AFFINITÀ
Marco Travaglio e i procuratori amici
Dal «nume» Caselli al pool di Mani pulite e Ingroia. I pm vicini al giornalista. E su Grasso, ancora scintille con Formigli.
di Giovanni Florio
Travaglio e i magistrati: un rapporto d’amore ma travagliato. Spesso, l’ex cronista di giudiziaria torinese, li supera in ortodossia legalitaria. Chi non si mostra duro e puro, o magari è scettico sulle evidenti trattative tra Stato e mafia, viene bollato come collaborazionista del regime.
«La magistratura sembra molto più pavida rispetto al ’92», ha scritto Travaglio, mettendo un paletto eroico nella storia della giustizia italiana: Tangentopoli. Così che distingueremo le toghe in due correnti: travagliesche e non.
«La magistratura sembra molto più pavida rispetto al ’92», ha scritto Travaglio, mettendo un paletto eroico nella storia della giustizia italiana: Tangentopoli. Così che distingueremo le toghe in due correnti: travagliesche e non.
I rapporti con l'ex pool di Mani pulite
Tra i primi, quelli col marchio di qualità di Travaglio, ci sono ovviamente gli amici storici suoi. E quindi Antonio Di Pietro, eroe di Mani pulite e suo amico personale, Piercamillo Davigo («una delle punte di diamante del pool»), Gerardo D'Ambrosio procuratore aggiunto a Milano.
CASELLI, «NUME GIUDIZIARIO». E poi quelli della sua Torino, dove ha mosso i primi passi giornalistici. Qui troviamo il suo nume giudiziario, il piemontese Gian Carlo Caselli, presidente della Prima Sezione della Corte di Assise di Torino nei primi Anni 90, gli anni ruggenti del giustizialismo anti Prima Repubblica, dove Travaglio si fece le ossa.
L'AMICIZIA CON MADDALENA. È poi ottimo anche il rapporto con Marcello Maddalena procuratore generale presso la Corte di Appello di Torino. Che ritroviamo come prefattore insieme con Davigo e ovviamente con Travaglio come coautore in un libro che è un po’ il manifesto della magistratura travagliata, Meno grazia, più giustizia (Ed. Donzelli).
In effetti Maddalena, come Travaglio, è stato un durissimo oppositore dell’indulto del governo Prodi. I condannati si lasciano in carcere, e che diamine.
L'ARRIVO A REPUBBLICA. Il Travaglio amico di Caselli e Maddalena a Torino è quello che poi, dopo Il Giornale di Montanelli, passò a Repubblica, nel 1998, pare per un debito d’onore di Ezio Mauro. Quale? Si dice che Ezio Mauro avesse promesso a Travaglio, è la versione de Il Giornale, allora free lance a spasso da tre anni dopo la chiusura della Voce di Montanelli, un’assunzione a Repubblica. Aveva stima di quel cronista messosi in luce per i suoi ottimi agganci nella Procura torinese, per l’amicizia con i magistrati più importanti: Caselli e Marcello Maddalena.
Di mezzo c’era anche quel libro scritto nel 1997 su Cesare Romiti, Il processo, non proprio elogiativo.
LIBRI E ARTICOLI. «Questo, alla Stampa, non lo assumeranno mai», avrebbe detto l’allora neodirettore di Repubblica. Ecco quindi che Travaglio entrò nel giornale di Mauro come redattore ordinario, al minimo sindacale senza nemmeno contratto integrativo. Seguiva la giudiziaria e continuava il lavoro sui libri. E grazie a quelli ha fatto il salto di qualità.
CASELLI, «NUME GIUDIZIARIO». E poi quelli della sua Torino, dove ha mosso i primi passi giornalistici. Qui troviamo il suo nume giudiziario, il piemontese Gian Carlo Caselli, presidente della Prima Sezione della Corte di Assise di Torino nei primi Anni 90, gli anni ruggenti del giustizialismo anti Prima Repubblica, dove Travaglio si fece le ossa.
