Parigi, le ambigue condanne del mondo arabo
Arabia Saudita, Qatar e Kuwait condannano gli attacchi di Parigi. Ma in Siria continuano a sostenere i propri interessi.
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14 Novembre 2015
Il massacro di Parigi, sconvolta dai sette attacchi terroristici rivendicati dall'Isis, ha spinto i Paesi arabi a condannare la barbarie e la violenza.
Arabia Saudita, Kuwait e Qatar, alleati degli Stati Uniti e della Francia, hanno espresso tristezza e dolore, hanno denunciato la violazione di «tutte le etiche, le morali e le religioni».
Un cordoglio che, agli occhi di molti analisti, non è senza ambiguità. Da questi stessi Paesi, infatti, i militanti di al-Qaeda, al-Nusra e dello Stato islamico hanno ricevuto cospicue donazioni 'private', provenienti dal Golfo e transitate dal Kuwait.
E anche oggi che l'Isis è in grado autofinanziarsi (i proventi dalla vendita del petrolio ammontano a 500 milioni di dollari all'anno), le priorità strategiche e geopolitiche, nei territori che un tempo appartenevano alla Siria e all'Iraq, continuano ad essere differenti.
LA GUERRA TRA SCIITI E SUNNITI SULLO SFONDO. Se per l'Occidente la minaccia numero uno è rappresentata dall'Isis, per gli alleati arabi sunniti il primo nemico è l'Iran sciita, che punta a un ruolo egemonico nella regione. Al Baghdadi viene dopo. Così come sconfiggere il Califfato, per la Turchia, significherebbe rafforzare i curdi.
Fino a pochi mesi fa, persino il consulente strategico del governo americano Edward Luttwak, parlando con Lettera43.it, teorizzava la necessità di non combattere contro lo Stato islamico.
«Il regno dell'Arabia Saudita chiede da tempo di intensificare gli sforzi internazionali per contrastare la piaga del terrorismo in tutte le sue forme», ha detto il ministro degli Esteri saudita Adel al Jubeir all'indomani degli attacchi di Parigi.
Anche il Qatar ha condannato fermamente «questi orribili attacchi», che secondo il ministero degli Esteri di Doha «vanno contro tutti i valori umani e morali».
Il re giordano Abdallah ha espresso «profondo dolore e tristezza», manifestando la sua solidarietà alla Francia, mentre un messaggio di condoglianze è stato inviato al presidente Hollande dall'emiro del Kuwait, Sheikh Sabah al Sabah.
Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha fatto appello al «consenso della comunità internazionale contro il terrorismo».
SIRIA CENTRO NEVRALGICO DELLA GUERRA CIVILE ISLAMICA. Al netto di tutte queste dichiarazioni non si vedono però speranze di pace per la Siria, e non si vede quindi come la minaccia totalitaria dei jihadisti possa essere affrontata alla radice, risolta una volta per tutte.
Nel Paese, martoriato da quattro anni di guerra civile, si scontrano gli interessi iraniani, sauditi, americani, russi, turchi, qatarioti, iracheni e giordani.
Fazioni in lotta che rispondono a 'patroni' stranieri in grado di indirizzare le loro mosse solo fino a un certo punto.
Il direttore dell'Istituto italiano di studi strategici Claudio Neri, in una recente intervista per East, ha chiarito ciò che l'opinione pubblica tende a dimenticare sull'onda emotiva generata dalla violenza: «La verità inconfessabile è che a tutti conviene che in Siria prosegua la guerra civile a bassa intensità a cui abbiamo assistito negli ultimi anni: lì si scaricano tensioni e conflitti che altrimenti rischierebbeo di tracimare altrove. Purtroppo temo che per la Siria si prospetti un futuro di anni, forse decenni, di guerra costante».
ASSAD FA IL SUO GIOCO. E così, persino il presidente siriano Bashar al-Assad, di fronte a una delegazione di parlamentari francesi in visita a Damasco, ha avuto buon gioco nel dare la sua (interessata) interpretazione degli avvenimenti.
«Il terrorismo, compresi gli attacchi di venerdì a Parigi, sono il risultato delle politiche sbagliate adottate dai Paesi occidentali e in particolare dalla Francia, che ignorano il sostegno dato da diversi loro alleati ai terroristi. Sono queste le ragioni dietro l'espansione del terrorismo», ha detto Assad.
Il successore dinastico di Hafiz al-Assad, rappresentante di quel clan alawita che dal 1970 ha tenuto ininterrottamente in pugno la Siria, ha più volte accusato la Turchia, l'Arabia Saudita e il Qatar di sostenere «i terroristi» suoi nemici. Una definizione che il regime di Damasco applica all'Isis, ad al-Nusra e a quel che resta dei ribelli laici che all'inizio della tragedia siriana hanno provato a sfidare il suo potere.
