato Padano, condividendo le loro idee sui contratti territoriali (pur essendo favorevole ai contratti aziendali, ritengo, come accennato, che le regole della rappresentanza nelle aziende tutelino più gli interessi dei sindacati che quelli dei lavoratori, quindi ritengo il passaggio alla contrattazione aziendale “pericoloso” o comunque problematico).
L' “attività sindacale” vera e propria col SinPa iniziò con una “Lettera al Presidente di Yanmar Italy”, in cui si segnalavano alcune problematiche sulla “gestione della crisi”; l'azienda non rispose in alcun modo, ma quella lettera creò comunque molta agitazione in azienda, soprattutto tra i sindacati.

Dopo l'estate, la nostra attività proseguì con un nuovo volantino in cui si sintetizzavano i problemi già ricordati, sottolineando la scarsa azione dei sindacati.
Visto che queste iniziative non portarono nessun cambiamento, proposi una petizione per far decadere la RSU e andare a nuove elezioni – come previsto degli accordi del '93.
Tale petizione venne firmata dalla maggioranza dei dipendenti di YI, ma completamente ignorata dai sindacati.

Durante le vacanze natalizie di quell'anno ricevetti una raccomandata da parte dall'azienda che mi comunicava che dall'11 gennaio 2010 sarei stato messo in CIGO continuata (quindi senza rotazione) fino alla fine del mese, insieme ad una quindicina di altri miei colleghi; CIG poi prolungata diverse volte fino al 12 aprile come Cassa Integrazione Ordinaria e poi trasformata in Straordinaria per altri 12 mesi (in totale quindi avrei dovuto rimanere in CIG per 15 mesi), cassa integrazione effettuata sempre senza alcuna rotazione, che come lei sa bene è obbligatoria per legge.
Il Sinpa, in risposta a questa scelta inviò una lettera alla Direzione provinciale del Lavoro denunciando la mancata rotazione tra i lavoratori coinvolti dalla CIG.
Nel frattempo, continuai a richiedere ai sindacati che si rispettassero le regole per le elezioni della Rsu, che dovevano essere indette tre mesi prima della scadenza; anche in questo caso senza alcun risultato.

Ad aprile, l'azienda decise, come detto, di aprire la Cassa Integrazione Straordinaria; al tavolo dell'accordo, ovviamente, sedeva ancora la vecchia Rsu, scaduta e già “sfiduciata” dagli stessi lavoratori; nell'accordo firmato dalla RSU e dai sindacati era prevista l'applicazione della rotazione (già prevista per legge), ma quella rotazione non fu mai applicata.
E di elezioni non si parlò più per un bel po'.

Verso la fine di maggio l'azienda mi informava che non ero più autorizzato ad entrare in azienda (fino allora mi recavo in azienda per ritirare regolarmente e senza alcun problema le mie buste paga). 
Pochi giorni dopo, venivano indette le elezioni per l'Rsu.
Naturalmente provai a chiedere l'autorizzazione ad entrare in azienda per organizzare la lista e fare “campagna elettorale”, senza ricevere alcuna risposta.
Ovviamente, dai sindacati nessuna obiezione.
Nonostante ciò, grazie all'aiuto di qualche altro simpatizzante del Sinpa, sono riuscito a presentare comunque una lista, ma con me come unico candidato (ho cercato altri candidati vicini alle nostre posizioni contattandoli direttamente, ma tutti declinarono l'invito dicendomi molto chiaramente che “non volevano fare la mia stessa fine”).

Ottenni un buon numero di voti, ma non sufficienti per entrare [per le elezioni a RSU contano i voti di lista, non quelli individuali, n.d.r.]. 
Visto il comportamento dell'azienda, decisi di fare ricorso , come previsto dai regolamenti decisi dai vostri sindacati. La commissione elettorale aziendale decise di accettare il mio ricorso con due voti favorevoli (Fim e SinPa) e uno contrario (Fiom), quindi le elezioni dovevano essere rifatte, e questa volta con una "campagna elettorale" regolare.
Dopo, da quanto mi fu riferito, il verbale con la decisione della Commissione venne consegnato al responsabile del personale di YI – figlio di un dirigente Fiom provinciale – e sparì.
Una precisazione: perché faccio riferimento a tale parentela?  Ognuno ovviamente è libero di far il lavoro che preferisce, e ogni azienda è libera di assumere chi crede e per i motivi che vuole, ma il conflitto d'interesse può esistere anche per i sindacati e per chi ha rapporti con essi; la migliore soluzione, in questi casi, è dimostrarsi sempre completamente autonomi e al di sopra delle parti, non crede anche lei?

Saputo della decisione della commissione e che il verbale “non si sapeva dove fosse”, decisi di appellarmi al Comitato dei Garanti facendo richiesta in Direzione Provinciale del Lavoro, come prevedono sempre i regolamenti.
Il comitato dei garanti (formato da rappresentanti dei sindacati e delle associazioni di categoria) non accettò il mio ricorso, anche in ragione del verbale mancante.
A fine agosto mi contattò il funzionario sindacale della Fiom che seguiva i problemi di YI offrendomi il suo aiuto per cercare di risolvere la mia situazione; ovviamente dovevo iscrivermi alla Fiom; rifiutai l'offerta, rispondendo che se la Fiom poteva fare qualcosa per me evidentemente poteva farlo anche la RSU.Qualche giorno dopo infatti inviai una lettera ai nuovi Rsu per sollecitarli a far attuare la rotazione che avevano assicurato (nell'accordo di aprile e in assemblea) per i dipendenti rimasti in Cigs, senza successo. E restai in cassa integrazione.
Ad ottobre venni contattato dall'azienda per un incontro per “chiarire la mia posizione”;
In quell'occasione mi proposero di rientrare in azienda, ma come operaio sulla linea produttiva, con un nuovo contratto che evitasse loro qualsiasi ulteriore problema legale; rifiutai sapendo che comunque, visti i precedenti, non avevano certo bisogno del mio “permesso” per fare quello che volevano.
A novembre l'azienda mi richiamò al lavoro, mettendomi in linea assemblaggio, come “offerto” nell'incontro precedente.

