mercoledì 27 marzo 2013

Andiamo al voto. Con gente così non si ragiona. Mandiamoli a casa.


Se non c'è maggioranza seria, al voto subito. Di elezioni-non-fatte è morta la Seconda repubblica

Pubblicato: 27/03/2013 17:38

Le sirene della stabilità hanno ripreso a cantare: governo comunque, governo a tutti i costi, governo in ogni caso. In nome dell'interesse nazionale.
Ma siamo davvero sicuri che l'interesse nazionale sia servito al meglio da un governo comunque? Prima che Bersani salga al Quirinale, in condizioni in cui è evidente che non ha nessuna maggioranza, è meglio chiarirci su questa domanda.
Ma se la sua soluzione dipende da un patchwork di voti di gruppi non omogenei fra loro (Lega, Monti, fuoriusciti vari?), da manovre parlamentari (il Pdl che esce dall'aula per abbassare il quorum?) o, ancora peggio, da trattative non trasparenti sul futuro capo dello stato (non voglio prendere nemmeno in considerazione alchimie intorno alla conferma dell'attuale capo dello stato che è persona troppo seria per tali trame), pensiamo davvero che i cittadini e il resto del mondo potrebbero sentirsi rassicurati da questi castelli di carta? Meglio il voto subito.
Meglio tornare subito alle urne che infilarsi in un governo debole. Per quanto pericoloso, e incerto, sia un nuovo voto, sarebbe almeno da parte della classe dirigente una presa d'atto della profondità della crisi, nonché un atto di fiducia nei cittadini.
Una delle ragioni che si può portare a favore di questa posizione è che di elezioni-non-fatte è morta la Seconda Repubblica.
I governi messi insieme alla meglio, gli esperimenti politici audaci, sul filo delle regole, in nome "della stabilità" del paese sono stati una vera e propria malattia di questo ultimo ventennio. Una malattia di cui, purtroppo, è stata più affetta il centrosinistra di ogni altra forza - e anche questo è un elemento su cui ragionare in queste ore.
Con risultati sempre peggiorativi: a ogni "pasticcio" cucinato per Palazzo Chigi ha sempre fatto seguito solo un ulteriore avvitamento del sistema.
Ricorderei qui il primo caso di questa febbre istituzionale, il "ribaltone" Dini con cui nel 1994 il centro sinistra ci si liberò di Silvio Berlusconi senza incorrere nel pericolo di sfidarlo di nuovo nelle piazze. Il governo tecnico raffreddò per un po' il sistema, e diede modo alla sinistra di vincere la sfida elettorale successiva, nel 1996. Ma solo in apparenza. L'operazione Dini infatti rafforzò definitivamente Silvio Berlusconi, confermando presso una buona parte dell'elettorato italiano la natura infida della sinistra e lo status di vittima della stessa del Cavaliere.
Il governo del ribaltone non portò tuttavia fortuna nemmeno al centro sinistra la cui vittoria venne piagata da manovre di palazzo fin dall'inizio. Non a caso a soli due anni dal suo insediamento cadeva Romano Prodi, e ci si dovette porre di nuovo la domanda: tornare o meno al voto. Si decise di no, per il solito richiamo alla responsabilità (rinforzato allora dal conflitto in corso nei Balcani), e D'Alema andò a Palazzo Chigi. Ma lui stesso senza la stabilità necessaria che un voto popolare gli avrebbe assicurato. Un errore gravissimo che come tale D'Alema ha riconosciuto nel suo recente libro intervista con Peppino Caldarola. La decisione di non tornare alle urne avviò un lungo periodo di tensioni dentro e fuori il governo di centro sinistra, che infatti cambiò altri due governi in tre anni, tutti espressione di accordi di Palazzo. Contribuendo non poco a formare quella immagine di Casta che ha perseguitato da allora le elite politiche.
La scelta tra votare o meno si è ripresentata ancora per il secondo governo Prodi che vinse di poco nel 2006 e durò solo 722 giorni. Governo brevissimo, che servì a ridare a Berlusconi una maggioranza schiacciante nelle urne, nel 2008.
Salvo dover anche lui uscire da Palazzo Chigi anticipatamente sotto il giogo di una crisi senza precedenti. Le sirene della responsabilità alla sua uscita intonarono subito il canto "governo, governo", per dare affidabilità all'Italia di fronte alle istituzioni internazionali. E invece delle elezioni arrivò un ennesimo governo senza voto, sul filo delle regole - il governo tecnico affidato a Mario Monti. Anche questo è durato poco, non ha risolto quasi nulla, e, come le urne hanno dimostrato poche settimane fa, sembra essere servito solo a deprimere il paese, frazionare il voto, e incarognire ulteriormente l'umore nazionale.
Nella breve storia di venti anni, c'è scritto insomma una lezione su cui meditare. Non sappiamo se a ognuna di queste congiunture andare alle elezioni avrebbe dato migliore soluzione ai problemi, ma possiamo dire con certezza che ogni governo nato senza maggioranze numeriche e politiche sicure ha peggiorato le condizioni iniziali di crisi.
In questo senso si deve riformulare oggi l'idea di responsabilità. Essere responsabili oggi significa rifiutare l'ennesimo governo debole, l'ennesimo prodotto di alchimie parlamentari e politiche.
Bersani incontra i grillini
1 di 7

Nessun commento:

dipocheparole     venerdì 27 ottobre 2017 20:42  82 Facebook Twitter Google Filippo Nogarin indagato e...