sabato 21 novembre 2015

Comunque la pensiate l'intervista al generale Angioni fa capire molte cose.

Isis, il generale Angioni: "Creato da Usa e Arabia. Ecco come si sconfigge"

INTERVISTA/ Il generale Franco Angioni, già comandante del contingente italiano nella missione di pace "Libano 2", spiega in un'intervista ad Affaritaliani.it la genesi dell'Isis e il modo in cui può essere sconfitto

angioni
di Lorenzo Lamperti
twitter11@LorenzoLamperti
Il generale Franco Angioni, già comandante del contingente italiano nella missione di pace "Libano 2", spiega in un'intervista adAffaritaliani.it la genesi dell'Isis e il modo in cui può essere sconfitto.
Generale Angioni, subito dopo gli attacchi a Parigi la Francia ha intensificato i bombardamenti sulla Siria. E' questa la risposta giusta da dare nella lotta all'Isis?
C'è una risposta di carattere politico e una risposta di carattere concreto. Intensificare i bombardamenti serve dal punto di vista politico, perché dimostra che un certo numero di nazioni hanno deciso di contrastare l'azione dello Stato islamico con decisione. E' una manifestazione di forza. Ma dal punto di vista concreto la resa è modesta. Contro un obiettivo come l'Isis i bombardamenti hanno un'efficacia non risolutiva. L'azione aerea è un'opzione valida quando si devono attaccare depositi, infrastrutture o campi di addestramento. Ma contro formazioni di militari e di combattenti ha una resa modesta in rapporto al costo. In sintesi: Hollande ha fatto bene a dimostrare di non essere inerme di fronte a queste azioni indegne, però dal punto di vista concreto i bombardamenti servono davvero a poco.
Serve un intervento militare via terra?
Dipende dalla determinazione e dagli obiettivi che ci prefiggiamo. Se i paesi che hanno manifestato la loro indignazione contro le operazioni che l'Isis sta conducendo da almeno due anni a questa parte si rendono conto di dover attaccare allora lo si faccia. Quello che è certo è che se si decide di intervenire via terra serve un coordinamento chiaro e soprattutto deve essere una soluzione politica scelta non da pochi ma da molti, se non proprio da tutti.
Il coordinamento potrebbe essere affidato alla Russia?
Vedo difficile l'assegnazione di una leadership precisa in una situazione come questa. Non credo ci sia bisogno di nominare un leader, ma è necessario seguire le strade dell'azione democratica e unitaria. DI certo la soluzione bisogna trovarla. Devono sedersi tutti intorno a un tavolo, stabilire un'alleanza e prendere delle decisioni. Non solo la Russia, anche gli Usa devono essere coinvolti nonostante Obama per la parte finale del suo mandato non credo voglia invischiarsi in una nuova guerra. Ma le decisioni si possono sempre cambiare.

Sulla proliferazione dell'Isis ci sono responsabilità occidentali?
Ci sono grosse responsabilità da parte occidentale. Intanto sulla nascita. L'Isis non nasce per eterogenesi ma perché in Iraq una comunità consistente che aveva dimostrato di essere capace di guidare il paese è stata estromessa e al suo posto è stata imposta una guida sciita che ha invece dimostrato di non essere in grado di farlo, di essere corrotta e non capace di inserirsi nel contesto internazionale. Di conseguenza la comunità sunnita, sostenuta dall'Arabia Saudita, si è riorganizzata e ha rimesso in linea delle forze esistenti come quelle armate irachene. Così è nato l'Isis, che piano piano ha preso forma e potere per l'incapacità di chi governava l'Iraq. L'Isis ha raccolto i consensi di chi si sentiva umiliato. Così si è formato questo Stato islamico che ha dimostrato di poter contare su importanti appoggi finanziari, fino a che l'Arabia Saudita non si è rivoltata contro la sua creatura.
Sul fronte interno dobbiamo essere pronti a qualche limitazione delle libertà personali?
In Europa non siamo predisposti ai periodi di emergenza ma dobbiamo abituarci in fretta perché l'Isis ha dimostrato di poter produrre gravi danni. E' necessario accettare le regole in maniera disciplinata. Non possiamo restare estranei alla necessità di salvaguardare il nostro territorio, pur mantenendo la nostra libertà personale.

Quanto rischia l'Italia?
Credo che, senza illudersi, noi italiani siamo in una condizione privilegiata rispetto ad altri paesi come la Francia e il Regno Unito. Queste forze hanno dimostrato di essere capaci di coagularsi e di passare all'azione ma sono per lo più composte da cittadini locali. Abbiamo visto che gli autori materiali degli attacchi recenti sono quasi sempre francesi o belgi. Queste nazioni pagano lo scotto di un colonialismo fatto a mano bassa e al termine del quale sono state costrette a dare la nazionalità ai sudditi dell'impero. Ci sono così intere comunità legalmente nel loro territorio ma senza nessuna amalgama col resto del paese. E' chiaro che l'integrazione ha fallito. Le seconde o terze generazioni non si sono integrate o non vogliono essere integrate. L'Italia per fortuna non è in questa condizione. Noi abbiamo avuto un terrorismo interno e nazionale che ci ha insegnato che il terrorismo ha facoltà di scegliere dove e quando attaccare ma deve essere preparato e non può essere un corpo estraneo nel territorio in cui si muove. In Francia ci sono sei milioni di persone dal bacino etnico non francese che si muovono con disinvoltura nel tessuto cittadino francese. Qui in Italia la situazione è diversa ma non significa che dobbiamo abbassare la guardia.

La chiusura delle frontiere può essere una soluzione?
In caso di evidente allarme sì, ma per il momento non mi sembra il caso anche perché quei profughi che attraversano i confini tra Slovenia, Ungheria e Serbia sono disperati che cercano di fuggire dalla guerra. Certo, bisogna controllare, identificare e schedare i profughi che arrivano a Lampedusa ma è difficile pensare che un profugo che non parla la lingua e non conosce il luogo possa essere coinvolto in un'azione di questo tipo. Le organizzazioni terroristiche hanno altri modi per far entrare i militanti nei paesi che vogliono colpire.

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