Sono rientrato in azienda, lavorando in produzione come operaio fino a fine marzo; 
Nel frattempo avevo cominciato a risentire dello stress psico-fisico determinato da questa vicenda; consultai un neurologo il quale mi diagnosticò una crisi depressiva e mi prescrisse quindi alcune cure.

Tramite un legale ho avviato un causa per mobbing, ma nel frattempo l'azienda mi aveva già licenziato.
A settembre 2011, ho concluso un accordo con l'azienda per chiudere la vicenda, andandomene.
E così, mi sono trovato disoccupato.

Il lavoro se non lo trovo me lo creerò io, non è questo il problema; anzi, le dirò, non ho più nessuna voglia di tornare a fare il lavoratore dipendente, visto che non posso essere padrone del mio lavoro.

Ovviamente non è dimostrabile che i comportamenti scorretti e discriminatori adottati da YI siano stati operati con il consenso e addirittura l'accordo con i sindacati, ma è indubbio che i sindacati non abbiano fatto nulla per impedirli, avvantaggiandosene.


Questa vicenda, come può capire, è stata per me comunque molto istruttiva: ho compreso che i cosiddetti “diritti dei lavoratori” di cui vi riempite tanto la bocca voi sindacalisti esistono solo se si ha la “tessera giusta”;


Ho capito che l'attuale sistema sindacale limita l'autonomia e la libertà del singolo lavoratore;
Ho capito che l'attuale sistema sindacale non è rappresentativo degli interessi di tutti i lavoratori;
Ho capito che l'attuale sistema sindacale è senza regole;

Si dirà, come spesso si fa: “il sindacato tutela il singolo che altrimenti avrebbe scarso potere contrattuale”. 
L'esistenza di un trust dei lavoratori è la conseguenza dell'esistenza di un trust delle imprese, e viceversa; la risposta è in una politica antitrust, non nel concedere ancora maggior potere a questi cartelli.
Il maggior potere contrattuale per il lavoratore si ottiene con lo sviluppo di un mercato più libero, trasparente, efficiente, non con icartelli.


Occorrerebbe valutare, oggettivamente, a quali risultati ha portato questa maggior “tutela”, e quanto invece è costata e costerà, specie alle nuove generazioni.
Oggi, rispetto a molti paesi industrializzati quali Francia, Germania, Gran Bretagna, Stati Uniti, Giappone, etc, in Italia possiamo solo rilevare questi fatti:

- minor partecipazione al mercato del lavoro
- minor occupazione
- retribuzioni più basse
- un'economia che stenta a stare al passo dei suoi concorrenti.

In base a che cosa poi vi arrogate il diritto di rappresentare tutti i lavoratori?
Anche guardando ai numeri ufficiosi, Cgil, Cisl e Uil possiedono circa undici milioni di tesserati e la metà di questi sono pensionati; i principali sindacati quindi rappresentano solo un terzo circa dei lavoratori dipendenti; addirittura solo un quarto dei dipendenti del settore privato (dato l'alto tasso di sindacalizzazione nel pubblico).

Eppure, nonostante questa limitata rappresentatività, i sindacati decidono tutto per tutti.
Questo vuol dire una sola cosa: il trasferimento di diritti dal singolo ai sindacati, senza mandato diretto, e solo sulla base della propria forza politica.

La cosa più grave di questa situazione è che i sindacati agiscono completamente extra legem, da sempre: loro fanno gli accordi, decidono le regole, e si auto-giudicano quando non le rispettano, senza alcun controllo, senza doverne rispondere a nessuno, senza nessun soggetto terzo che garantisca la correttezza del loro operato, come la vicenda che le ho raccontato testimonia bene.
Questo delle regole è un problema che viene da molto lontano, addirittura dal sistema corporativo che formava il mercato del lavoro ed economico del periodo fascista; 
Questo sistema corporativo era stato inquadrato nel codice civile del '42. 
Ereditandolo, la nuova Repubblica ha semplicemente abrogato tutte le parti relative ai contratti corporativi, ma senza dare una riformulazione organica al sistema, nel quadro di regole eque e democratiche.

Ci aveva pensato la Costituzione ad indicare la strada da seguire, in particolare con l' art. 39;
ma l'art . 39 non è mai stato attuato e la “questione delle regole” per i sindacati è stata dimenticata.

Alla fine si è preso atto di quella che era ormai una situazione di fatto, costruitasi negli anni, nella prassi delle relazioni industriali e giurisprudenziale, confermando il “potere” che i sindacati si erano presi, ma rinunciando definitivamente a fornire regole al sistema sindacale.
Così, al sistema corporativo di epoca fascista si è sostituito un sistema corporativo-sindacale ben peggiore; peggiore sì, perché spesso conflittuale e irresponsabile, ma comunque corporativo perché rispondente ad interessi particolari e protezionistici.

Quando due forze si contrappongono, il sistema resta immobile; così è successo al nostro paese; così continua anche oggi che la conflittualità del passato sembra in parte diminuita.
Non è questione di forza, ma di quali e quante forze sono in gioco.
Solo la libertà del singolo può dare la giusta direzione ad un mercato.


Cordialmente

Michele Liati


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