Arabia Saudita, Kuwait e Qatar, alleati degli Stati Uniti e della Francia, hanno espresso tristezza e dolore, hanno denunciato la violazione di «tutte le etiche, le morali e le religioni».
Un cordoglio che, agli occhi di molti analisti, non è senza ambiguità. Da questi stessi Paesi, infatti, i militanti di al-Qaeda, al-Nusra e dello Stato islamico hanno ricevuto cospicue donazioni 'private', provenienti dal Golfo e transitate dal Kuwait.
E anche oggi che l'Isis è in grado autofinanziarsi (i proventi dalla vendita del petrolio ammontano a 500 milioni di dollari all'anno), le priorità strategiche e geopolitiche, nei territori che un tempo appartenevano alla Siria e all'Iraq, continuano ad essere differenti.
LA GUERRA TRA SCIITI E SUNNITI SULLO SFONDO. Se per l'Occidente la minaccia numero uno è rappresentata dall'Isis, per gli alleati arabi sunniti il primo nemico è l'Iran sciita, che punta a un ruolo egemonico nella regione. Al Baghdadi viene dopo. Così come sconfiggere il Califfato, per la Turchia, significherebbe rafforzare i curdi.
Fino a pochi mesi fa, persino il consulente strategico del governo americano Edward Luttwak, parlando con Lettera43.it, teorizzava la necessità di non combattere contro lo Stato islamico.
«Il regno dell'Arabia Saudita chiede da tempo di intensificare gli sforzi internazionali per contrastare la piaga del terrorismo in tutte le sue forme», ha detto il ministro degli Esteri saudita Adel al Jubeir all'indomani degli attacchi di Parigi.
Anche il Qatar ha condannato fermamente «questi orribili attacchi», che secondo il ministero degli Esteri di Doha «vanno contro tutti i valori umani e morali».
Il re giordano Abdallah ha espresso «profondo dolore e tristezza», manifestando la sua solidarietà alla Francia, mentre un messaggio di condoglianze è stato inviato al presidente Hollande dall'emiro del Kuwait, Sheikh Sabah al Sabah.
Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha fatto appello al «consenso della comunità internazionale contro il terrorismo».
SIRIA CENTRO NEVRALGICO DELLA GUERRA CIVILE ISLAMICA. Al netto di tutte queste dichiarazioni non si vedono però speranze di pace per la Siria, e non si vede quindi come la minaccia totalitaria dei jihadisti possa essere affrontata alla radice, risolta una volta per tutte.
Nel Paese, martoriato da quattro anni di guerra civile, si scontrano gli interessi iraniani, sauditi, americani, russi, turchi, qatarioti, iracheni e giordani.
Fazioni in lotta che rispondono a 'patroni' stranieri in grado di indirizzare le loro mosse solo fino a un certo punto.
Il direttore dell'Istituto italiano di studi strategici Claudio Neri, in una recente intervista per East, ha chiarito ciò che l'opinione pubblica tende a dimenticare sull'onda emotiva generata dalla violenza: «La verità inconfessabile è che a tutti conviene che in Siria prosegua la guerra civile a bassa intensità a cui abbiamo assistito negli ultimi anni: lì si scaricano tensioni e conflitti che altrimenti rischierebbeo di tracimare altrove. Purtroppo temo che per la Siria si prospetti un futuro di anni, forse decenni, di guerra costante».
ASSAD FA IL SUO GIOCO. E così, persino il presidente siriano Bashar al-Assad, di fronte a una delegazione di parlamentari francesi in visita a Damasco, ha avuto buon gioco nel dare la sua (interessata) interpretazione degli avvenimenti.
«Il terrorismo, compresi gli attacchi di venerdì a Parigi, sono il risultato delle politiche sbagliate adottate dai Paesi occidentali e in particolare dalla Francia, che ignorano il sostegno dato da diversi loro alleati ai terroristi. Sono queste le ragioni dietro l'espansione del terrorismo», ha detto Assad.
Il successore dinastico di Hafiz al-Assad, rappresentante di quel clan alawita che dal 1970 ha tenuto ininterrottamente in pugno la Siria, ha più volte accusato la Turchia, l'Arabia Saudita e il Qatar di sostenere «i terroristi» suoi nemici. Una definizione che il regime di Damasco applica all'Isis, ad al-Nusra e a quel che resta dei ribelli laici che all'inizio della tragedia siriana hanno provato a sfidare il suo potere.
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