L'AMICIZIA CON MADDALENA. È poi ottimo anche il rapporto con Marcello Maddalena procuratore generale presso la Corte di Appello di Torino. Che ritroviamo come prefattore insieme con Davigo e ovviamente con Travaglio come coautore in un libro che è un po’ il manifesto della magistratura travagliata, Meno grazia, più giustizia (Ed. Donzelli).
In effetti Maddalena, come Travaglio, è stato un durissimo oppositore dell’indulto del governo Prodi. I condannati si lasciano in carcere, e che diamine.
L'ARRIVO A REPUBBLICA. Il Travaglio amico di Caselli e Maddalena a Torino è quello che poi, dopo Il Giornale di Montanelli, passò a Repubblica, nel 1998, pare per un debito d’onore di Ezio Mauro. Quale? Si dice che Ezio Mauro avesse promesso a Travaglio, è la versione de Il Giornale, allora free lance a spasso da tre anni dopo la chiusura della Voce di Montanelli, un’assunzione a Repubblica. Aveva stima di quel cronista messosi in luce per i suoi ottimi agganci nella Procura torinese, per l’amicizia con i magistrati più importanti: Caselli e Marcello Maddalena.
Di mezzo c’era anche quel libro scritto nel 1997 su Cesare Romiti, Il processo, non proprio elogiativo.
LIBRI E ARTICOLI. «Questo, alla Stampa, non lo assumeranno mai», avrebbe detto l’allora neodirettore di Repubblica. Ecco quindi che Travaglio entrò nel giornale di Mauro come redattore ordinario, al minimo sindacale senza nemmeno contratto integrativo. Seguiva la giudiziaria e continuava il lavoro sui libri. E grazie a quelli ha fatto il salto di qualità.
Il feeling con Antonio Ingroia
Nuovi (pm) amici e nuovi (magistrati) nemici. Tra i primi c’è Antonio Ingroia, con cui divide l’ombrellone al mare e mica solo quello. Guai a chi tocca Ingroia, che Travaglio ha pure votato (voto disgiunto, Grillo a una Camera e Ingroia all’altra).
L'AFFONDO A GRASSO. Condividono la religione della «trattativa segreta», per cui Napolitano è un insabbiatore, Mancino un colluso, e ogni magistrato che non assecondi Ingroia un mezzo infame. Come per l’appunto l’ex procuratore antimafiaPietro Grasso, sfidato a duello in tivù.
IL GELO CON BOCCASSINI. Anche Ilda Bocassini, per quanto in linea con Travaglio sull’argomento Berlusconi, è finita sotto il fuoco del giornalista. Quando? Quando ha attaccato Ingroia per essersi paragonato a Giovanni Falcone («Come ha potuto Ingroia paragonare la sua piccola figura di magistrato a quella di Giovanni Falcone? Tra loro esiste una distanza misurabile in anni luce. Si vergogni»). Travaglio le ha assestato un gancio: «La Boccassini dovrebbe scusarsi con lui (Ingroia, ndr) per gli insulti, oltre a interferire con la campagna elettorale, si fondano su un dato falso».
DALLA PARTE DI WOODCOCK. Travaglio si è schierato anche a difesa di Henry John Woodcock, lo zelante pm di Napoli autore di diverse inchieste con politici nel mirino.
Non ne azzecca una Woodcock? Balla spaziale, risponde Travaglio: «Woodcock ha fatto condannare in vari gradi, fra gli altri, il cancelliere del Tribunale di Potenza che intascava tangenti; il direttore e il presidente del collegio sindacale Inail, entrambi corrotti, che hanno risarcito milioni di euro; l’ambasciatore Vattani e il portavoce finiano Sottile per peculato» e via elencando altri successi.
Anche Luigi De Magistris era nel Pantheon di Travaglio, prima che facesse il sindaco di Napoli.
LO SCONTRO CON MAGISTRATURA DEMOCRATICA. Sempre su Ingroia, Travaglio si è scontrato con Magistratura democratica, la corrente di sinistra delle toghe, dopo un comunicato in cui bacchettava (sempre sulla vicenda Stato-mafia) il complottismo del pm palermitano, prontamente difeso - contro Md - proprio da Marco il giustiziere del mattino.
