lunedì 16 novembre 2015

Ottimo contributo da leggere per capire con non reagire di pancia nei confronti di questi assassini e criminali dell'ISIS.

Gli xenofobi italiani continuano a fare il gioco degli estremisti

novembre 14, 2015
News Editor

Nelle strade di Parigi dopo l'attentato. Foto di Etienne Rouillon/VICE News.
Come immagino che stia facendo chiunque, da ieri sera sono attaccato a computer, televisione e smartphone per cercare di capire cosa sia successo a Parigi, che per qualche ora si è trasformata in uno scenario di guerra con esplosioni e assalti a colpi di kalashinokov.
E come per molti—insieme alla paura e allo sbigottimento—la sensazione principale è quella di trovarsi di fronte a un evento che cambierà per sempre il volto della storia europea e probabilmente mondiale, e che può incidere sulle vite quotidiane di ciascuno di noi più in un modo fino ad oggi impensabile.
Ma questa, appunto, è principalmente una reazione emotiva dettata dallo choc e dall'orrore di queste ultime ore, perché i puri dati di cronaca sono a dir poco caotici e confusi. Anzitutto, non c'è un bilancio definitivo delle vittime; le dinamiche degli attacchi sono ancora tutte da chiarire; e ancora non si sa praticamente nulla sull'identità degli attentatori e la loro affiliazione—l'ISIS ha rivendicato l'attacco ma, annotano gli esperti, è ancora troppo preso per dire se sia stato "ispirato" o "diretto" dallo Stato Islamico.
In questo immenso casino—che del resto contrassegna ogni grande evento, a maggior ragione se violento—alla confusione si sono aggiunte una serie di false notizie e un'ondata di disinformazione sparse sia dai media che dagli utenti sui social network, che non hanno fatto altro che aumentare il panico di una notte già di per sé terrificante.
I motivi di questo atteggiamento, come ha scritto Dave Lee sul sito della BBC, possono essere molteplici—ad esempio la ricerca spasmodica di attenzione, oppure il tentativo di spiegare il caos di un evento che sfugge alla comprensione del singolo. Forse, però, è anche e soprattutto una questione di istinto, visto che "le persone coinvolte in momenti del genere non sempre rimangono lucide, usano il buon senso o verificano le notizie."
Ecco, se trasposta nell'ambito della politica nostrana—a differenza, almeno nei primi momenti, di quella francese—questa frase mostra quanto la mancanza di lucidità abbia completamente preso il sopravvento sul dibattito italiano.
Già mentre le operazioni di polizia erano ancora in corso, ad esempio, Matteo Salvini ha inellato un'impressionante sequela di status sui social network, in un crescendo di inni alla guerra, "controlli a tappeto, blocchi ed espulsioni," chiusura delle frontiere, inviti a rendere "obbligatori" i libri di Oriana Fallaci "in tutte le scuole" ed equazioni di questo tenore.
Ovviamente, il segretario leghista è stato in ottima compagnia. Maurizio Gasparri, ad esempio, ha subito evocato l'immagine di bombardieri che si alzano in volo per "radere al suolo Isis entro 24 ore."
I tamburi di guerra hanno risuonato anche dal profilo di Giorgia Meloni, la quale—con alle spalle la Tour Eiffel—ha detto che "per difendere quella libertà e quella civiltà oggi l'Europa è chiamata a una guerra," e che il primo passo da compiere è dire basta all'"immigrazione musulmana," a quella "irregolare e clandestina" e, già che ci siamo, pure agli "sbarchi."
Giusto per non farsi mancare nulla, Daniela Santanché ha sentenziato che "L'islam festeggia i nostri morti."
Mentre il sempre posato Gianluca Buonanno se l'è presa con "i musulmani qui da noi" che "stanno zitti."
Tuttavia, l'apice più violento è stato raggiunto agevolmento dalla prima pagina di Libero—che tutti a questo punto abbiamo visto—e che quasi sicuramente rappresenta uno dei punti più infimi del giornalismo italiano.

Immagine via Twitter.
Nel cercare di difendersi dalla pioggia di critiche, il direttore Maurizio Belpietro ha anche azzardato una difesa che ha sfondato—se possibile—ogni residua barriera dell'imbarazzo.
Potrei andare avanti ancora per molto, ma credo che le affermazioni riportate qui sopra siano più che sufficiente per mostrare fino a dove possa spingersi una certa retorica, che mira scientemente a trasformare lo spaesamento generalizzato in una reazione rabbiosa, scomposta e fondamentalmente xenofoba.
Per giustificare politicamente—ed eticamente—il tutto, stamattina Salvini ha scritto che "il silenzio e la paura aiutano i terroristi." Ma a ben vedere, di silenzio non c'è stata veramente traccia fino ad adesso e non ci sarà mai di fronte ad un evento del genere. 
A questo proposito, uno dei commenti più lucidi e sensati che ho trovato in rete in queste ore è quello di Nader Atassi, un ricercatore politico di origine siriana. Nel suo profilo Facebook, Atassi ha scritto che l'obiettivo di attacchi del genere è quello di causareintenzionalmente una reazione xenofoba, nonché a portare alla convinzione che ci sia una guerra in corso tra Occidente e Islam. 
"Rinforzando le destre xenofobiche in Europa," scrive ancora Atassi, "i terroristi rinforzando al contempo la loro visione del mondo. E la più tragica ironia di tutto questo è che a pagarne le conseguenze possano essere anche i profughi che stanno scappando dal regno del terrore dell'ISIS."
Dopo la strage di Charlie Hebdole cui portata è spaventosamente minore rispetto a quanto successo ierilo scrittore americano Don DeLillo aveva detto che "oggi, e di nuovo, la narrativa globale appartiene ai terroristi."
Ed in effetti, questo tipo di reazioni non fanno altro che infilare tutti quanti nella narrativa che i terroristi vogliono imporrequella di un mondo in guerra, in bianco e nero, e di un'umanità alle soglie dell'Apocalisse, in cui è negata alla radice la possibilità della coesistenza.

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