«A Marco, datte ‘na calmata”», dice una procuratrice aggiunta di Modena, esponente di Md. «Questa è la goccia che mi ha fatto traboccare il travaglio».
NO ALLE TOGHE MEDIATICHE. E un altro spiega la differenza con la magistratura secondo Travaglio: «Non ripetiamo, ossessivi, come i miei amici fan de Il Fatto, che il problema dell’Italia è la “giustizia” (intesa come carcere per i manigoldi) ma che il problema, nell’Italia di oggi, sia la giustizia sociale. Insomma, non invochiamo più pena ma, al più, più pane. Riteniamo che il magistrato abbia diritto di parola e di essere un attore della società italiana. Ma non che debba lamentarsi in televisione per i torti subiti, debba cercare l’applauso per il lavoro fatto, inseguire sulla ribalta mediatica (più o meno ampia, più o meno consciamente) i risultati che dovranno arrivare in sede processuale».
L'AFFONDO A GRASSO. Condividono la religione della «trattativa segreta», per cui Napolitano è un insabbiatore, Mancino un colluso, e ogni magistrato che non assecondi Ingroia un mezzo infame. Come per l’appunto l’ex procuratore antimafiaPietro Grasso, sfidato a duello in tivù.
IL GELO CON BOCCASSINI. Anche Ilda Bocassini, per quanto in linea con Travaglio sull’argomento Berlusconi, è finita sotto il fuoco del giornalista. Quando? Quando ha attaccato Ingroia per essersi paragonato a Giovanni Falcone («Come ha potuto Ingroia paragonare la sua piccola figura di magistrato a quella di Giovanni Falcone? Tra loro esiste una distanza misurabile in anni luce. Si vergogni»). Travaglio le ha assestato un gancio: «La Boccassini dovrebbe scusarsi con lui (Ingroia, ndr) per gli insulti, oltre a interferire con la campagna elettorale, si fondano su un dato falso».
DALLA PARTE DI WOODCOCK. Travaglio si è schierato anche a difesa di Henry John Woodcock, lo zelante pm di Napoli autore di diverse inchieste con politici nel mirino.
Non ne azzecca una Woodcock? Balla spaziale, risponde Travaglio: «Woodcock ha fatto condannare in vari gradi, fra gli altri, il cancelliere del Tribunale di Potenza che intascava tangenti; il direttore e il presidente del collegio sindacale Inail, entrambi corrotti, che hanno risarcito milioni di euro; l’ambasciatore Vattani e il portavoce finiano Sottile per peculato» e via elencando altri successi.
Anche Luigi De Magistris era nel Pantheon di Travaglio, prima che facesse il sindaco di Napoli.
LO SCONTRO CON MAGISTRATURA DEMOCRATICA. Sempre su Ingroia, Travaglio si è scontrato con Magistratura democratica, la corrente di sinistra delle toghe, dopo un comunicato in cui bacchettava (sempre sulla vicenda Stato-mafia) il complottismo del pm palermitano, prontamente difeso - contro Md - proprio da Marco il giustiziere del mattino.
«A Marco, datte ‘na calmata”», dice una procuratrice aggiunta di Modena, esponente di Md. «Questa è la goccia che mi ha fatto traboccare il travaglio».
NO ALLE TOGHE MEDIATICHE. E un altro spiega la differenza con la magistratura secondo Travaglio: «Non ripetiamo, ossessivi, come i miei amici fan de Il Fatto, che il problema dell’Italia è la “giustizia” (intesa come carcere per i manigoldi) ma che il problema, nell’Italia di oggi, sia la giustizia sociale. Insomma, non invochiamo più pena ma, al più, più pane. Riteniamo che il magistrato abbia diritto di parola e di essere un attore della società italiana. Ma non che debba lamentarsi in televisione per i torti subiti, debba cercare l’applauso per il lavoro fatto, inseguire sulla ribalta mediatica (più o meno ampia, più o meno consciamente) i risultati che dovranno arrivare in sede processuale».
Lunedì, 25 Marzo 2013
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